Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1745 del 25/01/2011

Cassazione civile sez. III, 25/01/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 25/01/2011), n.1745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31432/2006 proposto da:

S.L. (OMISSIS), D.D.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL

MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato PETRILLI ANTONELLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato ZURLO Francesco, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

BANCA DEL LAVORO S.P.A. (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata, in ROMA,

LUNGOTEVERE FLAMINIO 76, presso lo studio dell’avvocato MACCALLINI

Carlo, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

S.N. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 382/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

emessa il 21/02/2006, depositata il 24/05/2006, r.g.n. 958/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. RAFFAELLA LANZILLO;

udito l’avvocato ANTONELLA CARNEVALI per delega dell’avvocato CARLO

MACCALLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 382/2006, depositata il 24 maggio 2006 e notificata il 27 luglio 2006, la Corte di appello dell’Aquila, in riforma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Sulmona, ha accolto l’azione revocatoria proposta dalla Banca Nazionale del Lavoro nei confronti dell’atto 25.1.1996 con cui S.N. – suo debitore in virtù di fideiussione prestata per la s.r.l. Traficante e S. – aveva trasferito alla figlia L. e al marito di lei, D.D.G. beni immobili di sua proprietà, per il prezzo di L. 115.780.000.

Gli acquirenti propongono quattro motivi di ricorso per cassazione.

Resiste la Banca con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- I primi tre motivi, con cui i ricorrenti addebitano alla sentenza impugnata violazione di legge e vizi di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto dimostrati i presupposti per la revoca di cui all’art. 2901 cod. civ., sono inammissibili ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ..

I quesiti di diritto, formulati in relazione alle denunciate violazioni di legge (primo e terzo motivo), sono generici e astratti;

non enunciano la fattispecie da decidere; il principio che si assume erroneamente applicato dalla Corte di appello, nè quello diverso che si vorrebbe venisse formulato in sua vece, sì da consentire alla Corte di formulare con la decisione un principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili a quello di specie, come prescritto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr.

Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. 3^, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535).

I ricorrenti si limitano a chiedere “…Se il fatto noto posto a base del ragionamento presuntivo debba rivestire i caratteri della certezza e della concretezza…..: se il giudice possa trarre un fatto ignoto da altro fatto ignoto e come tale esso stesso presunto” (primo motivo), e “…se il principio indicato nella sentenza sopra richiamata sia stato correttamente applicato, in difetto di qualsivoglia accertamento in fatto in ordine all’eterogeneità dei beni venduti” (terzo motivo).

Non emerge dalle suddette proposizioni quale sia il caso concretamente deciso, e si da per presupposto ciò che sarebbe da dimostrare, cioè che il giudice ha tratto la prova di un fatto ignoto da altro fatto ignoto ed ha male applicato un principio di legge (che peraltro non viene richiamato).

Per quanto concerne il secondo motivo ed in genere le doglianze di vizi di motivazione, manca un momento di sintesi delle censure analogo al quesito di diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe da ritenere omessa, insufficiente o contraddittoria e le ragioni per cui essa è da ritenere inidonea a giustificare la soluzione adottata, come prescritto dall’art. 366 bis, ult. parte (Cass. civ. Sez. Un. 1 ottobre 2007 n. 20603 e 18 giugno 2008 n. 16258; Cass. Civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 n. 2652; Cass. Civ. Sez. 3, 7 aprile 2008 n. 8897, n. 4646/2008 e n. 4719/2008, fra le tante).

Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo la completa lettura dell’illustrazione del motivo – all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anzichè su indicazione della parte ricorrente – consenta di comprenderne il contenuto ed il significato (Cass. civ., Sez. 3, ord. 16 luglio 2007 n. 16002, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

2.- Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2901, 3 comma, cod. civ., sul rilievo che la Corte di appello ha revocato l’atto di vendita degli immobili sebbene essi avessero fornito la prova che il relativo prezzo doveva essere utilizzato, ed è stato effettivamente utilizzato, per il pagamento di un debito scaduto.

Assumono che il principio per cui non è revocabile l’atto con cui si provveda all’adempimento di un debito scaduto è da ritenere applicabile anche ai casi in cui si tratti di atto destinato a procurarsi il denaro per far fronte al pagamento del debito, e che essi hanno fornito la prova di avere pagato cambiali per l’importo di L. 144.000.000 – venute a scadenza nel settembre 2005 – il 26.1.1996, dopo avere riscosso il prezzo di vendita degli immobili (essendo stato l’atto stipulato il 25.1.1996).

2.1.- Il motivo è inammissibile perchè non congruente con la motivazione della sentenza impugnata, che non ha disatteso il principio sopra enunciato, ma lo ha ritenuto applicabile solo nei casi in cui il debitore fornisca la prova che l’alienazione è stata motivata dall’imprescindibile necessità di far fronte alle sue obbligazioni e di non avere avuto altra possibilità che quella di procedere all’alienazione.

I ricorrenti nè hanno contestato l’affermazione di principio (peraltro conforme alla giurisprudenza di questa Corte: cfr. Cass. civ. Sez. 3, 21 luglio 2006 n. 16756 e 13 maggio 2009 n. 11051); nè hanno dedotto e dimostrato nel ricorso di avere fornito la prova delle suddette circostanze.

3.- Il ricorso deve essere rigettato.

4.- Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2011

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