Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17447 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 28/06/2019), n.17447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25213-2017 proposto da:

R.A. IMMOBILIARE SRL in persona del suo Amministratore

Unico e Legale Rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE G. MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO

MISIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO DE BENEDICTIS;

– ricorrente –

contro

INTESA SAN PAOLO PROVIS SPA in persona dell’Amministratore Delegato

Dott. S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONARDO BOTTAZZI;

– controricorrente –

e contro

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1243/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 23/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/05/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CLAUDIO MISIANI;

udito l’Avvocato CISTRIANI SARA per delega orale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Leasint S.p.a. e R.A. S.r.l. stipulavano un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un immobile sito in (OMISSIS) per l’importo di Euro 3.060.000,00, da corrispondere in 180 rate mensili di Euro 18.145,38 ciascuna, oltre ad Euro 612.000,00 da versare al momento della sottoscrizione del contratto e ad Euro 306.000,00 quale maxi rata finale.

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. Medio Credito Italiano S.p.a., incorporante per fusione Leasint S.p.a., chiedeva, al Tribunale di Milano, l’accertamento dell’inadempimento della R.A. S.r.l. e la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione finanziaria, in forza della clausola risolutiva espressa in esso contenuta, e per l’effetto la condanna della società utilizzatrice al rilascio immediato dell’immobile libero da persone e cose.

La R.A. S.r.l. eccepiva la nullità del contratto per violazione della L. n. 108 del 1996, sull’assunto che il contratto prevedesse la corresponsione di tassi usurari.

Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 23/06/2014, accoglieva la domanda attorea e condannava l’utilizzatrice al rilascio immediato dell’immobile ed alla rifusione delle spese processuali.

L’ordinanza veniva impugnata dalla società R.A. S.r.l. dinanzi alla Corte d’Appello di Milano che, con la decisione n. 1243/2017, depositata il 23/03/2017, confermava la decisione di prime cure, ritenendo che la domanda fosse quella dell’accertamento dell’intervenuta risoluzione per inadempimento del contratto per il mancato pagamento dei canoni di leasing che non inglobavano interessi moratori ma solo corrispettivi, oltre alla domanda di restituzione dell’immobile oggetto del contratto. La questione della nullità del titolo contrattuale per usura legata alla pattuizione di interessi moratori e al loro cumulo con quelli corrispettivi non costituiva, secondo la Corte territoriale, oggetto di causa, con la conseguenza di considerare del tutto ultronea ed inconferente ogni indagine sulla violazione della normativa di cui alla L. n. 108 del 1996 con riferimento agli interessi di mora.

R.A. S.r.l. Ricorre formulando cinque motivi avverso la sentenza n. 1243/2017 della Corte D’Appello di Milano.

Resiste con controricorso Intesa San Paolo Provis S.p.a., succeduta a titolo particolare a Medio Credito italiano S.p.a., già intervenuta, a tale titolo, nel giudizio d’Appello.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la società utilizzatrice deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di gravame in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

L’errore attribuito alla Corte d’Appello è quello di avere escluso dal thema decidendum la questione relativa alla nullità del contratto, nonostante essa fosse stata eccepita tempestivamente e ritualmente.

La società ricorrente aveva, infatti, negato di essere inadempiente, perchè l’importo dei canoni di locazione era stato determinato in ragione di clausole nulle, sottoposte alla disciplina di cui all’art. 1815 c.c., comma 2, con conseguente diritto di vedere imputate in conto capitale tutte le somme corrisposte, escluso ogni addebito per interessi e/o commissioni e/o spese e/o altre componenti remunerative.

