Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17454 del 31/07/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 17454 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA

sul ricorso 134-2012 proposto da:
RASPITZU DEBORA C.F. RSPDBR74S59I452F, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo studio
dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta

4
delega in atti;
0

– ricorrente –

2014
contro

1887

AZIENDA TRASPORTI PUBBLICI (A.T.P.) C.F. 001214700900;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 31/07/2014

AZIENDA TRASPORTI PUBBLICI (A.T.P.) C.F. 001214700900,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, V.G. AVEZZANA 2/3,
presso lo studio dell’avvocato MASSIMO CAMMAROTA,
rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO SECHI,

– controricorrente e ricorrente incidentale contro

RASPITZU DEBORA C.F. RSPDBR74S59I452F;
– intimata –

avverso la sentenza n. 738/2011 della CORTE D’APPELLO
DI CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata
il 15/12/2011; /16 udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 28/05/2014 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito l’Avvocato SECHI PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi in via principale, in via
subordinata rimessione, in via pregiudiziale alla Corte
di Giustizia sull’applicabilità del decreto legislativo
368/01 per i contratti a termine stipulati dopo il
2000.

giusta delega in atti;

Svolgimento del processo
Con sentenza del 1$12.2011, la Corte d’appello di Cagliari — sezione distaccata di Sassari
ha accolto per quanto di ragione l’impugnazione proposta dall’Azienda Trasporti Pubblici
avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Sassari che aveva dichiarato la

riformando tale decisione, ha rigettato la domanda della lavoratrice volta alla conversione
a tempo indeterminato dei contratti a termine dichiarati nulli ed ha condannato l’azienda
appellante al risarcimento del danno, liquidandolo in 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione.
La Corte ha ritenuto ancora operante nella fattispecie nei confronti degli enti territoriali,
delle rispettive aziende e dei consorzi, di cui all’art. 5 del D.L. n. 702/1978, convertito nella
legge n. 3/1979, e all’art. 8 del D.L. n. 153/1980, convertito nella legge n. 299/1980, il
divieto di conversione dei rapporti a termine nulli, ma nel contempo è pervenuta al
convincimento che era meritevole d’accoglimento la domanda di risarcimento del danno in
base ai principi affermati dalla Corte di Giustizia Europea con riferimento alle finalità
dell’accordo quadro di protezione dei lavoratori dalla instabilità dell’impiego, utilizzando
come criterio di liquidazione quello previsto dalla legge n. 183/2010.
Per la cassazione della sentenza ricorre la lavoratrice con quattro motivi illustrati da
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso l’Azienda Trasporti Pubblici che propone, a sua volta, ricorso
incidentale affidato ad un solo motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale ai
sensi dell’art. 335 c.p.c.
Con il primo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.l.
702/78, conv. in I. 3/79 (come mod. dalla I. 299/80), anche con riferimento a quanto
previsto dal suo sesto comma, nonché della connessa violazione degli artt. 23 e 25 I.
142/90.

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nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con Raspitzu Debora e,

Assume la ricorrente che l’Azienda Trasporti Pubbici (A.T.P.) è ente pubblico economico
cui non si applica il divieto di conversione dei contratti a termine nulli, come affermato dal
giudice di secondo grado, il quale avrebbe finito per creare un inammissibile tertium genus
di contratti a tempo determinato quanto alle conseguenze, rispetto a quelli conosciuti, nel
momento in cui ha ritenuto applicabile nella fattispecie una norma contenuta nel d.l.

