Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17448 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28633-2017 proposto da:

O.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO OLGIATA 15

ISOLA 106 ED. A/7, presso lo studio dell’avvocato FULVIA TRINCIA,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO MARTINO, VINCENZO

OLIVA;

– ricorrente –

contro

SOC. COOP. ED. A.R.L. ACLI CASA LOURDES IN LIQUIDAZIONE, domiciliato

ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO RUSSO;

– controricorrente –

e contro

S.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3106/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 03/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto;

udito l’Avvocato VINCENZO OLIVA;

udito l’Avvocato FRANCESCO MARTINO;

udito l’Avvocato ANTONIO RUSSO;

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.V. si opponeva, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – sezione distaccata di Aversa – al decreto ingiuntivo notificatogli dalla cooperativa ACLI Casa Lourdes, avente ad oggetto il pagamento di Euro 35.146,19, quale quota parte delle somme pretese dal Comune di Cesa in ragione dell’assegnazione dei lotti ricadenti nel PEEP e destinati alla realizzazione di insediamenti di edilizia residenziale pubblica.

Ai sensi della L. n. 865 del 1971, il comune di Cesa aveva decretato l’occupazione d’urgenza di taluni lotti ricadenti nel Peep ed i suoli individuati erano stati assegnati al consorzio CO.NA.PE., affinchè provvedesse ad espletare le procedure di esproprio e ad edificare gli immobili previsti nel piano. Il consorzio, poi, aveva, a sua volta, assegnato i lotti alle cooperative da cui era partecipato, tra cui la cooperativa ACLI casa Lourdes, che sui lotti di cui era assegnataria aveva edificato villette a schiera. Una di esse era stata acquistata nel 1997 dal socio O.V., il quale si era obbligato a pagare quanto dovuto dalla cooperativa Acli Casa Lourdes per l’espletamento delle procedure di esproprio necessarie per l’acquisizione dei lotti assegnati dal comune. Essendo stato condannato giudizialmente a corrispondere ai privati proprietari dei terreni somme di denaro a titolo di risarcimento del danno per mancata tempestiva adozione del decreto di esproprio e per la irreversibile trasformazione del suolo e per occupazione illegittima, il Comune di Cesa si era rivalso nei confronti della cooperativa Acli Casa Lourdes, la quale aveva chiesto e ottenuto, nei confronti dei suoi soci, tra cui O.V., decreto ingiuntivo per ottenere quanto dovutole in ragione dei millesimi attribuiti loro.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 428/12, accoglieva l’opposizione di O.V. e revocava il decreto ingiuntivo.

Tale sentenza veniva impugnata dalla cooperativa ingiungente dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli che, con sentenza n. 3106/17, pubblicata il 3/07/2017, rigettava l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo e poneva a carico di O.V. il pagamento delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

In particolare, la Corte d’Appello di Napoli, per quanto di interesse, riteneva che la previsione dell’art. 4 del contratto di acquisto, secondo il quale qualsiasi onere a qualsiasi titolo dovuto in relazione alle procedure espropriative per indennità di esproprio era a carico di O.V., andava interpretato nel senso di includere le somme dovute per l’acquisizione dei suoli su cui era stato edificato, anche a titolo risarcitorio. Sebbene i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. siano governati da un principio di gerarchia interna, la necessità di ricostruire la comune intenzione delle parti stipulanti senza limitarsi al senso letterale delle parole, ma avendo riguardo al comportamento complessivo dei contraenti, induceva il giudice a quo a ritenere che il termine indennità di esproprio contenuto nella clausola citata dovesse essere riferito a tutte le somme da sborsare a titolo di pagamento per l’acquisizione dei suoli sui quali erano state realizzate le villette sia a titolo di occupazione legittima sia a titolo di risarcimento del danno per occupazione illegittima e per irreversibile trasformazione dei suoli. Inoltre, la L. n. 865 del 1971, art. 35 ed in particolare il comma 12, imponendo ai soci delle cooperative assegnatarie dei suoli edificati di sostenere tutte le spese e gli esborsi necessari per l’acquisizione dei suoli, non distingue tra titoli derivanti da procedure ablative legittime non; in ragione di ciò concludeva che gli oneri e le somme sborsate per l’acquisto dei suoli oggetto di edificazione dovessero essere sostenuti dagli assegnatari degli edifici dell’edilizia economica e popolare pro-quota in ragione dei millesimi loro assegnati. Quanto alla sussistenza dell’obbligo della cooperativa di pagare il risarcimento e le indennità, rilevava che all’art. 10 della convenzione del 1993 tra il consorzio CO.NA.PE. e la cooperativa edilizia Acli Casa di Lourdes era previsto che il consorzio conferisse delega all’esproprio già di sua competenza alle cooperative assegnatarie. Proprio in virtù di tale previsione, il comune di Cesa, condannato giudizialmente al pagamento del risarcimento del danno in favore dei proprietari dei suoli irreversibilmente trasformati in assenza di valido titolo abilitativo, aveva inviato alla cooperativa ingiungente la richiesta di rimborso – atto di diffida e messa in mora al fine di ottenere il rimborso delle predette poste risarcitorie. In precedenza analoghe domande erano state formulate anche direttamente nei confronti dei soci della Cooperativa Acli Casa di Lourdes.