2. Con il secondo motivo la società assume la nullità della sentenza per mancanza della motivazione in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Le argomentazioni a supporto della decisione adottata si sarebbero risolte, ad avviso della ricorrente, in enunciazioni di carattere assertivo – a proposito della sommatoria del tasso moratorio a quello corrispettivo al fine di verificare il superamento della soglia di usura, il giudice a quo si sarebbe limitato ad affermare che n. 350/2013 non implica in alcun modo tale sommatoria – oppure caratterizzate da manifesta ed irriducibile contraddittorietà – dopo aver dato atto che la questione dell’accertamento del superamento del tasso di usura per effetto del cumulo degli interessi moratori e corrispettivi era stata oggetto di eccezione in primo grado e di motivo di appello, si sarebbe spinta a negarne l’appartenenza all’oggetto del giudizio -.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 108 del 1996, art. 1,comma 5, e dell’art. 1815 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

L’errore attribuito alla sentenza gravata è quello di non aver tenuto conto che, ai sensi della L. n. 108 del 1996, art. 5,comma 1, per la determinazione del tasso di usura si tiene conto delle “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito” e che secondo la giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p., si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, essendo consentito cumulare interessi corrispettivi e moratori al fine di accertare il superamento di detto tasso (Cass. 9/01/2013, n. 350; Cass. 4/10/2017, n. 23192).

Nel caso di specie, il tasso di mora era pari al tasso soglia, ad esso andavano aggiunti gli interessi corrispettivi, la penale, le spese e tutti gli altri oneri.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di gravame in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 127 e art. 1421 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul motivo di appello con cui, in via gradata rispetto alla nullità per violazione della L. n. 108 del 1996, deduceva la nullità del contrato per indeterminatezza del costo della provvista e delle disposizioni di cui all’art. 1284 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117.

5. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1284 c.c. e del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117 in relazione al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 127 e dell’art. 1418 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il contratto di leasing prevedeva l’obbligo di assicurare l’immobile contro i rischi da responsabilità civile con un massimale unico minimo di Euro 2.500.000,00. La mancata indicazione specifica di tale costo contribuiva, ad avviso della ricorrente, a rendere indeterminato il costo complessivo dell’operazione di credito, provocando l’applicazione della disciplina legale sostitutiva contenuta nel D.Lgs. n. 385 del 1983, art. 117.

6. Il ricorso è inammissibile.

Buona parte dei motivi (i motivi numeri uno-tre) ruota attorno alla invocata nullità del contratto di locazione finanziaria perchè esso prevedrebbe la corresponsione di interessi a tassi usurari.

Di tale questione la Corte d’Appello non si è occupata, perchè l’ha ritenuta estranea al tema della causa, avente ad oggetto la risoluzione del contratto per mancato pagamento dei canoni di leasing – canoni determinati senza inglobare gli interessi moratori, asseritamente fissati in via convenzionale ad un saggio soprasoglia – e la restituzione del bene.

La parte contraente si sforza, invece, inutilmente di censurare la sentenza gravata per omessa pronuncia sulla nullità del contratto, uno dei fatti costitutivi della “domanda” in appello. Il vizio di omessa pronuncia implica infatti che il provvedimento asseritamente omesso risulti indispensabile per la soluzione del caso concreto; il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto anche se manca una specifica argomentazione in proposito nè – a maggior ragione – quando, come in questo caso, la questione venga ritenuta estranea alla materia del contendere. Non è integrata infatti la premessa: l’ineludibilità della pronuncia al fine di risolvere il caso concreto.

Deve altresì escludersi che non si evinca l’iter logico che ha portato la Corte territoriale all’adozione della statuizione impugnata. Il giudice a quo, essendo gli interessi inglobati nei canoni di leasing non corrisposti (solo) quelli corrispettivi ed essendo la loro misura pari al 7,94% a fronte del 9,25% del tasso soglia al momento della stipula del contratto, ha giudicato ogni indagine sulla violazione della L. n. 108 del 1996 con riferimento agli interessi di mora ultronea ed inconferente, perchè al fine di verificare la usurarietà del tasso degli interessi non è previsto il cumulo di interessi corrispettivi e moratori.

