Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17451 del 14/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/07/2017, (ud. 15/06/2017, dep.14/07/2017),  n. 17451

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – rel. Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29100/2014 proposto da:

D.G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI

35, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LAURO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANNAMARIA TUFANO giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ EUROPEA DI EDIZIONI SPA, in persona dell’Amministratore

Delegato e legale rappresentante, Dott. F.A.,

B.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SISTINA 118, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRO MUNARI, che li rappresenta e difende

giusta procura a margine del controricorso;

J.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G B DE

ROSSI 32, presso lo studio dell’avvocato ANNA SISTOPAOLI, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3831/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/06/2017 dal Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ANNA MARIA TUFANO;

udito l’Avvocato ANDREA PANTELLINI per delega;

udito l’Avvocato ANNA SISTOPAOLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.G.A. conveniva in giudizio la S.E.E. s.p.a., Società Europea di Edizioni, B.M., quale direttore responsabile del Giornale, e l’allora senatore J.R., per ottenere la condanna in solido al risarcimento dei danni non patrimoniali cagionati dalla pubblicazione di alcuni articoli ritenuti diffamatori.

Il fatto sotteso alla pretesa era costituito dal diniego, pronunciato dal Tribunale di sorveglianza di Napoli presieduto dall’attrice, alla richiesta, avanzata dallo J., di ottenimento del beneficio dell’affidamento in prova ai servizi sociali, in conseguenza di un cumulo di pene, per una pluralità di condanne, emesse per il reato di diffamazione a mezzo della stampa.

A seguito di ciò il suddetto quotidiano pubblicava alcuni scritti di pugno dello J. e sue interviste, da cui la D.G. allegava era stata ingiustamente lesa nei descritti termini.

I convenuti resistevano allegando la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca e, in particolare nel caso dello J., di critica.

Il tribunale di Milano rigettava la domanda, con sentenza confermata dalla Corte di appello meneghina.

Per la cassazione di quest’ultima decisione ricorre D.G.A., affidando le sue ragioni a due motivi.

Resistono con controricorso J.R., la Società Europea di Edizioni s.p.a. e B.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2,21 Cost., art. 2043 c.c., artt. 51,185,595,596-bis c.p..

Parte ricorrente indica in particolare che:

– nell’articolo del (OMISSIS) lo J. non si era limitato alla critica dei provvedimenti che lo riguardavano o al commento dei fatti, fornendone una narrazione non corrispondente alla realtà e rielaborandoli in modo distorsivo e produttivo di disvalore. In particolare avrebbe lasciato intendere che, sebbene la Corte di Cassazione avesse annullato la condanna a suo carico, la ricorrente aveva proceduto in spregio a tale decisione. Lo J. era, inoltre, parlamentare europeo impegnato in questioni concernenti la giustizia, e dunque non era credibile ignorasse il funzionamento degli organi giudiziari;

– nell’articolo del (OMISSIS) la presidente D.G. era stata denigratoriamente dequalificata, e le si era falsamente addebitato di aver denunziato per falso ideologico il procuratore generale di Napoli al solo fine di intimidirlo e fargli sospendere l’emissione di un provvedimento favorevole allo J., e di aver disatteso la pronuncia della Corte di Cassazione che la dichiarava incompetente;

– nell’articolo dell'(OMISSIS) lo J. aveva denunciato l’arretrato del Tribunale di sorveglianza napoletano riferendolo alla ricorrente quale presidente, colpita indicandola come colpevolmente dedita a funzioni, come scrivere saggi, estranee al funzionamento dell’ufficio;

– negli articoli del (OMISSIS) lo J. era tornato sulla denuncia per falso ideologico, facendo poi varie affermazioni connotate da un intento puramente denigratorio a fronte del quale la narrazione del fatto storico diventava secondaria;

– nell’articolo del (OMISSIS) era stata analogamente superata la continenza con accuse animate dal medesimo intento e inveritiere.

Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 21 Cost., artt. 2043,2049,2055 c.c., artt. 51,57,185,595,596-bis c.p., L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 11, perchè l’editore e direttore del quotidiano coinvolto avevano permesso la pubblicazione di articoli connotati da una valenza spregiativa priva di reale collegamento con un’effettiva utilità sociale a conoscere i fatti e non le valutazioni personali dell’intervistato obiettivamente diffamanti, così da divenirne dissimulati coautori.

2. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Il nodo della questione proposta risiede nella valutazione della continenza delle espressioni utilizzate negli scritti e nelle interviste in parola, posto che sulla rilevanza pubblica dei fatti ad esse sottesi non può esservi dubbio, in quanto afferenti a una vicenda coinvolgente un magistrato con funzioni apicali e un parlamentare europeo poi sfociata, sebbene precisato solo in controricorso, nella concessione della grazia da parte del Presidente della Repubblica.

Al riguardo, però, la mancanza di una riproduzione, diretta o indiretta ma compiuta, degli articoli che avrebbero segnato il trasmodare dedotto, non permette di scrutinare la denuncia. Difatti, la parte che muova critiche, sul punto, alla valutazione effettuata dal giudice di merito, sia in fatto che in diritto, circa la natura lesiva dello scritto in questione, è tenuta, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, a individuare – se del caso riproducendolo direttamente, ove necessario in relazione all’oggetto della critica di cui al motivo, ed eventualmente indirettamente, ove l’apprezzamento della critica lo consenta – il contenuto dell’articolo nella parte cui la critica si riferisce, specificando anche dove la Corte possa esaminarlo per verificare la conformità del contenuto riprodotto rispetto a quello effettivo (Cass., 11/02/2009, n. 3338). Cosa che nella specie non risulta avvenuta.

In ricorso, quanto ai primi tre articoli non si riproducono neppure singole parti ma se ne offre solo un conto valutativo, senza indicare dove gli articoli risultino essere stati prodotti. Quanto agli altri tre articoli scandagliati, si estrapolano solo incisi di frasi mai compiutamente riportate, così da impedire una completa e propria valutazione del contesto in cui sarebbero risultate collocate. Contesto non evincibile nemmeno dalla parziale esposizione sommaria dei fatti (non è descritta neanche la dinamica relativa alla pronuncia sulla competenza del tribunale, così come quella relativa all’ipotizzato falso). Anche in tale ultimo caso senza specificare dove gli articoli risultino essere stati riprodotti.

Sotto tale profilo, e fermo ciò che si sta per precisare subito di seguito per ciò che riguarda la valenza “ex se” di singole locuzioni, ne deriva l’inammissibilità di entrambi i motivi, risultando impossibile valutare, nella cornice del ricorso di legittimità, l’eventuale erroneità della sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta delineata dalla norma dirimente, sia quanto all’illecito di diffamazione dell’autore, sia quanto alla condotta del direttore del giornale e dell’editore che permisero la pubblicazione di articoli e interviste, a quest’ultimo riguardo non essendo dato capire neppure quali furono gli uni e quali furono le altre.

2.1. Residua, come si è appena anticipato, un unico profilo: quello inerente alla gratuita offensività che ad alcune espressioni, riportate in ricorso, potrebbe attribuirsi autonomamente e, cioè, a prescindere dal contesto.

E va qui precisato che non ci si riferisce alla frase (rispetto alla quale si è invocato in ricorso il superamento della continenza) con cui lo J. ha affermato l’ignoranza, da parte della ricorrente, delle regole processuali anche basilari, posto che si rientra nella sia pur aggressiva critica contenutistica.

Sebbene, però, le suddette espressioni possano in tesi ritenersi, di per sè, idonee a superare il limite della continenza formale, sul punto il ricorso non formula adeguata censura, che sia, cioè, specificatamente rivolta ad esse discutendone puntualmente l’autonoma portata alla precipua luce del parametro in parola. La censura degli incisi è in tal senso oggetto, in tutto l’atto, di una mescolanza di profili a cominciare da quello inerente al parametro della verità dei fatti riferiti (cfr., per l’inammissibilità della c.d. mescolanza di motivi e questioni oggetto del ricorso per cassazione, Cass., 14/09/2016, n. 18021). E anche il riferimento esplicito alla “continenza espressiva, sia formale che sostanziale” contenuto a pag. 14 del ricorso, risulta infine cumulativo e generico.

3. Spese secondo soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali dei resistenti liquidate in Euro 2.800,00 oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di spese forfettarie, oltre accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Motivazione redatta con la collaborazione dell’assistente di studio Dott. P.P..

Il collegio ha stabilito che la motivazione sia semplificata.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2017

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