O.V. ricorre per la cassazione di tale sentenza, formulando quattro motivi.

Resiste con controricorso la Società cooperativa Acli Casa Lourdes.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 103 e 332 c.p.c., per non aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.P., citato nel giudizio di primo grado.

2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente assume l’errata interpretazione ed applicazione dell’art. 4 del contratto di assegnazione e di acquisto della villetta a schiera intercorso con la cooperativa Acli Casa Lourdes nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 35 e la violazione e falsa applicazione dei principi di diritto di cui alla sentenza n. 369/1996 della Corte Costituzionale in relazione alla L. n. 362 del 1996 nonchè ex sent. Cass. 14432/2016 con violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 35 con violazione e falsa applicazione degli artt. 2495 e 2697 c.c., unitamente agli artt. 113 e 116 c.p.c.

Per il ricorrente il giudice a quo avrebbe usato “termini concettuali travisanti e monchi” dell’art. 4 del contratto di assegnazione e trasferimento, che erroneamente l’avrebbero indotta a fare propria una nozione estensiva dell’espressione indennità di esproprio; il tenore letterale della clausola “qualsiasi onere, a qualsiasi titolo dovuto relativamente all’indennità di esproprio” sarebbe stato trasformato dalla sentenza impugnata nel diverso “qualsiasi onere, a qualsiasi titolo dovuto, in relazione alle procedure espropriative per indennità di esproprio”. Il senso della previsione ne sarebbe risultato trasformato perchè anzichè limitare l’obbligo degli assegnatari all’indennità di esproprio, cioè “al corrispettivo dato al proprietario (semplicemente) come indennizzo per l’acquisizione del bene espropriato”, lo avrebbe esteso alle procedure espropriative.

Che l’indennità di esproprio dovesse essere tenuta distinta dalla pretesa risarcitoria sarebbe confermato dalla sentenza n. 369/1996 della Consulta richiamata in maniera “illogica ed inadeguata” nel caso di specie ove era necessario circoscrivere diversi titoli e responsabilità facenti capo al Comune di Cesa ed al Consorzio CO.NA.PE.

Errata sarebbe anche la conclusione che il Collegio ha tratto dalla L. n. 865 del 1971, art. 35, comma 12, il quale si limita a prevedere che “il prezzo di gestione delle aree è determinato in misura pari al costo di acquisizione delle aree stesse nonchè al costo delle relative opere di urbanizzazione in proporzione al volume edificabile” e non contiene, diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo, alcun riferimento all’obbligazione risarcitoria. Anche la successiva modifica della L. n. 662 del 1996, secondo cui la concessione tra espropriante e concessionario doveva prevedere il corrispettivo della concessione in misura pari al costo di acquisizione delle aree nonchè al costo delle relative opere di urbanizzazione già realizzate, avrebbe legittimato la conclusione raggiunta dalla sentenza di primo grado.

La corte territoriale avrebbe violato anche l’art. 2495 c.c., perchè, essendo stata la cooperativa Acli Casa Lourdes posta in liquidazione, i creditori insoddisfatti avrebbero potuto far valere le proprie ragioni nei confronti dei soci solo fino alla concorrenza delle somme riscosse in base all’ultimo bilancio di liquidazione e nei confronti del liquidatore per fatti a lui imputabili. La sentenza gravata ha fatto invece erroneamente riferimento all’art. 10 della convenzione tra il CO.NA.PE. e la cooperativa ACLI casa Lourdes, senza tener conto del fatto che le deleghe per la conduzione delle procedure espropriative possono essere rilasciate solo ad enti ed a istituti, non anche a privati.

Altro errore attribuito alla sentenza è la violazione dell’art. 2697 c.c. per aver omesso di valutare sotto il profilo processuale se le somme versate dalla Cooperativa ingiungente siano state corrisposte al Comune di Cesa a titolo di indennità di esproprio o a titolo risarcitorio, per avere omesso di esaminare parti essenziali e significative dell’atto pubblico di assegnazione del bene ed altre prove documentali allegate nel giudizio.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per omesso esame di fatti decisivi ed essenziali oggetto di discussione tra le parti e per omessa motivazione.

