Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17447 del 22/08/2011

Cassazione civile sez. I, 22/08/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 22/08/2011), n.17447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5027/2008 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliata in Napoli, al Centro

Direzionale Is. G1 – via Porzio, presso lo studio dell’avv. MARRA

Alfonso Luigi, che la rappresenta e difende come da procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA;

– resistente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato l’8.2.07;

n. 51804/05 R.G.A.D.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

6.4.2011 dal Consigliere Dr. Magda Cristiano;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma, con decreto dell’8.2.07, ha accolto parzialmente la domanda di risarcimento del danno da eccessiva durata del processo proposta, ai sensi della L. n. 89 del 2001, da S.L. nei confronti del Ministero della Giustizia e, ritenuto che il procedimento presupposto avesse oltrepassato di un anno ed otto mesi il termine di durata ragionevole (fissato in due anni e sei mesi, stante la natura previdenziale del giudizio) e che, per lo scarso valore della controversia, il patema d’animo provato dalla ricorrente nell’attesa della decisione fosse stato di minima entità, ha condannato il Ministero a pagare alla S. la somma di Euro 850, al valore attuale della moneta, in ragione di Euro 500,00, per anno, maggiorata degli interessi legali con decorrenza dalla data di pubblicazione dei provvedimento.

La S. ha chiesto la cassazione del provvedimento, affidandola a diciannove motivi di ricorso, sintetizzati in altrettanti quesiti.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo di ricorso la S. denuncia in via generale violazione da parte della Corte territoriale dell’art. 6 par. 1 della convenzione E.D.U., così come essa vive nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, e, con il quesito di diritto, chiede se in caso di contrasto tra la L. n. 89 del 2001, e la Convenzione il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare la prima ed applicare la seconda.

Alla questione posta nel quesito, ripetuta negli ulteriori motivi di ricorso (2, 3, 5, 6, 7, 8) con riguardo agli specifici capi della decisione nei quali, a dire della ricorrente, il giudice del merito si sarebbe discostato dai parametri fissati dalla Corte EDU, va data risposta negativa.

Va infatti ribadito il principio, enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione della L. n. 89 del 2001, deve interpretarla in modo conforme alla convenzione EDU, per come essa vive nella giurisprudenza della Corte Europea, entro i limiti in cui ciò sia reso possibile dal testo della legge stessa.

In termini analoghi si è espressa, del resto, anche la Corte Costituzionale che, contrariamente all’assunto della ricorrente, ha affermato che “al giudice nazionale spetta interpretare la norma interna in maniera conforme alla disposizione internazionale convenzionale entro i limiti in cui ciò sia reso possibile dal testo della norma. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilita della norma interna con la disposizione internazionale interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost. (Corte Costituzionale, sentenze nn. 348 e 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto fra norma interna e Convenzione EDU nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, il giudice italiano possa disapplicare la prima ed applicare la seconda.

2) Ciò premesso, va dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, con il quale la S. lamenta esclusivamente sotto il profilo della violazione del citato art. 6 par. 1 della Convenzione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, che la Corte territoriale abbia determinato la durata ragionevole del processo in misura superiore a quella stabilita dalla Corte EDU in casi analoghi.

Infatti, non sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi che prevedano la diretta vincolatività per il giudice italiano delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, la valutazione dei presupposti (complessità del caso, comportamento delle parti, condotta dell’autorità) in base ai quali deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della durata del processo, si risolve in un apprezzamento di fatto. E, se è vero che nel compiere tale valutazione il giudice può discostarsi dai parametri tendenziali fissati in materia dalla CEDU solo in misura ragionevole, e sempre che la relativa conclusione sia confortata con argomentazioni complete, logicamente coerenti e congrue, non v’è dubbio, per altro verso, che l’eventuale scostamento da detti parametri possa essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione (Cass. n. 24399/09).

3) Il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, con i quali la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia liquidato il danno per ogni anno effettivo di giudizio, sono invece infondati per le ragioni appena enunciate sub. 1), posto che, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), rileva unicamente il danno riferibile ai periodo eccedente il termine ragionevole.

Va aggiunto (ancorchè la questione non sia stata sollevata dalla S.) che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’articolo citato è stata già vagliata da questa Corte proprio in riferimento alla coerenza del rimedio stabilito dalla L. n. 89 del 2001 con il principio di effettività (avuto riguardo alle norme convenzionali invocate ricorrente) e ritenuta manifestamente infondata, in quanto la diversità del moltiplicatore del calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge nazionale ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, dunque, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana mediante la ratifica della Convenzione e con il pieno riconoscimento, anche a livello costituzionale, del canone di cui all’art. 6 par. 1 della Convenzione medesima (Cass. nn. 980/08).