conversione. Precisa 11)) ricorrente che tale norma sancisce il divieto di conversione sino al
31 dicembre 1980 e non può essere applicata ai contratti stipulati successivamente al
2001, come nella specie. Rileva ancora che, anche nella denegata ipotesi in cui si
ritenesse che l’art. 5 d.l. 702/78 fosse ritenuto tuttora vigente, la norma si riferirebbe
esclusivamente agli enti pubblici e alle aziende e consorzi previsti dalla normativa vigente
al momento della sua emanazione, ovvero a rapporti di pubblico impiego ai quali si poteva
accedere esclusivamente a mezzo di concorso pubblico, pur senza ignorare che la Corte
di Cassazione ha ritenuto applicabile la disciplina in esame anche alle aziende indicate
dall’art. 23 I. 142/90, stante la sussistenza di interessi pubblici rispetto alle loro attività.
Tale orientamento non è tuttavia condiviso dal ricorrente, tenuto conto dello statuto
dell’A.T.P. che prevede la natura privatistica del rapporto di lavoro dei dipendenti del
Consorzio, assunti in base ai principi della pubblicità delle procedure e dei risultati delle
selezioni, della scelta di componenti delle Commissioni Giudicatrici tra persone fornite di
competenza tecnica od amministrativa specifica, dell’utilizzo per le selezioni o preselezioni
anche di società specializzate (artt. 38 e 39 dello Statuto). ricorrente conclude
sostenendo che, pertanto, la A.T.P. non era da considerare destinataria di una normativa
che la obbligasse al concorso pubblico per l’assunzione del personale.
Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 5, sesto,
quindicesimo, diciassettesimo e diciottesimo comma d.l. 702/78 (conv. in I. 3/79, come
mod. da I. 299/80) e del dig. 368/01 (per la ritenuta mancata abrogazione del primo ad
opera del secondo), nella parte in cui viene negata la conversione del contratto, dichiarato
nullo nel termine, in contratto a tempo indeterminato, nonché contraddittoria motivazione
su punto decisivo della controversia costituito dal contenuto effettivo della statuto A.T.P. e
dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per concorso.
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702/78, recante “disposizioni in materia di finanza locale” che impedisce la possibilità di

Assume la ricorrente che in modo contraddittorio la Corte d’appello ha ritenuto indiscutibile
quanto statuito dal giudice di primo grado sulla qualifica di ente pubblico economico
dell’A.T.P. e che inoltre, senza alcuna argomentazione, la stessa ha affermato che
l’azienda è obbligata ad assumere con pubblico concorso, laddove è lo stesso Statuto a
prevedere una particolare procedura. Peraltro, secondo il ricorrente, la giurisprudenza

della disciplina del contratto a termine alla luce della Direttiva CE 99/70; inoltre, il dig.
368/01 disciplina i rapporti di lavoro a tempo determinato anche dei dipendenti pubblici,
prevedendo per questi ultimi, in caso di contratti in violazione della Direttiva, una ipotesi
risarcitoria effettiva e tale da costituire concreta dissuasione dalla ripetizione. Sostiene poi
ittricorrente che la disciplina dei Comuni, Province, Consorzi e loro aziende di natura non
economica, prima contenuta nel d.l. 702/78, è stata abrogata prima dall’art. 36 dig. 165/01
negli effetti sanzionatori e poi dal dig. 368/01 nei requisiti di forma e tipologia contrattuale
ed aspetti.
I primi due comma dell’art. 1 dig. 165/01 disciplinano quindi, secondo le disposizioni dello
stesso decreto, l’organizzazione degli uffici ed i rapporti di lavoro e di impiego alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche: per tali da intendere tutte le amministrazioni
dello Stato, compresi istituti e scuole di ogni ordine e grado, istituzioni educative, aziende
e amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, Regioni, Province, Comuni,
Comunità Montane e loro consorzi e associazioni, istituzioni universitarie, Istituti autonomi
case popolari, camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura e loro associazioni,
tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le
aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale.
Pertanto l’A.T.P., quale ente pubblico economico, risulta espressamente esclusa dall’art.
1, secondo comma d.lg. cit. dall’ambito applicativo del dig. 165/01, dovendosi invece
ritenere applicabile, quanto all’aspetto sanzionatorio, il dig. 368/01, con la conversione dei
contratti.
Secondo la Corte territoriale, resterebbero regolati dal d.l. 702/78 solo i contratti a termine
degli enti pubblici locali di Comuni e Province, in contrasto con i principi di non
discriminazione e del divieto imposto dalla giurisprudenza europea di abuso di posizione
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richiamata della Corte di Cassazione è tutta precedente al 2001, anno di rimodulazione

dominante da parte di Autorità connotate da interessi pubblici nei confronti del pubblico
dipendente. Sicchè, secondo la tesi difensiva, le leggi n. 3/79 e n. 299/80, nella parte in cui
disciplinano le assunzioni a termine degli enti pubblici economici dei Comuni, sarebbero
state abrogate dall’art. 11 dig. 368/01, in quanto incompatibili con tale legge.
Deduce infine iik ricorrente ulteriore contraddittorietà di motivazione per la ritenuta