Ad avviso del ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare più fatti:

a) la premessa dell’atto pubblico di assegnazione e vendita, ove si faceva riferimento al fatto che nel 1986 il sindaco di Cesa aveva emesso il decreto di occupazione d’urgenza di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20 e avviato la procedura di esproprio e conferito al consorzio CO.NA.PE la delega all’esproprio dei lotti assegnati. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello erroneamente avrebbe ritenuto che all’atto del trasferimento era impossibile che si verificassero le condizioni per la corresponsione delle indennità di esproprio relative a procedure legittime in favore dei proprietari privati, essendo l’occupazione dei suoli avvenuta ben undici anni prima, senza che fosse intervenuta l’adozione del decreto di esproprio e fosse stata depositata la relativa indennità.

b) Il contenuto del lodo arbitrale del 27 febbraio 2004 che avrebbe

chiaramente ed esaustivamente confermato la distinzione tra quanto dovuto a titolo di occupazione legittima e quanto a titolo risarcitorio, ed avrebbe evidenziato la responsabilità solidale del Comune di Cesa e del CO.NAPE.1 con la conseguenza che l’indennità di esproprio veniva posta a carico del Comune e il risarcimento dei danni in capo al consorzio CO.NA.PE. e al Comune.

c)La natura di socio della cooperativa che lo esponeva ai sensi dell’art. 2495 c.c. tutt’al più all’obbligo di pagare fino alla concorrenza delle somme eventualmente riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

5. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c. relativamente al capo relativo alle spese di lite, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato condannato al pagamento delle spese di lite per entrambi i gradi di giudizio senza considerazione alcuna per i profili sostanziali e processuali controvertibili.

6. Il motivo numero uno è inammissibile, perchè non ricorrono le ragioni che secondo la giurisprudenza di questa Corte imponevano alla Corte d’Appello l’integrazione del contraddittorio: nel caso di specie, riconducibile ad una ipotesi di eventuale litisconsorzio processuale, non essendo i partecipanti al precedente grado di giudizio legati da un giudicato sostanziale (le cause sono, infatti, scindibili, come si evince dalla richieste che l’attuale ricorrente aveva proposto nei confronti di S.P.: risarcimento dei danni per lite temeraria, comportamento nell’esercizio della liquidazione, condanna in via esclusiva alla rifusione delle spese di lite) l’impugnazione avrebbe dovuto essere proposta nei confronti di tutti i partecipanti al precedente grado del giudizio se essi fossero tutti stati presenti nel precedente grado del giudizio (art. 331 c.p.c.) (Cass. 10/01/2019, n. 492; Cass. 26/01/2010, n. 1535). Il tribunale, invece, aveva dichiarato la contumacia di S.P..

7. I motivi numeri dal numero due al numero quattro sono inammissibili.

Queste le ragioni.

Tutte le questioni sollevate e compendiate nelle plurime censure mosse alla sentenza gravata, a ben vedere, si raccolgono attorno ad un unico nocciolo problematico: il contenuto della clausola n. 4 dell’atto di assegnazione e vendita con cui il ricorrente aveva assunto l’obbligo di pagare “ogni eventuale ulteriore onere, che a qualsiasi titolo dovesse essere richiesto dalla coop. assegnante, relativamente all’indennità di esproprio in premessa”.

Dalla pretesa che l’obbligo di pagamento assunto non comprendesse eventuali somme pagate dalla cooperativa assegnante a titolo risarcitorio si irradiano, infatti, i molteplici errori imputati al giudice a quo.

La questione ermeneutica che il ricorso introduce è prospettata attraverso una sostanziale disapprovazione del giudizio con cui la Corte d’Appello ha ritenuto che la clausola evocata obbligasse il ricorrente al pagamento di qualsiasi somma richiestagli dalla cooperativa assegnante, indipendentemente dal fatto che la somma pagata dalla cooperativa e poi pretesa dai suoi soci trovasse titolo in una procedura legittima.

Il ricorrente, omettendo di considerare che l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178; cfr. Cass. 2.5.2006, n. 10131), profonde i suoi sforzi in un’attività deduttiva di critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice che, in ultima analisi, si sostanzia nella mera contrapposizione di una differente interpretazione.

Va considerato, però, che quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicchè, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 20/06/2017), n. 15252). Per di più, l’attività della Corte territoriale, nel caso di specie, risulta inattaccabile, perchè dimostra di non essere stata assunta in spregio di alcun criterio ermeneutico legale e si palesa sorretta da motivazione esaustiva e coerente.

