Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1745 del 23/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 23/01/2019, (ud. 17/09/2018, dep. 23/01/2019), n.1745

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6266/2012 R.G. proposto da:

Impresa Moroni s.r.l., in persona del l.r.p.t., rappresentata e

difesa dall’avv. Salvatore Lorenzo Campo, del foro di Varese, ed

elettivamente domiciliata in Roma alla via S. Leo n. 48/C presso

l’avv. Alessia Bernardi;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 06/38/11 emessa il 12/10/2010 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione 38,

depositata il 13/01/2011 e non notificata;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 17/9/2018 dal

Consigliere Giudicepietro Andreina;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso;

udito l’avvocato della società ricorrente Salvatore Lorenzo Campo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Impresa Moroni s.r.l. ricorre con due motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 06/38/11, emessa il 12/10/2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione 38, depositata il 13/01/2011 e non notificata, che, in controversia concernente l’impugnativa dell’avviso di accertamento, notificato il 29/5/2009, con cui l’Amministrazione determinava per l’anno di imposta 2005 un maggior ricavo dalla vendita di immobili e, quindi, maggiori Ires, Irap, Iva e relative sanzioni nei confronti della società, ha rigettato gli appelli, principale ed incidentale, proposti rispettivamente dalla contribuente e dall’Ufficio, confermando la sentenza di primo grado e compensando le spese di lite.

2. Per quanto di interesse, con la sentenza impugnata la C.T.R. della Lombardia ha ritenuto che legittimamente l’Amministrazione avesse proceduto all’accertamento di maggiori ricavi derivanti dalla vendita di tredici appartamenti ed altrettanti box auto, sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti, consistenti nel valore del mutuo richiesto da alcuni degli acquirenti, di gran lunga superiore al prezzo dichiarato nell’atto di compravendita, nella differenza di prezzo tra immobili uguali per categoria, classe e superficie, nell’incoerenza tra valori di costo degli immobili e ricavi dichiarati.

3. A seguito del ricorso della contribuente, l’Agenzia delle Entrate si è costituita, resistendo con controricorso.

4. La contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso, la società contribuente censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè i giudici di appello avrebbero ritenuto legittimo l’atto impositivo, nonostante fosse privo di adeguata motivazione.

1.2. Il motivo è inammissibile, poichè difetta di autosufficienza e della necessaria specificità.

1.3. Secondo la ricorrente l’avviso di accertamento non conterrebbe una motivazione idonea a spiegare le modalità di rideterminazione del valore al metro quadro degli immobili; le carenze motivazionali dell’avviso di accertamento sarebbero state colmate dalla motivazione nuova, introdotta inammissibilmente dall’Amministrazione solo con l’atto di costituzione in appello.

Il ricorso, però, non riporta la motivazione integrale dell’atto impositivo, che si assume carente, e non consente, quindi, la valutazione in ordine alla pretesa “novità” delle argomentazione contenute nell’atto di costituzione in appello dell’Amministrazione.

2.1. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Secondo la ricorrente il giudice di appello erroneamente ha ritenuto la sussistenza di gravi incongruenze, sufficienti a legittimare il ricorso dell’Amministrazione finanziaria all’accertamento induttivo dei maggiori ricavi.

2.2. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

2.3. Come dedotto da parte controricorrente, il motivo deve ritenersi inammissibile, laddove inteso ad introdurre valutazioni di merito, precluse in sede di legittimità.

In particolare, risulta preclusa nel giudizio di legittimità la valutazione sulla rilevanza probatoria degli elementi indiziari, valutazione rimessa esclusivamente al giudice di merito ed impugnabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio motivazionale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Limitando, invece, l’esame del motivo all’interpretazione ed applicazione della norma, che la ricorrente assume violata, esso risulta infondato, poichè il giudice di appello non ha trascurato di valutare la sussistenza degli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che giustificano l’accertamento analitico – induttivo dei maggiori ricavi, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d).

La C.T.R. della Lombardia, infatti, ha ritenuto che legittimamente l’Amministrazione avesse proceduto all’accertamento di maggiori ricavi derivanti dalla vendita di tredici appartamenti ed altrettanti box auto, sulla base di elementi, considerati dal giudice di appello gravi, precisi e concordanti, consistenti nel valore del mutuo richiesto da alcuni degli acquirenti, di gran lunga superiore al prezzo dichiarato nell’atto di compravendita, nella differenza di prezzo tra immobili uguali per categoria, classe e superficie, nell’incoerenza tra valori di costo e ricavi dichiarati (Euro 68.945,00 annui, evidentemente ritenuti sottodimensionati per il settore edile).

3.1. Atteso il rigetto complessivo del ricorso, la ricorrente va condannata al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2019

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