Escluso nel caso di specie che l’inadempimento della ricorrente sia stato provocato dal mancato pagamento di rate di leasing quantificate addizionando alla somma capitale interessi corrispettivi e moratori ed escluso altresì che, per ipotesi, la nullità (peraltro, secondo questa Corte – Cass. 30/10/2018, n. 27442 – la previsione di un saggio degli interessi moratori soprasoglia non sarebbe colpita dalla nullità di cui all’art. 1815 c.c., comma 2, ma comporterebbe la riduzione del tasso convenzionale degli interessi a quello legale secondo le norme generali) per il superamento del tasso soglia relativamente agli interessi moratori involga anche l’obbligo di corresponsione degli interessi corrispettivi convenzionalmente fissati al di sotto della soglia, deve concludersi che la Corte territoriale ha fatto buon governo della giurisprudenza di questa Corte, oltre che corretta applicazione della normativa vigente:

– l’inadempimento dell’utilizzatore è stato determinato dalla mancata corresponsione dei canoni, inglobanti interessi corrispettivi ad un tasso intrasoglia che hanno legittimamente continuato ad incrementare la somma capitale esigibile dalla società locatrice; gli interessi corrispettivi, a differenza di quelli moratori (fissati dalle parti al fine di determinare il costo che il debitore dovrà sopportare nell’ipotesi in cui, al di fuori del programma negoziale e quindi senza il consenso del creditore, mantenga la disponibilità della somma dovuta anche oltre il tempo definito nel contratto) sono effettivi ed hanno decorrenza immediata;

– gli interessi convenzionali di mora non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, art. 2, comma 4, vanno qualificati ipso iure come usurari, ma in prospettiva del confronto con il tasso soglia antiusura non è corretto sommare interessi corrispettivi ed interessi moratori. Alla base di tale conclusione vi è la constatazione che i due tassi sono alternativi tra loro: se il debitore è in termini deve corrispondere gli interessi corrispettivi, quando è in ritardo qualificato dalla mora, al posto degli interessi corrispettivi deve pagare quelli moratori; di qui la conclusione che i tassi non si possano sommare semplicemente perchè si riferiscono a basi di calcolo diverse: il tasso corrispettivo si calcola sul capitale residuo, il tasso di mora si calcola sulla rata scaduta; ciò vale anche là dove sia stato predisposto, come in questo caso, un piano di ammortamento, a mente del quale la formazione delle varie rate, nella misura composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene ad una modalità dell’adempimento dell’obbligazioni gravante sulla società utilizzatrice di restituire la somma capitale aumentata degli interessi; nella rata concorrono, infatti, la graduale restituzione del costo complessivo del bene e la corresponsione degli interessi; trattandosi di una pattuizione che ha il solo scopo di scaglionare nel tempo le due distinte obbligazioni;

