Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17451 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 10/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25118-2017 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

SALLUSTIO, 9 presso lo studio dell’avvocato LORENZO SPALLINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO BECHINI;

– ricorrente –

contro

BPI SCPA BUSINESS PARTNER ITALIA SOCIETA’ CONSORTILE PER AZIONI,

PA.SA.;

– intimati –

Nonchè da:

BNP PARIBAS, e per essa, quale mandataria con rappresentanza, la

BUSINESS PARTNER ITALIA SOCIETA’ CONSORTILE PER AZIONI, in persona

dei procuratori, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VAL

GARDENA 3, presso lo studio dell’avvocato LUCIO DE ANGELIS, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente incidentale –

contro

P.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 643/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso,

assorbito l’incidentale;

udito l’Avvocato SPALLINA LORENZO per delega;

udito l’Avvocato MENDICINO CLAUDIO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza 17.3.2017 n. 643, ha rigettato l’appello proposto da P.F. e confermato la decisione di prime cure che aveva accertato la simulazione assoluta del contratto, stipulato tra i coniugi in data 14.3.2008, con il quale l’appellante aveva ceduto alla moglie Pa.Sa. il diritto reale di abitazione, per la quota del 50% di spettanza del comproprietario, sull’immobile destinato a casa familiare. La Corte territoriale rilevava che gli elementi indiziari convergenti alla dimostrazione della intenzione delle parti di creare una mera apparenza giuridica erano stati individuati dal Tribunale nella rilevante esposizione debitoria di Autovega s.r.l. nei confronti di BNL s.p.a. verso cui il P. era obbligato quale fidejussore; la dismissione dell’intero patrimonio immobiliare compiuta dal P. con la costituzione di un fondo patrimoniale in cui era confluito altro immobile; la qualità di coniuge della parte acquirente; la pratica utilità della costituzione di un diritto reale di abitazione a favore del coniuge che già disponeva in qualità di comproprietaria del godimento del bene; la mancanza di prova dell’effettivo pagamento del prezzo indicato nel contratto; del pregiudizio arrecato alle ragioni della banca creditrice attraverso lo svuotamento del contenuto del diritto proprietario del P..

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dal P. con quattro motivi.

Resiste BPI s.c.p.a. n. q. di mandataria di BNP Paribas s.a. con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi.

Non ha svolto difese la intimata Pa.Sa..

La parte resistente ha depositati memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Esame del ricorso principale.

Il primo motivo (violazione o falsa applicazione dell’art. 1703 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe individuato quale convenuto in primo grado BNP Paribas e quale ulteriore convenuto anche Business Partner Italia BPI s.c.p.a., risolvendosi tale errore in pregiudizio del debitore soccombente che potrebbe rimanere esposto ad una duplica azione esecutiva.

Dalla intestazione del verbale di udienza collegiale del giorno 17.3.2017 risultano effettivamente indicati quali convenuti Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., Pa.Sa. – entrambi contumaci – e “Busness” Partner Italia Società consortile per azioni, costituita in giudizio. Nel verbale di udienza è riportato che il Collegio invita le parti a discutere ai fini della emanazione della sentenza ex art. 281 sexies c.p.c. (norma cui rinvia per il giudizio di appello l’art. 352 c.p.c., comma 6), che le parti si riportano ai propri atti difensivi e quindi viene riportata la sentenza di cui il Collegio dà lettura sottoscritta dal relatore e dal presidente.

Orbene pur dovendosi, nel caso di specie, considerare il verbale di udienza e la relativa intestazione come parte integrante della sentenza, in quanto ad esso fa esplicito rinvio, quanto alla composizione del Collegio, la stessa sentenza allegata al verbale, e pur dovendo ritenersi che la indicazione delle parti sia elemento di validità della sentenza, non derogando l’art. 281 sexies c.p.c. alla disposizione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 2), osserva il Collegio che: a) eventuali errori inerenti la identificazione nominativa delle parti od anche la mancata indicazione di alcune della parti nella intestazione della sentenza non si traduce in vizio invalidante laddove dall’intero contenuto del provvedimento risulti in modo inequivoco quali fossero i soggetti che hanno partecipato al processo; b) nella specie dalla lettura della sentenza emerge inequivocamente che in primi grado l’azione era stata svolta da BNL s.p.a., mentre in secondo grado si era costituita l’appellata Business Partner Italia s.c.p.a. quale “procuratrice speciale di BNL s.p.a.”, risultando quindi inequivocamente identificate, tanto la “parte formale” (BPI s.c.p.a.) che aveva svolto l’attività difensiva nel processo, in quanto assistita e rappresentata in giudizio dal legale cui era stata conferita la procura ad litem, e nei confronti della quale, pertanto, dovevano essere compiuti gli atti processuali, quanto la “parte sostanziale” (BNL s.p.a. -attualmente la cessionaria del credito BNP Paribas s.a.-), titolare del rapporto di diritto sostanziale controverso e nei confronti della quale soltanto si producono, quindi, gli effetti regolativi delle situazioni giuridiche sostanziali facenti capo ai soggetti del rapporto giuridico come definiti dall’accertamento compiuto con efficacia di giudicato dal Giudice adito; c) non emerge dalla sentenza, nè tanto meno viene dedotto dal ricorrente, un vizio attinente la integrità del contraddittorio del giudizio svoltosi tra le parti come sopra indicate; d) insussistente è dunque il rilievo meramente pratico, e che non involge vizi di legittimità della sentenza, di una ipotetica promozione di plurimi procedimenti esecutivi da parte delle società mandante e mandataria, essendo del tutto agevole per il debitore esecutato paralizzare l’azione indebitamente promossa dal soggetto nei cui confronti il titolo esecutivo non può ritenersi formato.