4) Infondati sono anche il nono, il decimo e l’undicesimo motivo, con i quali la S. si duole del mancato riconoscimento del bonus di Euro 2000, asseritamene dovutole in ragione della natura del processo presupposto, avente ad oggetto una controversia previdenziale.

Il fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia riconosciuto – in caso di irragionevole durata del processo – il diritto a un’ulteriore somma forfetaria nei giudizi di particolare importanza, tra i quali ha incluso, in via esemplificativa, anche le cause previdenziali, non significa che dette cause debbano essere necessariamente considerate di particolare importanza e non comporta alcun automatismo nella liquidazione del maggior indennizzo. Ne consegue, da un lato, che spetta al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno e che tale valutazione discrezionale non implica un obbligo di motivazione specifica, nel senso che il mancato riconoscimento del bonus si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (Cass. nn. 463/010, 17684/09); dall’altro che la critica alla decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che la domanda di liquidazione dell’importo aggiuntivo, spettante ratione materiae, è stata respinta senza motivazione, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate (Cass. nn. 1893/010,22869/09).

5) Sono invece parzialmente fondati il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, con i quali la S., denunciando, oltre che violazione di legge, anche vizio di motivazione, lamenta che la Corte territoriale si sia discostata dagli ordinari parametri di liquidazione del danno fissati dalla CEOU. Questa Corte ha infatti ripetutamele affermato che, nella liquidazione del danno da irragionevole durata del giudizio, il giudice nazionale può discostarsi da detti parametri (oscillanti fra i 1.000,00 ed i 1.500,00 Euro annui), purchè in misura ragionevole, sempre che dia adeguata motivazione delle circostanze che, nel caso concreto, giustificano il riconoscimento di un minore indennizzo. E’ stato poi precisato che, ove non emergano particolari elementi in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un effettivo pregiudizio e non indebitamente lucrativa, alla luce delle quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, comporta, nell’osservanza della giurisprudenza della Corte EDU, il riconoscimento di una somma non inferiore ad Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo e ad Euro 1.000,00 per gli anni successivi (Cass. n. 21840/09).

Rispetto a tali parametri la Corte di merito ha operato una riduzione, determinando il danno in Euro 500,00 per ciascun anno di ritardo, ma non ha sufficientemente motivato le ragioni per le quali ha ritenuto di dover attribuire alla ricorrente detto minore importo.

La Corte si è infatti limitata a sottolineare, ai fini della quantificazione dell’indennizzo, l’esiguità del valore della controversia, ma non ha operato il necessario giudizio di comparazione tra la natura e l’entità della pretesa patrimoniale azionata e la condizione economico -sociale della S., solo attraverso il quale avrebbe potuto valutare l’impatto del ritardo sull’animo della ricorrente.

Il decreto impugnato va pertanto cassato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito.

Tenuto conto che nel caso di specie non emergono elementi idonei a far apprezzare la particolare rilevanza del danno non patrimoniale sofferto dalla S., può applicarsi il criterio di liquidazione sopra enunciato. Il Ministero della Giustizia va pertanto condannato a pagare alla ricorrente la somma complessiva di Euro 1.250,00 oltre agli interessi legali dalla data di deposito del ricorso al saldo effettivo.

Poichè la cassazione del provvedimento impone di rideterminare anche le spese del giudizio di merito, restano assorbiti i motivi di ricorso successivi all’undicesimo, con i quali la S. ha, per l’appunto, censurato la pronuncia sulle spese.

Tali spese, da distrarsi in favore dell’avv. antistatario Alfonso Luigi Marra, per il giudizio di merito seguono interamente la soccombenza e si liquidano in Euro 500,00 per onorari, Euro 280,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge; per il presente grado, considerato l’accoglimento solo parziale del ricorso, vanno invece compensate per i due terzi e poste a carico del Ministero per il rimanente terzo, che si liquida in Euro 200,00 per onorari ed Euro 20,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte: accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia a pagare a S.L. la somma di Euro 1.250,00 oltre agli interessi legali dalla data della domanda al saldo effettivo;

condanna il Ministero al pagamento integrale delle spese del giudizio di merito, liquidate in Euro 500,00 per onorari, Euro 280,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge, e di un terzo delle spese del presente grado (compensate per i restanti due terzi), liquidate in Euro 200,00 per onorari ed Euro 20,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, disponendone la distrazione in favore del procuratore antistatario, avv. Alfonso Luigi Marra.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2011

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