ratione temporis, in realtà inconciliabili, con la conseguenza dell’istituzione di una terza
categoria di lavoratori (rispetto alle due del privato e del pubblico) regolata da una
disciplina priva di sanzione alcuna, in contrasto con la Direttiva CE 99/70, con
sollecitazione a questa Corte, qualora non accedente alla prospettata abrogazione della
normativa denunciata, quanto meno a disapplicarla per contrasto con detta Direttiva e
l’Accordo Quadro 8 marzo 1999, ovvero a richiedere pronuncia pregiudiziale alla Corte di
Giustizia CE in merito, a norma dell’art. 234 Trat. CE o a rimettere alla Corte costituzionale
la questione di legittimità costituzionale dell’ari 5 d.l. 702/1978 (come successivamente
convertito e modificato), con riferimento alle previsione dei dd. lgg. 165/2001 e 368/2001,
per violazione degli artt. 3, 4, 24, 111, secondo comma (e 117, primo comma) Cost.
Con il terzo motivo iik ricorrente si duole della violazione del principio di effettività del
risarcimento danno e della conseguente falsa applicazione dell’art. 32 I. 183/10, anche
con riferimento a quanto previsto dall’art. 8 I. 604/66, in quanto sostiene che l’applicazione
della predetta norma del cosiddetto “Collegato lavoro” si basa sull’errore di non
considerare che l’art. 36 dig. 165/01, anche qualora ritenuto legge speciale non abrogata
dal dig. 368/01, non contiene la misura che possa evitare la successione dei contratti a
tempo determinato e che comunque la sanzione del risarcimento del danno, che prescinde
dalla conversione del contratto, è inidonea ad essere considerata “misura effettiva” di
tutela nel rispetto della Direttiva CE 99/70. Al riguardo, ila, ricorrente sviluppa la tesi
dell’abrogazione, per effetto dell’art. 11 dig. 368/01, del dig. 165/01, in quanto detta
norma (rubricata “Abrogazioni e disciplina transitoria”) dapprima elenca una legge (n.
230/62) e due articoli di altre due leggi (art. 8 bis I. 79/83 e art. 23 I. 56/87) e quindi
abroga in via generale tutte le disposizioni di legge comunque incompatibili. Ebbene,
secondo itkricorrente, tra le disposizioni contenute nel dig. 165/01 e quelle inserite nel dig.
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concorrente applicabilità, insieme con l’art. 5 d.l. 702/78, della I. 230/62 o del dig. 368/01

368/01 non vi sarebbe compatibilità, in quanto nell’art. 36 dig. 165/01 mancherebbe la
misura atta ad evitare la successione dei contratti a tempo determinato, ossia una misura
effettiva, al di là della generica previsione del diritto al risarcimento del danno, di tutela del
rispetto della Direttiva CE 99/70.
Sempre secondo tale tesi, non sarebbe poi chiaro il motivo per cui una legge speciale,

(quello del pubblico impiego) destinatario anch’esso della Direttiva. Con la conseguenza,
anche a ritenere non abrogato il dig. 165/01 dal successivo n. 368/01, della necessità di
disapplicarlo per contrasto con essa.
Con il quarto motivo del ricorso principale sono denunziati violazione e falsa applicazione
degli artt. 32 I. 183/10, 1218, 1219, 1223, 1224, 1225 e 1226 c.c., nonchè vizio di
motivazione della sentenza.
ricorrente contesta la decisione dei giudici d’appello per avere riconosciuto, per
applicazione analogica dell’art. 32 I. 183/10, un risarcimento del danno in misura minima
forfettaria senza ulteriore specificazione: priva di giustificazione, a suo dire, la limitazione
del risarcimento del danno alla misura forfettaria indicata dal legislatore per tutto il periodo
intercorrente tra la cessazione del rapporto e la sentenza dichiarativa della nullità del
termine. Con inaccettabile posizione a carico del lavoratore delle conseguenze di durata
abnorme e imprevedibile del processo e comunque in esorbitanza dal contesto
previsionale dello ius superveniens, con palese violazione delle regole del giusto
processo.
Con unico motivo A.T.P. denuncia, in via di ricorso incidentale, violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ed omessa motivazione sul fatto decisivo ai fini della
decisione della condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 36 dig. 165/01, in
relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., sostenendo che i giudici del merito avevano
dichiarato la nullità dei contratti solo in relazione alla genericità della motivazione indicata
nella causale, quindi per un vizio di forma e non per l’accertamento di un eventuale utilizzo
abusivo del contratto a termine, sicchè, in mancanza di abuso, non poteva riconoscersi
alcun diritto al risarcimento del danno. L’impresa datrice rileva, infine, come il ricorrente
fosse stato assunto a termine per essere impiegato come autista nelle more di
5