– non è stato confutato dalla ricorrente che i canoni non corrisposti fossero stati calcolati, a differenza di quanto statuito dalla sentenza gravata, attraverso il conteggio di interessi moratori sugli interessi scaduti, cioè sulla rata di canone, già precedentemente capitalizzata a titolo di interessi corrispettivi. In tal caso, ma solo in tal caso, sarebbe stato possibile lamentare che il tasso effettivamente applicato avesse superato il tasso soglia per essere stati i singoli canoni, già comprensivi degli interessi corrispettivi, maggiorati ad ogni scadenza degli interessi moratori (c.d. tesi dell’effettività: usura effettiva e a posteriori) (sono questi i casi cui la giurisprudenza di legittimità si riferisce quando ritiene che la questione dell’accertamento sub specie usurae non possa liquidarsi sbrigativamente escludendo che gli interessi moratori si sommino a quelli corrispettivi: Cass. 04/10/2017, n. 23912; Cass. 06/03/2017, n. 598; nè argomenti in senso contrario possono trarsi dalla decisione n. 350 del 9/01/2013, con cui, aderendo ad un precedente orientamento, la Corte ha ribadito che, “ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p., e dell’art. 1815 c.c., comma 2, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori (Corte Cost. 25 febbraio 2002 n. 29: “il riferimento, contenuto nel D.L. n. 394 del 2000, art. 1, comma 1, agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori”). Per non ingenerare equivoci deve sottolinearsi che tale situazione è ben distinta e diversa da quella che inconferentemente la società ricorrente sembra ipotizzare e cioè che gli interessi moratori rilevino nel sindacato usurario per il sol fatto di essere stati promessi/convenuti oltre soglia (tesi della potenzialità, che consentirebbe al contraente di dolersi della pattuizione di interessi moratori a prescindere dal suo attuale inadempimento). In altre parole, preso atto della ricorrenza di un doppio tasso, uno attuale, quello corrispettivo, ed uno sospensivamente condizionato al ritardo e da esso decorrente, quello moratorio, si porrebbe in tal caso il problema della sorte della pattuizione relativa a tale secondo tasso che comporta costi solo eventuali: problema che la giurisprudenza di questa Corte risolve sanzionando la clausola relativa alla pattuizione degli interessi moratori ove determinati ad un tasso sopra soglia e non già come preteso dal ricorrente trasformando forzosamente, a vantaggio dell’inadempiente, il contratto da oneroso a gratuito. Ragionando in via ipotetica – perchè si ripete, nel caso di specie, neppure si pone il problema della richiesta di pagamento di costi eventuali – la capacità in potenza moratoria degli interessi (eventuali) verrebbe risolta colpendo esclusivamente la relativa pattuizione: Cass., 15/09/2017, n. 21470.

Per concludere, la Corte territoriale ha tenuto conto della ricorrenza dell’usura in termini nominali – distinguendo la misura degli interessi corrispettivi da quelli moratori – ed anche della non interferenza tra la misura degli interessi ed i presupposti di integrazione dell’usurarietà. Un conto è, infatti, porsi in termini meramente potenziali la questione dell’accertamento della natura usuraria degli interessi – a prescindere dalle specifiche conseguenze – tutt’altro, invece, è verificare come la previsione di un tasso di interessi che eguagli o superi il tasso soglia abbia in concreto inciso a seguito del verificarsi dell’inadempimento.

6.1. Le questioni dedotte con i motivi numero quattro e numero cinque che sembrerebbero (le censure risultano formulate in termini poco lineari: si richiama l’obbligo del predisponente di indicare ogni clausola del contratto (la clausola n. 9, evidentemente contenuta nel contratto, imponeva quale obbligo accessorio all’utilizzatore di stipulare una polizza assicurativa per rischi determinati e per un massimale minimo predefinito); si denuncia la mancata inclusione del costo della polizza nell’indicatore sintetico di costo, passando per l’indeterminatezza del costo della provvista) sfociare nella richiesta di una pronuncia di nullità della clausola n. 9 del contratto di leasing con applicazione della disciplina sostitutiva di cui al D.Lgs. n. 385 del 1983, art. 117 sono dedotte in maniera oltremodo generica ed astratta: non solo non è provato che vi sia stato un inadempimento da parte della società locatrice, visto che la voce di spesa risulta essere stata indicata, ma è del tutto assertivamente affermato il nesso eziologico con la determinazione della somma capitale e del saggio dell’interesse corrispettivo.

I due mezzi sono, pertanto, inammissibili, perchè per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta denunciare la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario dimostrare che il provvedimento omesso fosse indispensabile alla soluzione del caso concreto, dovendosi altrimenti – ed è questo il caso – ravvisare una statuizione implicita di rigetto, per essere il capo di domanda non espressamente esaminato incompatibile con la impostazione logico-giuridica della pronuncia; e ciò, a maggior ragione, nel caso di sentenza di secondo grado che confermi la pronuncia di prime cure, giacchè alla Corte territoriale non è precluso trascurare l’esame di elementi superflui, non pertinenti, generici o infondati (Cass. 13/10/2017, n. 24155).

7. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.

8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

9. Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per porre a carico della società ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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