Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17452 del 14/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/07/2017, (ud. 15/06/2017, dep.14/07/2017),  n. 17452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14419/2015 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

60, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PREVITI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLA PREVITI giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO SPA, H.D., S.L.,

G.P.;

– intimati –

nonchè da:

S.L., G.P., GRUPPO EDITORIALE L’ESPRESSO SPA, in

persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante,

Dott.ssa M.M., H.D., elettivamente

domiciliati in ROMA, P.ZA DEI CAPRETTARI 70, presso lo studio

dell’avvocato VIRGINIA RIPA DI MEANA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURIZIO MARTINETTI giusta procura a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CICERONE

60, presso lo studio dell’avvocato STEFANO PREVITI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLA PREVITI giusta

procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2610/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato;

udito l’Avvocato CARLA PREVITI;

udito l’Avvocato VIRGINIA RIPA DI MEANA;

udito l’Avvocato VALERIA VACCHINI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.F. conveniva in giudizio la società Gruppo Editoriale L’Espresso, il direttore responsabile H.D. e, quali autori, i giornalisti G.P. e S.L., chiedendo l’accertamento dell’illiceità di due pubblicazioni avvenute, sul periodico omonimo, il 3 marzo 2005 e il 10 marzo 2005. Assumeva che i due articoli avevano violato il divieto di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale ex art. 684 c.p.; erano stati contrari inoltre alle norme poste a tutela della “privacy” e in particolare al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 11; avevano integrato il reato di diffamazione con il mezzo della stampa. Chiedeva pertanto la condanna in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali, la condanna al pagamento di una somma a titolo di riparazione pecuniaria della L. 8 febbraio 1948, n. 47, ex art. 12; e la condanna alla pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani.

Si costituivano in giudizio il Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., H.D., G.P. e S.L., controdeducendo la carenza di legittimazione attiva del C. quanto alla pretesa pubblicazione arbitraria degli atti del procedimento penale, essendo essi riferiti alla società Mediaset; e, quanto al resto, la sussistenza della scriminante del diritto di cronaca e critica.

Il tribunale di Roma rigettava la domanda e la Corte di appello della stessa città disattendeva il gravame di merito articolato dall’attore.

Per la cassazione di quest’ultima decisione ricorre C.F. affidando le sue ragioni a tre motivi.

Resistono con controricorso il Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., H.D., G.P. e S.L., che formulano, inoltre, ricorso incidentale subordinato connotato da un motivo.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 684 c.p. e art. 114 c.p.p., in relazione alla pubblicazione dell’inciso “nel 1996 Mediaset è stata quotata in borsa sulla base di una falsa rappresentazione patrimoniale della società”, avvenuta con l’articolo del (OMISSIS). La corte territoriale – dopo aver ritenuto la natura plurioffensiva del reato, a tutela sia del corretto esercizio della giurisdizione sia della reputazione e della “privacy” delle persone coinvolte – ne ha escluso la sussistenza per la limitata estensione della pubblicazione testuale, vietata versandosi ancora nello stato dell’udienza preliminare. Si argomenta che tale perimetro dell’illecito non risulta avallato da alcuna norma. Si sottolinea che sebbene il riferimento risulti a Mediaset, deve considerarsi evidente la lesione della posizione soggettiva del C., posto che il passaggio risulta inserito nel contesto di un articolo in cui sono addebitate al medesimo pressioni nei confronti di un consigliere di amministrazione della società che avrebbe avuto perplessità sulla veridicità del bilancio di esercizio 1995, proprio quando mancavano poco più di due mesi alla quotazione in borsa della compagine.

Con il secondo motivo si prospetta, in conseguenza di quanto sopra, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 11 e 137, poichè la corte di appello ha ritenuto al contrario assorbito il motivo inerente alla violazione delle norme in materia di riservatezza, derivata da quella dell’art. 684 c.p., trattandosi di pubblicazione per definizione non corretta.

Con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione delle medesime norme di cui al motivo precedente, in relazione all’affermazione della decisione di primo grado secondo cui la tutela della “privacy” dell’imputato, così come quella all’onore e alla reputazione dello stesso, possono derivare non dalla mera violazione dell’art. 684 c.p., ma solo dalla contestuale integrazione del reato previsto dall’art. 595 c.p.. Si rileva, in questa chiave, che si tratta invece di illeciti diversi in quanto connotati da differenti fatti costitutivi.