quale il dig. 165/01, possa escludere dall’applicazione di una direttiva europea un settore

espletamento di un pubblico concorso (bandito il 18 luglio 2002 e concluso nel luglio 2004)
e, pertanto, in ipotesi nella quale il ccril del 27.11.2000 autorizzava l’apposizione del
termine al contratto di lavoro.
I primi due motivi possono essere congiuntamente esaminati, per la loro intima
connessione, derivante dalla convergenza nella comune censura di non corretta

motivazione.
Essi sono entrambi infondati.
Premesso il definitivo accertamento della nullità del termine ai sensi dell’art. 1 dig. 368/01,
per omessa censura del ricorrente della sua ritenuta violazione non soltanto formale, ma
anche sostanziale (per difetto di prova della generica ragione indicata per l’assunzione a
tempo determinato) ritenuta dalla Corte territoriale, reputa questa Corte che ai rapporti in
esame non possa essere applicata la conversione a tempo indeterminato, in ragione del
divieto posto dall’art. 36, secondo comma dig. 165/01 e dell’operatività dell’art. 5 d.l. cit.
Ed infatti, la disciplina generale che regola l’assunzione del personale a termine da parte
di province, comuni, consorzi e rispettive aziende, secondo la consolidata giurisprudenza
della Corte (Cass. 2 maggio 2003, n. 6699; 16 settembre 2002, n. 13528; 17 dicembre
1999, n. 14262, 3 dicembre 1988, n. 6566; 1 giugno 1988, n. 3724; 26 febbraio 1988, n.
2059; 2 febbraio 1985, n. 696) è dettata dall’art. 5, quindicesimo e diciassettesimo comma
d.l. 702/78, conv. con mod. in I. 3179, che in particolare stabilisce che l’assunzione di
personale straordinario da parte dei predetti enti possa avvenire per sopravvenute
esigenze eccezionali e per un periodo non superiore a novanta giorni (nell’anno solare):
con risoluzione di diritto del rapporto di lavoro al compimento del periodo e nullità, pure di
diritto, dei provvedimenti di assunzione temporanea o di conferma in servizio adottati in
violazione delle disposizioni dello stesso articolo.
La giurisprudenza richiamata precisa anche che la disciplina, in vigore a norma dell’art. 8
d.l. 153/80, conv. in I. 299/80, regola in modo completo ed esauriente l’assunzione del
personale a termine da parte degli enti suindicati (pubbliche amministrazioni o imprenditori
pubblici), così escludendo che le assunzioni temporanee effettuate dai medesimi siano
soggette alla disciplina privatistica della I. 230/62: con la conseguenza, in particolare,
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applicazione dell’art. 5 d.l. 702/78, sotto i profili illustrati di violazione di legge e di vizio di

dell’insuscettibilità di conversione delle assunzioni temporanee in rapporti a tempo
indeterminato, essendo per questi richiesto un concorso o una prova pubblica selettiva,
salva, peraltro, l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. sulle prestazioni di fatto eseguite in
violazione di legge. Né tale disciplina speciale viola alcun precetto costituzionale per
ingiustificata disparità di trattamento in danno dei lavoratori assunti a termine dagli enti

