Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17459 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. II, 20/08/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 20/08/2020), n.17459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19701/2016 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA

56, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI D’AMATO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ALFREDO SORGE, AMEDEO

SORGE;

– ricorrente –

contro

C.M., C.V., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato LEOPOLDO

FIORENTINO, rappresentati e difesi dall’avvocato SERGIO MASCOLO;

– controricorrente –

e contro

I.F.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2723/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/12/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.V. e C.M., unitamente alla madre I.F., con ricorso possessorio, adivano il Tribunale di Torre Annunziata, asserendo di essere possessori di un appartamento di due piani acquistato per rogito del notaio V. del 21 aprile 1982. Gli attori lamentavano le molestie al possesso della servitù di passaggio che P.G. aveva determinato chiudendo, intorno alla metà del 2003, il cancello d’ingresso in un’area comune, impedendo agli attori l’accesso sia pedonale che veicolare al loro appartamento.

Si costituiva P.G. che eccepiva che la chiusura del passaggio era stata realizzata vent’anni prima con un cancello che era rimasto sempre chiuso, fino all’installazione di un’apertura elettromeccanica e, dunque, contestava l’esercizio di fatto del possesso.

2. Il Tribunale di Torre Annunziata accoglieva solo in parte la domanda degli attori, riconoscendo il possesso della sola servitù di passaggio pedonale e non di quella veicolare.

3. Gli attori proponevano appello avverso la suddetta pronuncia e P.G. proponeva a sua volta appello incidentale.

4. La Corte d’Appello di Napoli accoglieva l’appello principale e rigettava quello incidentale e, per l’effetto, ordinava a P.G. di reintegrare gli appellanti nel passaggio veicolare e pedonale, tramite consegna delle chiavi del cancello o di altro strumento idoneo ad aprirlo.

La Corte d’Appello rigettava l’appello incidentale del P. che contestava la sussistenza stessa del possesso di una servitù di passaggio, anche di tipo pedonale. In primo luogo, rilevava la Corte d’Appello che il P. non aveva formulato alcuna eccezione di decadenza della tutela possessoria per il decorso dell’anno. Infatti, con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado egli aveva svolto contestazioni di merito, negando l’esistenza di qualsiasi situazione di fatto qualificabile in termini di possesso di servitù di passaggio veicolare e pedonale.

4.2 Nel merito il giudice del gravame rilevava che le dichiarazioni dei testi di parte ricorrente coincidevano con quanto dichiarato dalla teste di parte resistente circa il momento temporale in cui si era verificata la chiusura del cancello, che doveva farsi risalire a circa due o tre anni prima. Si confermava, dunque, che il cancello era stato chiuso per la prima volta durante il periodo indicato nel ricorso possessorio.

4.3 Il motivo di appello principale con il quale si chiedeva l’accoglimento della tutela possessoria anche con riferimento al passaggio veicolare era fondato.

Il giudice di primo grado aveva fatto erroneamente ricorso al principio di tolleranza di cui all’art. 1144 c.c, in quanto il P. sul punto non aveva eccepito alcunchè e, dunque, il giudice non poteva rilevare d’ufficio l’esistenza o meno di una situazione riconducibile alla tolleranza. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, colui che assume di essere stato spogliato del possesso di una servitù di passaggio non è tenuto a dare la prova dell’inesistenza della tolleranza, trattandosi di fatto impedivo che deve provare l’altra parte. Sotto altro profilo doveva ritenersi irrilevante il fatto che esistesse un’altra possibilità di passaggio veicolare per gli appellanti in quanto nulla escludeva che si potesse usufruire di più passaggi e, quindi, esercitare il possesso con riguardo a più servitù di passaggio.

Nel merito, dall’esame delle testimonianze, si confermava l’assunto degli appellanti secondo il quale esercitavano, oltre al passaggio pedonale, anche quello veicolare. Peraltro, anche secondo l’id quod plerumque accidit si doveva presumere che chi usufruisce di un passaggio idoneo sia al transito pedonale che a quello carrabile se ne serva in entrambi i modi.

5. P.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.

6. C.M. e C.V. hanno resistito con controricorso e in prossimità dell’udienza hanno insistito nella richiesta di rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: erronea e falsa applicazione dell’art. 1168 c.p.c., omesso esame di un punto della controversia afferente la legittimazione passiva, eventuale litisconsorzio.

Il ricorrente lamenta che il Tribunale prima e la Corte d’Appello poi abbiano disposto la condanna e il conseguente reintegro in suo danno senza alcuna verifica in ordine ai presupposti processuali dell’azione possessoria e dalla legittimità della sua vocatio in ius.

Questi nel costituirsi in giudizio aveva specificamente eccepito di non essere autore di alcuno spoglio in danno di C., avendo contestato la materiale chiusura del varco di accesso attraverso il quale si pretendeva l’esercizio della servitù e il fatto che il cancello esisteva da oltre vent’anni. La circostanza che i C. non avessero le chiavi da oltre di vent’anni era di per sè un fatto oggettivo ed impedivo dell’esercizio della presunta servitù, elemento del tutto trascurato dal giudice di merito. Di conseguenza la chiusura del fondo era un fatto pacifico, non contestato e provato oggettivamente e valeva quale elemento fondante la decadenza dall’azione possessoria.

Il fatto che i C. non avessero mai avuto il possesso delle chiavi del cancello, nè di quello manuale nè di quello elettrico, doveva condurre al rigetto della loro domanda. Anche tale elemento oggettivo era stato del tutto trascurato dal giudice del merito.