2. Il ricorso è inammissibile.

Il primo e secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili per quanto di seguito si specifica.

Deve innanzi tutto farsi richiamo alla condivisibile giurisprudenza di legittimità con cui, componendo il previo contrasto, è stato affermato che la fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, di cui all’art. 684 c.p., integra un reato monoffensivo, tutelando solo l’amministrazione della giustizia e non anche la reputazione e la riservatezza del soggetto sottoposto a procedimento penale, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio, sicchè nessuna autonoma pretesa risarcitoria può essere avanzata dalla parte coinvolta nel processo per la sola violazione del precetto in parola, salvo, però, che dal fatto non sia derivata la lesione di beni della persona autonomamente tutelabili in base ad altre norme dell’ordinamento (Cass., Sez. U., 25/02/2016, n. 3727 e succ. conf.). La stessa nomofilachia ha quindi precisato che, al fine di verificare il danno non patrimoniale in tesi derivante dal reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, commesso dopo la conclusione delle indagini preliminari (ossia quando, in base all’art. 114 c.p.p., comma 7, gli atti non sono più segreti ma ne è vietata la pubblicazione testuale), la portata della violazione, sotto il profilo della limitatezza e della marginalità della riproduzione testuale di un atto processuale, va apprezzata dal giudice di merito, in applicazione del principio penalistico di necessaria offensività della concreta condotta ascritta all’autore, nonchè, sul piano civilistico, di quello dell’irrisarcibilità del danno non patrimoniale di lieve entità, espressione del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., di tolleranza della lesione minima. La relativa valutazione è incensurabile in sede di legittimità, ove congruamente motivata.

Ciò premesso, si osserva come la corte territoriale ha diversamente affermato la natura plurioffensiva del reato in questione, tutelando esso anche “la reputazione e la privacy” dei soggetti processuali (pag. 4), ma ha concluso che lo stesso non è stato, nel caso, integrato, poichè erano finite le indagini preliminari, doveva celebrarsi l’udienza preliminare, e quindi vigeva il divieto parziale di pubblicazione dei soli stralci testuali e non del contenuto per riassunto. Infatti – si legge nella motivazione – “gli appellati deducono l’avvenuta pubblicazione negli articoli in commento di mera sintesi critica del contenuto degli stessi, circostanza non contrastata dall’appellante che, come rilevato dal primo giudice, si limita ad affermare la pubblicazione di ampi stralci senza neppure specificare i brani asseritamente costituenti il contenuto” stesso, tranne che per il “virgolettato” dell’articolo del (OMISSIS), specificato, però, solo in “comparsa conclusionale”, e la cui “limitata estensione.. impedisce comunque che possa ritenersi integrata la pubblicazione parziale dell’atto e dunque configurabile l’illecito” (pag. 6).

Ne deriva che le “rationes decidendi” sono: infondatezza della pretesa per pubblicazione del solo contenuto degli atti; tardività della domanda quanto alla pubblicazione degli stralci e, in ogni caso, sua infondatezza per la limitata estensione della frase coinvolta.

L’ultima “ratio decidendi” mostra, peraltro, come la corte territoriale, pur affermando la plurioffensività del reato ex art. 684 c.p. e la sua insussistenza per la limitata estensione della frase coinvolta, deve ritenersi abbia implicitamente valutato la mancanza della lesione alla riservatezza del C.. Ciò facendo proprio perchè ha scrutinato gli effetti della pubblicazione dello stralcio anche alla luce del bene giuridico della riservatezza, assunto come protetto dalla norma.

Ma, in via assorbente, va osservato che il ricorrente, come pure osservato dagli intimati nelle loro difese, non ha impugnato la ritenuta tardività della precisazione della domanda quanto allo stralcio testuale, e non ha indicato, in chiave di autosufficienza, a quale atto del procedimento penale si debba riferire tale pubblicazione, non specificando, infine e appunto, quando la verifica di tale conformità sia stata devoluta al contraddittorio spiegato nelle fasi di merito.

Dal che deriva l’inammissibilità dei due motivi.

2.1. Quanto sopra assorbe, logicamente, il ricorso incidentale condizionato.

2.2. L’ultimo motivo di ricorso è infine manifestamente inammissibile essendo rivolto alla sentenza di primo grado.

3. Spese secondo soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali dei resistenti liquidate in Euro 7.500,00, oltre a Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. P.P..

Il collegio ha stabilito che la motivazione sia semplificata.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

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