230/62. Il divieto di conversione in oggetto risponde, infatti, a criteri di ragionevolezza ed è
ispirato alla tutela di superiori interessi pubblici generali, per la concorrenza delle esigenze
di risanamento della finanza locale e del principio di imparzialità, stante l’obbligo di
assumere il personale a mezzo di pubblico concorso. Sicchè, eventuali clausole di
contratti collettivi di settore, nella parte in cui si dovessero interpretare nel senso di
introdurre deroghe ai limiti posti dall’art. 5 dl. 702/78, devono considerarsi nulle per
violazione di norma imperativa.
Appare, quindi, irrilevante l’indagine in ordine all’applicabilità all’azienda di trasporti
pubblici delle stesse norme, anche dei contratti collettivi, degli enti locali oppure delle
aziende speciali, per la soggezione alla disciplina legale del lavoro a termine, valevole sia
per le pubbliche amministrazioni, sia per gli enti pubblici imprenditori (Cass. 18 giugno
2010, n. 14773).
Il secondo motivo è parimenti infondato.
Contrariamente a quanto preteso dal ricorrente, l’art. 5 d.l. 702/78 applicato dalla Corte
territoriale non è stata implicitamente abrogato dalla successiva disciplina generale del
dig. 368/01, per il noto principio per il quale la legge posteriore generale non deroga a
quella precedente speciale.
Invero, la legge speciale anteriore cede a quella posteriore generale soltanto in caso di
abrogazione espressa oppure di contrasto tale da renderne giuridicamente impossibile la
coesistenza (Cass. 6 giugno 2006 n. 13252; Cass. 20 aprile 1995 n. 4420).
Ma nessuna di queste ipotesi ricorre nel caso di specie, per la diversità delle situazioni
regolamentate dalle due normative aventi come destinatari soggetti diversi (il d.l. 702/78
riguardando le assunzioni straordinarie da parte degli enti locali, delle loro aziende e dei

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pubblici suddetti (economici e non), rispetto a quelli assunti da privati e tutelati dalla I.

loro consorzi, mentre il dig. 368/01 il rapporto a termine nel settore privato): sicchè, non si
pone la questione denunciata.
Né appare conferente, ai fini dell’invocata disapplicazione dell’art. 5 d.l. 702/78, il richiamo
alle norme statutarie dell’azienda di trasporti (art. 38 sulla natura privatistica del rapporto di
lavoro dei dipendenti del consorzio e art. 39 sulle modalità di assunzione del personale), in

assunzioni straordinarie dalla disposizione di legge citata, che stabilisce anche la sanzione
di nullità dei provvedimenti di assunzione in violazione.
Neppure si pongono i dubbi di incostituzionalità prospettati dal ricorrente, atteso che il
meccanismo della conversione contrasterebbe con il principio costituzionale di
instaurazione del rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni mediante concorso,
a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento della pubblica
amministrazione, ai sensi dell’art. 97, primo comma Cost. D’altronde, la natura cogente
della norma non consente eccezioni stabilendo, al diciottesimo comma, la nullità di diritto
dei prowedimenti di assunzione temporanea o di conferma in servizio, adottati in
violazione delle disposizioni contenute nello stesso art. 5, dando pure luogo a
responsabilità degli amministratori e anche dei segretari e dei ragionieri che abbiano
firmato mandati di pagamento non fondati su atti validi.
Egualmente non si pongono dubbi in ordine alla compatibilità della norma speciale con le
direttive CE: basti considerare la circostanza della ritenuta liceità dalla Corte Europea di
Giustizia dell’utilizzo di più contratti a termine con lo stesso lavoratore nel rapporto di
lavoro pubblico, in deroga alla previsione che dispone la trasformazione a tempo
indeterminato. Con la sentenza 7 settembre 2006, causa C-53/04 e C-180/04, essa ha
infatti affermato la piena legittimità, in riferimento all’ordinamento comunitario, del dig.
165/01 nella parte in cui ammette l’utilizzazione, per le pubbliche amministrazioni, di più
contratti a termine con lo stesso lavoratore, senza loro trasformazione in rapporto a tempo
indeterminato, proprio come avviene nel settore privato, con la specificazione, tuttavia, in
caso di rinnovo reiterato, della sola tutela risarcitoria in favore del lavoratore interessato.
La stessa Corte europea ha argomentato dalla necessità di salvaguardia del principio di
accesso al pubblico impiego per selezione concorsuale, legittimamente derogabile in
8