In particolare, da un lato, la Corte d’appello ha precisato che la locuzione di ampia portata qualsiasi “onere, a qualsiasi titolo dovuto” non permettesse di argomentare nel senso di escludere dalla sua previsione le somme dovute per l’acquisizione dei suoli edificanti a titolo di risarcimento del danno; ha poi aggiunto che, in ossequio al canone dell’interpretazione utile, di cui all’art. 1367 c.c., la clausola non potesse riferirsi solo all’indennità di esproprio, considerando che, al momento della stipulazione dell’atto di assegnazione e vendita al ricorrente, era già impossibile che si realizzassero i presupposti per corrispondere agli espropriati tale indennità (atteso che l’occupazione dei suoli era avvenuta nel 1986 e non era stato adottato il decreto di esproprio); ha completato il ragionamento richiamando la L. n. 865 del 1971, art. 35, comma 12, che fa carico ai soci delle cooperative assegnatarie dei suoli edificati di sostenere tutte le spese e gli esborsi necessari per la loro acquisizione, senza prevedere alcuna distinzione in ordine alla fonte di tali spese ed esborsi, ricordando che la cooperativa Acli Casa Lourdes, di cui il ricorrente era socio, non aveva alcuna responsabilità per l’illegittimità della procedura espropriativa, aveva un capitale sociale costituito interamente ed esclusivamente dalle quote dei soci e che le villette a schiera poi assegnate ai soci erano state realizzate con denaro conferito dai soci e con quello derivante da mutui che i soci si erano accollati in misura proporzionale alla proprietà loro assegnata.

Gli assunti del ricorrente si risolvono nella pura e semplice prospettazione della diversa ed antitetica soluzione esegetica (che dalla clausola numero quattro si estende ad una pluralità di profili indicati nell’epigrafe del motivo numero due) e/o nel tentativo di introdurre surrettiziamente altri argomenti del tutto eccentrici e non decisivi ai fini della soluzione del caso concreto, sì da dimostrare di essere sottratto all’obbligo di pagamento delle somme richiestegli: attribuire ad altri, la cooperativa Acli Casa Lourdes, la responsabilità della mancata attuazione della procedura espropriativa, mettere in discussione la legittimità della delega per la conduzione della procedura espropriativa conferita alla società ingiungente, lamentare il proprio difetto di legittimazione passiva, dubitare che il comune di Cesa avesse effettivamente versato agli aventi diritto le somme pretese dalla società Acli Casa Lourdes, dolersi della mancata verifica circa se fosse possibile ricorrere a procedure tecnicamente ed amministrativamente equipollenti per determinare l’indennità di esproprio.

Non solo: la pluralità degli argomenti risulta erroneamente introdotta attraverso il vizio di violazione di legge – il quale consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge o l’erronea applicazione alla fattispecie concreta giudicata di una norma correttamente individuata; si risolve sempre in un errore di interpretazione e non può, dunque, integrarne gli estremi l’erronea ricognizione della fattispecie concreta per mezzo delle risultanze di causa, la quale è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 05/02/2019, n. 3340) – e anche per i profili veicolati attraverso la mediazione della contestata valutazione delle risultanze di causa, il ricorrente si orienta verso una critica fattuale relativa al mal governo del compendio probatorio che oltrepassa i limiti del sindacato di questa Corte e che deve dichiararsi inammissibile, per non trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di giudizio di merito.

Non è destinata ad altra sorte l’iniziativa di censurare la pronuncia anche sotto il profilo motivazionale, perchè la denuncia non si è misurata con i limiti dello scrutinio di legittimità relativo alla motivazione. Il sindacato di questa Corte può investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale”, in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass., Sez. Un., 03/11/2016, n. 22232), in quanto affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. 12/10/2017, n. 23940,), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (Cass. 25/06/2018, n. 16111), o perchè “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. 25/09/2018, n. 22598), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. 13/08/2018, n. 20721), che è proprio quanto, in sostanza, viene censurato nel caso di specie.

Neppure merita accoglimento la censura di omessa pronuncia, la quale è in sostanza affidata ad affermazioni apodittiche che si riportano alla sentenza del Tribunale senza fornire a questa Corte nè gli elementi da cui desumere se la statuizione fosse ineludibile, per essere stata ritualmente e tempestivamente formulata una domanda e/o una eccezione, nè per quale ragione la questione asseritamente omessa fosse indispensabile alla soluzione del caso concreto.

8. Il motivo numero cinque è inammissibile poichè la decisione sulle spese rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dalla valutazione di questa Corte, il cui sindacato è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

9. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

11. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico del ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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