In sostanza l’erronea indicazione come convenuta, nella intestazione del verbale di udienza, anche della parte sostanziale accanto a quella formale, non inficia la sentenza di appello, dovendo ribadirsi il principio secondo cui l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 7343 del 26/03/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 16535 del 28/09/2012; id. Sez. 2, Sentenza n. 5660 del 20/03/2015; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 22275 del 25/09/2017).

Anche il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1260 e 1703 c.c., dell’art. 111 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

Il testo materiale della sentenza della Corte d’appello reca un ulteriore errore materiale laddove indica BPI s.c.p.a. quale procuratrice speciale di Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. anzichè di BNP Paribas alla quale era stato ceduto unitamente ad altri anche il credito litigioso.

Il fatto non produce la violazione di norme di diritto in ordine tanto alla disciplina della cessione dei crediti, quanto a quella del mandato o della successione delle parti a titolo particolare nel processo, atteso che alcuna contestazione è stata mai mossa dall’attuale ricorrente in ordine ai poteri procuratori conferiti alla mandataria BPI s.c.p.a. od in ordine alla titolarità del rapporto sostanziale controverso in capo alla cessionaria BNP Paribas s.a..

Ne segue che, anche in questo caso le inesatte indicazioni contenute nella sentenza impugnata non incidono sulla validità del provvedimento ma si risolvono in errori materiali suscettibili di essere emendati con il procedimento di correzione ex artt. 287 e 288 c.p.c.

Vale peraltro rilevare come lo stesso procuratore del ricorrente riferisce che BPI s.c.p.a. ha proposto ricorso in data 21.3.2017 per correzione dell’errore materiale evidenziato nel secondo motivo, procedimento iscritto presso la Cancelleria della Corte d’appello di Firenze al RG n. 2568/2014-1, e definito con ordinanza della Corte d’appello in data 1.12.2017 che ha riconosciuto gli errori provvedendo alla correzione della sentenza di appello n. 643/2017 nella parte in cui BPI s.c.p.a. veniva indicata quale “procuratrice di BNL s.p.a.” anzichè “procuratrice speciale di BNP Paribas” (vedi memoria ex art. 378 c.p.c. della parte resistente, pag. 2).

Il terzo motivo (illogica e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) è inammissibile.

Il ricorrente viene a reiterare le precedenti censure sotto diverso profilo di legittimità che rimane peraltro del tutto inesplicato, non essendo svolto alcun argomento giuridico, esaminabile da questa Corte, inteso a dimostrare che nel caso di specie non si verta in tema di errori materiali ma di vizi attinenti alla attività di giudizio sostanziale o processuale.

Il quarto motivo (violazione o falsa applicazione degli artt. 2729 e 1414 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

Il ricorrente sostiene che il Giudice di appello ha erroneamente valutato gli elementi indiziari ed in particolare la circostanza che il contratto tra coniugi avente ad oggetto l’attribuzione del diritto di abitazione sulla casa familiare, nella misura della quota del 50%, fosse stato stipulato per sottrarre beni ai creditori, quando in realtà il P. continuava ad essere titolare per il 50% della proprietà del bene immobile. Inoltre tale sottrazione fraudolenta del bene alla garanzia patrimoniale dei creditori imponeva la consapevolezza dell’acquirente Pa., non essendo invece quest’ultima a conoscenza della esposizione debitoria della società, di cui il marito si era fatto garante, in quanto estranea alla compagine sociale.

La censura non risponde ai requisiti strutturali del vizio di errore di fatto così come definito nel paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo riformato dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012 applicabile ratione temporis.

E’ appena il caso di evidenziare come tale norma processuale consente di sindacare in sede di legittimità esclusivamente in relazione all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”: l’ambito in cui opera il vizio motivazionale deve individuarsi, pertanto, nella omessa rilevazione e considerazione da parte del Giudice di merito di un “fatto storico”, principale o secondario, ritualmente verificato in giudizio e di carattere “decisivo” in quanto idoneo ad immutare l’esito della decisione (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016), non accedendo alla verifica di legittimità la critica alla inadeguatezza del percorso logico posto a fondamento della decisione condotta alla stregua di elementi istruttori extratestuali, residuando oltre alla ipotesi omissiva indicata soltanto la verifica della esistenza del requisito essenziale di validità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), inteso nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6. E, nella specie, alcun fatto storico “decisivo”, ritualmente dedotto ed acquisito al giudizio a seguito della verifica istruttoria, che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare, risulta indicato dal ricorrente nel motivo in esame.

Nè viene formulata alcuna adeguata critica in ordine alla applicazione dello schema normativo della prova presuntiva ex artt. 2727 e 2729 c.c., risolvendosi l’affermazione della mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in una mera diversa valutazione di apprezzamento degli elementi probatori, insindacabile in sede di legittimità.

Il mancato accoglimento del ricorso principale determina l’assorbimento dell’esame dei motivi di ricorso incidentale condizionato proposti dalla resistente BPI s.c.p.a.

In conclusione il ricorso principale deve essere dichiarato inammissibile; il ricorso incidentale condizionato va dichiarato assorbito; il ricorrente è tenuto a rifondere le spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso principale. Dichiara assorbito il ricorso incidentale.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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