quanto esse non possono certamente consentire l’elusione dei divieti posti per le

funzione di una miglior tutela del pubblico interesse, nei limiti di non manifesta
irragionevolezza e da individuare per legge in casi eccezionali. Al riguardo, la Corte
Europea di Giustizia (che nella sentenza 4 luglio 2006 aveva già affermato la violazione
del diritto europeo da una legislazione nazionale che vieti in maniera assoluta, solo nel
settore pubblico, la trasformazione di una successione di contratti di lavoro a tempo

datore di lavoro, in un contratto a tempo indeterminato) ha precisato la necessità di
previsione da parte di un ordinamento nazionale, che stabilisca norme imperative relative
alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato, di misure di effettiva tutela dei
lavoratori per sanzionare debitamente gli abusi ed eliminare le conseguenze della
violazione del diritto europeo. Ed infine, la Corte ha concluso per la compatibilità in linea di
principio della vigente normativa italiana (diversamente regolante, nel senso detto, l’abuso
della contrattazione a termine nel settore pubblico e in quello privato) con il diritto europeo,
in presenza di una misura effettiva di prevenzione e, se del caso, di sanzione dell’abuso
da parte di un datore pubblico di lavoro: attualmente consistente nel diritto del lavoratore
interessato ad una tutela risarcitoria.
Nel caso di specie, l’art. 5, diciottesimo comma d.l. 702T78 è in linea con tali principi, per la
previsione di nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea o di conferma in
servizio in violazione delle disposizioni contenute nello stesso art. 5 e di responsabilità di
amministratori, segretari e ragionieri firmatari di mandati di pagamento non fondati su atti
validi.
Anche il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 32 I. 183/10, anche in
relazione all’art. 8 I. 604/66, per violazione del principio di effettività del risarcimento del
danno, nel caso di non convertibilità del rapporto) è infondato.
Ribaditane la vigenza per la sua già affermata non implicita abrogazione per il noto
principio, più sopra richiamato, secondo cui, in ipotesi di antinomia tra fonti di pari rango,
“lex posterior generalis non derogat legi priori speciali” (Cass. 13 gennaio 2012 n. 392),
l’art. 36, quinto comma dig. 165/01 recita: “In ogni caso, la violazione di disposizioni
imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche
amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo
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determinato, a scopo di soddisfazione di bisogni permanenti o comunque durevoli del

indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni
responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno
derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le
amministrazioni hanno l’obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti
dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti

ai sensi dell’ad. 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terrà conto in sede di
valutazione dell’operato del dirigente ai sensi dell’ad. 5 d.Ig. 30 luglio 1999, n. 286”.

La norma è chiara e impedisce la costituzione in via di fatto di rapporti di lavoro a tempo
indeterminato con le pubbliche amministrazioni, anche quando l’assunzione a termine
presenti solo vizi di forma. E la previsione, come già anticipato, è stata ritenuta conforme a
Costituzione (sentenza Corte cost. n. 89/2003) per il contrasto della conversione con il
principio costituzionale di accesso al rapporto di pubblico impiego mediante concorso, a
garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della P.A., a norma dell’art. 97, primo
comma Cost.
Questa Corte ha già avuto modo di notare in analogo precedente (Cass. 15 giugno 2010
n. 14350) che la regola posta dalla disposizione citata (“in ogni caso … ‘) è categorica e
non consente eccezioni di sorta. Nel caso di violazione di norme imperative regolanti i
contratti di lavoro a tempo determinato, il lavoratore può eventualmente chiedere il
risarcimento dei danni subiti alle amministrazioni, con loro obbligo di recuperare le somme
pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, nelle ipotesi di dolo o colpa
grave. Mai il lavoratore potrà, tuttavia, instaurare con l’amministrazione un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato.
D’altro canto, l’art. 36 cit. riproduce un principio da sempre vigente in materia di rapporti di
pubblico impiego, più volte ribadito dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato
28 aprile 1994 n. 614), una volta investito della giurisdizione.
Occorre poi osservare come la giurisprudenza di questa Corte, cui va data continuità, sia
costante nell’affermare che, in tema di assunzioni temporanee alle dipendenze di
pubbliche amministrazioni anche per rapporti di lavoro in regime di diritto privato, debbano
valere le discipline specifiche ostative alla costituzione di rapporti di lavoro a tempo
10

