Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1745 del 20/01/2022
Cassazione civile sez. VI, 20/01/2022, (ud. 09/11/2021, dep. 20/01/2022), n.1745
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18650-2020 proposto da:
S.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLA
FALCONIERI, 100, presso lo studio dell’avvocato PAOLA FIECCHI,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MACCIOTTA;
– ricorrente-
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del
Direttore pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della
Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio
dell’avvocato LELIO MARITATO, che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati EMANUELE DE ROSE, ANTONIETTA CORETTI, CARLA
D’ALOISIO, ANTONINO SGROI;
– controricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS);
– intimata –
avverso la sentenza n. 241/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,
depositata il 04/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 09/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GUGLIELMO
CINQUE.
Fatto
RILEVATO
che:
1. La Corte di appello di Cagliari, con la sentenza n. 241/2019, in accoglimento del gravame proposto dall’INPS in proprio e nella qualità di mandatario della SCCI spa nei confronti di S.A.M. e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Cagliari, ha dichiarato S.A.M. tenuta all’iscrizione presso gli esercenti attività commerciali INPS per gli anni 2008 – 2015 e al pagamento della relativa contribuzione, come portata nelle cartelle esattoriali e negli avvisi di addebito opposti.
2. I giudici di seconde cure hanno rilevato, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite, che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che la S. non avesse prestato lavoro aziendale in favore della società Telis srl e Bilancia srl e non avesse, quindi, l’obbligo di iscrizione nella Gestione Commercianti INPS.
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione S.A.M. affidato a tre motivi cui ha resistito l’INPS, in proprio e quale mandatario della SCCI spa; l’Agenzia delle Entrate – Riscossione non ha svolto attività difensiva.
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 2697 c.c., anche alla luce della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 2003, per avere erroneamente la Corte di merito non solo considerato assolto l’onere probatorio incombente sull’INPS (affermando che erano stati forniti precisi elementi probatori) ma anche per avere anche sostenuto che fosse onere di essa S. indicare quali soggetti operassero in azienda in qualità di lavoratori dipendenti e collaboratori esterni, al fine di escludere un suo coinvolgimento nel lavoro aziendale delle società.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto gravi, precisi e concordanti gli elementi presuntivi posti dall’INPS a sostegno della pretesa contributiva e per avere applicato una praesumptio de praesumptio in ordine alla ricostruzione della vicenda.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole dell’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla cessazione dell’incarico, nel novembre 2007, di amministratore unico con riguardo alla società Telis srl.
5. Il primo motivo è inammissibile.
6. Invero, la asserita violazione dell’art. 2697 c.c., sussiste, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 17313 del 2020).
7. Nel caso in esame, invece, la Corte territoriale, attraverso una valutazione delle risultanze istruttorie, ha ritenuto che l’INPS aveva fornito precisi elementi probatori dai quali si desumeva che le due società, Telis srl e Bilancia srl, operavano con l’esclusivo apporto personale della S. con carattere di abitualità e di prevalenza, non potendo le aziende operare senza la continua attività lavorativa e non svolgendo la predetta S. altre attività soggette a gestioni previdenziali diverse da quella commerciale.
8. Va sottolineato, al riguardo, che la valutazione sulle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467 del 2017).
9. Risultano, altresì, inammissibili le censure contenute nel secondo motivo attinenti alla presunta violazione dell’art. 2729 c.c..
10. Le predetta violazione, infatti, non sussiste nel caso di specie, non risultando alcun vizio di sussunzione. Quest’ultimo ricorre allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato gli indizi raccolti come gravi precisi e concordanti, non li ritenga inidonei a fornire la prova presuntiva, oppure, al contrario, sebbene li abbia reputati privi dei requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., li consideri comunque sufficienti a dimostrare il fatto controverso. (Cass. n. 29635 del 2018; Cass. n. 3541 del 2020)
11. Pertanto, affinché possa essere correttamente censurata l’applicazione dell’art. 2729 c.c., è necessario che la doglianza verta sull’insussistenza dei requisiti della presunzione nel ragionamento condotto nella sentenza impugnata, mentre non può contenere argomentazioni atte a ad indebolirne l’attendibilità mediante la critica della ricostruzione del fatto o l’utilizzazione di altri ed ulteriori fatti storici non risultanti dalla motivazione. (Cass. n. 1163 del 2020; Cass. n. 18611 del 2021).
12. Nella fattispecie, invece, con adeguata e congrua motivazione la Corte di merito ha precisato che le risultanze delle deposizioni testimoniali, unitamente alla mancata disponibilità, da parte della S., di personale ausiliario identificabile, inducevano a ritenere che quest’ultima operasse personalmente per la direzione dell’azienda.
13. Non si verte, pertanto, in una ipotesi di violazione dell’art. 2729 c.c., ma di accertamento di fatto e di ritenuta pertinenza delle prove raccolte che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371 del 1995).
14. Il terzo motivo è infondato.
15. La cessazione dell’incarico di amministratore, nel novembre del 2007, nella società Telis srl, denunciato quale fatto omesso nella censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’economia del presente giudizio, non si rivela quale fatto decisivo a fronte, invece, dello accertato svolgimento, da parte della S., di attività lavorativa con carattere di abitualità e prevalenza presso la suddetta società e in mancanza di iscrizione in altre gestioni previdenziali diverse da quella commerciale.
16. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
17. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo; nulla va disposto per l’intimata che non ha svolto attività difensiva.
18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; nulla per l’altra intimata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022