Inoltre, secondo il ricorrente, la Corte territoriale non ha motivato nè esaminato una circostanza rilevante ai fini della decisione ovvero chi fosse l’autore dell’asserito spoglio consistito nell’applicazione della chiusura automatica al cancello che antecedentemente era priva di tale chiusura, essendo solo manuale. Peraltro, nessuno dei testi aveva riferito nulla in ordine a tale circostanza e non poteva desumersi dalla titolarità del bene in quanto il ricorrente era semplicemente un comproprietario.

Peraltro, proprio la contitolarità del bene unita alla mancata prova in relazione alla persona che aveva materialmente operato lo spoglio, avrebbe imposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei comproprietari del bene. Sussisterebbe dunque anche una violazione del litisconsorzio necessario.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: carente ed errata applicazione dell’art. 1168 c.c., decadenza annuale.

La Corte territoriale non avrebbe esaminato l’eccezione di decadenza, essendosi limitata ad affermare che P. non aveva formulato nè ritualmente nè irritualmente alcuna eccezione di decadenza della tutela possessoria. Ciò integrerebbe un’omessa motivazione in ordine ad un punto della controversia, trattandosi di una mera petizione di principio ed avendo, invece, il P. testualmente eccepito in sede di comparsa di costituzione che la chiusura (il cancello) non era stata predisposta entro l’anno ma da oltre vent’anni ed era nel tempo rimasta sempre serrata. Si trattava, dunque, di un’eccezione di decadenza ritualmente e formalmente prospettata.

2.1 Il primo e il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono infondati.

Le censure prospettate, sotto la veste del vizio di violazione di legge, riguardano, invece, il merito della controversia e la ricostruzione in fatto effettuata dalla Corte d’Appello che ha evidenziato che secondo quanto riferito dai testimoni, tanto della parte attrice quanto di uno di quelli della parte convenuta, lo spoglio si era verificato mediante la chiusura del cancello – per la prima volta – nel periodo temporale coincidente con quello indicato in citazione da parte degli attori.

Il motivo di ricorso, pertanto, si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. E peraltro, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008, Rv. 601665), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

Quanto alla seconda censura ricavabile dal motivo in esame deve osservarsi che il fatto che i C. non avessero le chiavi del cancello e che il cancello fosse in comproprietà non emerge dalla sentenza impugnata e la parte ricorrente non indica in quale fonte di prova tali circostanze siano emerse e, neanche, se e quando siano state oggetto di discussione nel corso del giudizio e, dunque, non consente di valutare l’omissione di un fatto decisivo oggetto del giudizio.

Peraltro può facilmente osservarsi che essendo emerso che il cancello era stato chiuso per la prima volta nel periodo indicato nell’atto introduttivo del giudizio, il possesso o meno delle chiavi del cancello nel periodo antecedente non assume alcuna rilevanza, così come la titolarità del diritto di proprietà sul medesimo cancello, in quanto legittimato passivo è sempre l’autore materiale dello spoglio.

Infine, la Corte d’Appello ha ritenuto che non vi fosse stata alcuna eccezione di decadenza in quanto il ricorrente si era limitato a difendersi nel merito, affermando che non vi era stato alcuno spoglio, in quanto il cancello esisteva da più di vent’anni ed era sempre stato chiuso, circostanze, peraltro, smentite dalle testimonianze assunte nel corso del giudizio.

Il ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 1168 c.c., ma in realtà richiede una diversa interpretazione della sua comparsa con la quale a suo dire aveva eccepito la decadenza dall’azione di spoglio senza tuttavia censurare la violazione di canoni interpretativi.

In ogni caso l’interpretazione degli atti processuali è rimessa al giudice del merito e avendo la Corte specificamente motivato sul punto nessuna violazione dell’art. 1168 c.c., può dirsi verificata. Peraltro, poichè l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa eccezione non sia stata avanzata – non essendo quindi compresa nel thema decidendum – tale statuizione, non può essere direttamente censurata per omessa pronuncia, avendo comunque il giudice svolto una motivazione, dimostrando come una certa questione sia stata ricompresa tra quelle decise.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: errata ed illogica valutazione delle prove, contrasto con fatti pacifici e documenti in atti aventi anche valore confessorio.

Il ricorrente evidenzia che desumere la prova del passaggio veicolare dalla presenza dell’auto dell’appellante C.M. nel cortile sia erroneo, essendo incontestato che la medesima C. poteva utilizzare anche un’altra via di accesso, anche carrabile e, dunque, la prova della presenza del veicolo non poteva a sua volta fondare la prova del transito veicolare.

3.1 Il terzo motivo è infondato.

Il giudice non ha desunto il possesso della servitù di passaggio veicolare dalla mera circostanza della presenza dell’autovettura della C. nel cortile, bensì dall’applicazione del criterio presuntivo dell’id plerumque accidit.

In tema di prova per presunzioni, nel dedurre il fatto ignoto dal fatto noto, la valutazione del giudice del merito incontra il solo limite della probabilità, con la conseguenza che i fatti su cui la presunzione si fonda non devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità con riferimento alla connessione degli accadimenti, la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, basate sull’id quod plerumque accidit. Tale giudizio valutativo è insindacabile, essendo il controllo di legittimità circoscritto alla verifica della correttezza logico giuridica del ragionamento seguito, e nella specie l’utilizzo di massime o regole d’esperienza non sembra fondato su mere congetture prive di una sia pur minima plausibilità quanto piuttosto su vere e proprie massime di esperienza (Sez. 3, Ord. n. 6387 del 2018).

5. Il ricorso è rigettato, le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione che liquida in complessivi Euro 2.300 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

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