che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche

indeterminato (ribadite per disciplina generale dall’art. 36 d.Ig. 165/01), senza possibilità di
applicazione della I. 230/62: l’art. 97 Cost., che pone la regola dell’accesso al lavoro nelle
pubbliche amministrazioni mediante concorso, ha infatti riguardo alla natura giuridica non
già del rapporto, ma dei soggetti, salva diversa disposizione normativa per casi
eccezionali, con il limite di non manifesta irragionevolezza della discrezionalità del

febbraio 2005 n. 3833; Cass. 21 agosto 2013, n. 19371).
La Corte costituzionale, nel delineare le differenze tra normativa del settore pubblico e
privato (la cui distinzione di regime sanzionatorio è stata più volte sottolineata dalla
giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia: sentenza 1 ottobre 2010, causa C-3/10,
Affatato), ha rilevato, con la sentenza più sopra citata, che il principio fondamentale in
materia di instaurazione del rapporto di impiego alle dipendenze della pubblica
amministrazione è quello, estraneo alla disciplina del lavoro privato, dell’accesso mediante
concorso, enunciato dall’art. 97, terzo comma Cost.: norma che ha reso doverosa la scelta
del legislatore di ricollegare alla violazione di norme imperative, riguardanti l’assunzione
dei lavoratori, conseguenze esclusivamente risarcitorie in luogo della conversione in
rapporto a tempo indeterminato, prevista, invece, per il lavoro alle dipendenze di privati.
Anche l’unico motivo di ricorso incidentale, da esaminare prima del quarto principale per
evidenti ragioni di priorità logico-giuridica, è infondato.
Con esso, infatti, l’A.T.P. contesta in radice la sussistenza del diritto del lavoratore al
risarcimento del danno, senza, peraltro, censurare la parte della decisione attraverso la
quale la Corte territoriale ha condiviso quanto affermato dal primo giudice in merito al fatto
che la stessa azienda non aveva fornito il minimo supporto probatorio alla generica
ragione indicata per giustificare il ricorso alla tipologia del contratto a termine.
Sicchè, già sotto tale profilo la sua tesi difensiva, esclusivamente basata sull’asserita
liceità del ricorso alle assunzioni temporanee ai sensi dell’art. 5 d.l. 702/78, finisce per
rivelarsi insufficiente.
In ogni caso, la prospettazione di A.T.P. si rivela infondata: se per un verso è, infatti, certo
che la stessa potesse avvalersi della norma speciale che le consentiva di ricorrere a quel
tipo di assunzioni temporanee, è d’altro canto pur vero che risultano violate nel caso di
11

legislatore (Cass. 30 giugno 2011 n. 14435; Cass. 22 agosto 2006 n. 18276; Cass. 24

specie le prescrizioni dell’art. 5, quindicesimo e diciassettesimo comma d.l. cit., per
l’accertata insussistenza delle sopravvenute esigenze eccezionali – ritenute non
specificate -, presupposto imprescindibile, cui è aggiunto il divieto di superamento della
durata di novanta giorni di servizio nell’arco di un anno solare e di nuova assunzione prima
dello spirare del termine di sei mesi dal compimento del periodo complessivo di impiego

La loro inosservanza comporta, come si è ripetuto, la sanzione della nullità di diritto del
provvedimento di assunzione e la responsabilità degli amministratori, oltre che dei
segretari e dei ragionieri che abbiano firmato mandati di pagamento non coperti da atti
validi.
Occorre però osservare che la stipulazione di un contratto di lavoro invalido è foriera, nel
contempo, di conseguenze negative anche nei confronti del contraente più debole: nel
senso della costrizione del lavoratore a far valere in via giudiziale, ai sensi dell’art. 2126
c.c. e con l’anticipazione dei relativi costi, le sue pretese economiche per la prestazione di
fatto resa in forza di un rapporto considerato nullo ex lege. E del verosimile pregiudizio
subito dal medesimo, in dipendenza del contratto nullo, anche sotto forma di perdita di
chances, riconducibili alla impossibilità, ovviamente da provare, di fruizione di alternative
occasioni di impiego nel periodo di svolgimento del lavoro temporaneo, prima
dell’accertamento della sua invalidità.
Il quarto motivo va, invece, accolto.
Dalla accertata nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea in violazione
dei limiti di legge (art. 5, quindicesimo e diciottesimo comma d.l. 702/78) consegue la
responsabilità di A.T.P. per inadempimento, a norma dell’art. 1218 ss. c.c.,
nell’interpretazione ampia di violazione di obbligo (non già indifferenziato di neminem
laedere, ma) preesistente posto dalla legge (Cass. 25 maggio 2006, n. 12445). In
proposito, con riferimento ai contratti a termine stipulati dall’Amministrazione degli affari
esteri, ai sensi dell’art. 12 I. 49/87 (nei quali la stessa agisce con la capacità e i poteri del
privato datore di lavoro, tramite atti e sequenze procedimentali di natura negoziale) e alla
possibilità di rinnovo degli stessi, sottoposta dalla legge, pur nell’ambito dell’autonomia
negoziale, al rispetto di regole procedimentali per la decisione di concludere il contratto
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non superiore a novanta giorni nel corso dell’anno solare.

(secondo quanto stabilito dall’art. 4 d.l. 543/93, conv. in I. 121/94, per contratti in scadenza
in periodi determinati), nel caso di violazione delle suddette regole procedimentali (atteso
che i vincoli previsti dalla legge tutelano direttamente gli interessati, aventi diritto al
puntuale rispetto delle obbligazioni strumentali rispetto all’utilità sperata del rinnovo del
contratto), è stata ritenuta la ricorrenza di un inadempimento in senso tecnico, con

n. 10904).
Ed in proposito, occorre pure tener conto del principio di correttezza e buona fede
nell’esecuzione del contratto (estensibile, per la ragione detta, all’adempimento degli
specifici obblighi di comportamento stabiliti dalla legge), quale espressione del dovere di
solidarietà fondato sull’art. 2 Cost., che impone a ciascuna delle parti del rapporto
obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra e costituisce dovere
giuridico autonomo a carico di entrambe, a prescindere dalla esistenza di specifici obblighi
contrattuali o di espresse previsioni di legge: con la conseguenza della risarcibilità del
danno derivato dall’inadempimento dovuto ad una tale violazione (Cass. 22 gennaio 2009,
n. 1618; Cass. 26 agosto 2008, n. 21250).
In particolare, la liquidazione del danno deve essere effettuata in base ai comuni principi
posti dall’art. 1223 e segg. c.c., senza possibilità di ricorso, ingiustificato e riduttivo,
operato in via analogica dalla Corte di merito, al sistema indennitario onnicomprensivo
previsto dall’art. 32 I. n. 183/2010 per la diversa ipotesi di conversione del contratto a
tempo determinato.
A tale accertamento provvederà il giudice di merito in sede di rinvio, designato nella Corte
d’appello di Cagliari in diversa composizione.
Sicchè, in accoglimento del quarto motivo del ricorso principale, respinti tutti gli altri e
rigettato, altresì, il ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con
rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, a detta Corte, che si uniformerà al
seguente principio di diritto: “Alle aziende di trasporti pubblici, se pure il loro statuto
preveda la possibilità di assumere personale con una modulazione del rapporto di lavoro
di natura privatistica, si applica la disciplina generale dettata dall’art. 5, quindicesimo e
diciassettesimo comma del d.l. n. 702/78, convertito con modificazioni nella legge n. 3/79,
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conseguente responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. (Cass. 24 maggio 2005,

con esclusione della conversione dei rapporti da tempo determinato a tempo
indeterminato. Dalla accertata nullità di diritto dei provvedimenti di assunzione temporanea
in violazione dei limiti di tale legge discende l’applicazione dei principi di diritto comune in
tema di responsabilità da inadempimento, che dà diritto al risarcimento del danno, che non
potrà essere commisurato all’indennità omnicomprensiva prevista dall’art. 32 della L.

P.Q.M.
la Corte riunisce i ricorsi, accoglie il quarto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri.
Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Cagliari in diversa
composizione.
Così deciso in Roma il 28 maggio 2014.

183/10 per la diversa ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato”.

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