Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17446 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. III, 17/06/2021, (ud. 09/02/2021, dep. 17/06/2021), n.17446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 38265/19 proposto da:

B.K., elettivamente domiciliato a Verona, via Don Enrico

Tazzoli n. 2, presso l’avvocato Francesca Campostrini, che lo

difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 18.7.2019 n.

3016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9

febbraio 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.K., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e segg.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese “essendo morto il padre ed essendo egli stato chiamato a vivere nella casa del re, dopo che il potere era stato preso dal re della dinastia avversaria, era stato minacciato ed aveva pertanto deciso di fuggire in Libia” (così la sentenza impugnata; il ricorrente, dal canto suo, si limita a descrivere i fatti posti a fondamento della domanda richiamando la sentenza impugnata: cfr. p. 3 del ricorso).

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento B.K. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Venezia, che la rigettò con ordinanza 17 agosto 2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 18 luglio 2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi perchè l’appello era generico, e nei fatti riferiti dal richiedente non era identificabile alcuna delle ipotesi prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perchè nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa sia perchè l’appello era “privo di specificità e consistente nella riproduzione di precedenti giurisprudenziali favorevoli senza alcuna illustrazione delle ragioni per le quali esse si attagliano ebbero al caso specifico”, sia per la mancanza di “qualsiasi elemento anche a livello di allegazione idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione ad uno specifico rischio”.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da B.K. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza d’appello in due punti della motivazione, (pagina 5, punto 9, e pagina 9, punto 14) dichiara di ritenere il gravame “privo del benchè minimo requisito di specificità”, in quanto “riproduce pedissequamente le ragioni dell’opposizione, senza censurare alcuno dei passaggi motivazionali dell’ordinanza appellata”; e poi più oltre aggiunge che l’appello è “privo di specificità e consistente nella riproduzione di precedenti giurisprudenziali senza alcuna illustrazione delle ragioni”.

Nondimeno, nella stessa pagina 9, punto 14, l’appello viene dichiarato “manifestamente infondato” (e non inammissibile); e nel dispositivo della sentenza la Corte dichiara di “rigettare l’appello”.

L’apparente contraddittorietà delle suddette espressioni pone a questa Corte, prima di esaminare il ricorso nel merito, di stabilire come debba essere interpretata la sentenza d’appello: se, cioè, essa abbia pronunciato un giudizio di inammissibilità del gravame per aspecificità (nel qual caso il ricorso per cassazione sarebbe inammissibile, dal momento che tale statuizione non viene censurata); oppure abbia pronunciato un giudizio di infondatezza nel merito.

Ritiene il collegio che debba privilegiati questa seconda interpretazione del provvedimento impugnato: sia per l’ampia motivazione con cui la Corte d’appello ha sostenuto il giudizio di infondatezza; sia per la inequivoca indicazione contenuta nel dispositivo della sentenza.

2. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Sostiene che la Corte d’appello, la quale aveva l’obbligo di valutare la situazione della Nigeria in base a fonti di informazione attendibili ed aggiornate, ha utilizzato un “numero molto limitato di fonti” e comunque nell’analisi della Corte d’appello “è rimasto marginale il tema della sicurezza nella regione del “Delta State”.

1.1. La difesa del ricorrente, la quale imputa alla Corte d’appello d’aver scritto una sentenza trascrivendo ad litteram brani altrui, non pare immune dallo stesso peccato.

Il ricorso, infatti, nonostante la diversità delle fattispecie concrete, costituisca la copia esatta del ricorso per cassazione numero 38263/19, deciso da questa Corte nell’odierna adunanza camerale, e come quello propone un motivo inammissibile perchè:

-) non indica per quali motivi le fonti utilizzate dalla Corte d’appello sarebbero inadeguate;

-) non indica quali diverse fonti si sarebbero dovute utilizzare;

-) dichiara il falso là dove allega che la Corte d’appello avrebbe utilizzato fonti del 2016, in quanto la Corte d’appello, a pagina 6, quinto rigo, espressamente dichiara di avere utilizzato un rapporto aggiornato a novembre del 2018 (la sentenza è stata deliberata ad aprile del 2019).

2. Col secondo motivo il ricorrente prospetta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Nella illustrazione del motivo si prospettano tre diverse censure.

Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe:

-) omesso di prendere in esame la prigionia ed i maltrattamenti sofferti dal richiedente in Libia;

-) omesso di prendere in esame “il percorso portato avanti in Italia dal soggetto”, ed in particolare un contratto di lavoro;

-) erroneamente ritenuto che il richiedente, in caso di rimpatrio, non sia esposto al rischio di morte o trattamenti inumani; nell’atto d’appello, infatti, l’odierno ricorrente aveva dedotto che, in caso di rimpatrio, sarebbe stato esposto al rischio di essere ucciso dalla dinastia che attualmente deteneva il potere nel villaggio, e che aveva spodestato il precedente re della cui famiglia egli faceva parte.

2.1. La prima censura è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che il ricorrente non riferisce quando introdusse in giudizio (ovviamente di primo grado) il fatto che si assume trascurato; come venne provato; perchè deve ritenersi rilevante (alla luce della giurisprudenza della Corte secondo cui le vicende trascorse nei paesi di transito sono di norma irrilevanti, salva l’ipotesi in cui per la loro gravità o per la loro natura abbiano lasciato comprensibili strascichi psicologici).

2.2. La seconda censura è inammissibile per la stessa ragione: il ricorrente, infatti, non indica quando sia stato depositato il contratto di lavoro del cui omesso esame si duole, e quale ne fosse il contenuto.

2.3. La terza censura è infondata.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), sul presupposto che i fatti narrati dal richiedente non integravano gli estremi richiesti dalla legge per la concessione della protezione sussidiaria o quella umanitaria.

La vicenda del “conflitto” fra le “dinastie reali” del villaggio è stata dunque esaminata e ritenuta giuridicamente irrilevante.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione, da parte del giudice di merito del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Deduce che la Corte d’appello avrebbe “valutato in modo apodittico la non credibilità del ricorrente”.

3.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello non ha infatti formulato alcun giudizio sulla credibilità o non credibilità del richiedente, rigettando l’appello – come già detto – per ben altre e diverse ragioni.

4. Col quarto motivo, infine, il ricorrente lamenta sia il vizio di nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; sia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

Il motivo investe la sentenza d’appello nella parte in cui ha rigettato la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Deduce il ricorrente che questa decisione sarebbe sbagliata perchè la Corte d’appello:

-) si è rifiutata di entrare nel merito della posizione del richiedente;

-) ha omesso di considerare tutte le allegazioni di fatto;

-) non fa riferimento alle condizioni in Italia del soggetto;

-) non effettua la comparazione fra la situazione del paese di provenienza e m quella raggiunta in Italia.

4.1. Il motivo è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a stabilire come debba interpretarsi la nozione di “vulnerabilità” che costituisce il fondamento del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina applicabile ratione temporis), hanno affermato che tale presupposto di fatto può ricorrere in due serie di ipotesi (Sez. U., Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02).

Giustifica il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in primo luogo, la “vulnerabilità soggettiva”, e cioè quella dipendente dalle condizioni personali del richiedente (come nel caso, ad esempio, dei motivi di salute o di età).

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, tuttavia, può essere giustificato anche dalla “vulnerabilità oggettiva”: e cioè quella dipendente dalle condizioni del paese di provenienza del richiedente.

Sussiste, in particolare, una condizione di vulnerabilità oggettiva quando nel paese di provenienza del richiedente protezione sia a questi impedito l’esercizio dei diritti fondamentali della persona. Impedimento che non necessariamente deve essere di diritto, ma può essere anche soltanto di fatto.

4.2. Da ciò discendono due corollari.

Il primo è che la ritenuta falsità delle dichiarazioni compiute dal richiedente protezione impedisce di ritenere dimostrata una condizione di vulnerabilità soggettiva, ma non osta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, laddove ricorressero le condizioni di vulnerabilità oggettiva.

E’ infatti evidente che una persona cui nel proprio Paese sia impedito l’esercizio dei diritti fondamentali non possa essere rimpatriata, a nulla rilevando che nel chiedere protezione abbia dimostrato la prudentia serpis, piuttosto che la simplicitas columbae.

4.3. Il secondo corollario è che la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità oggettiva deve essere accertato d’ufficio, ricorrendo a fonti di informazione attendibili ed aggiornate sul paese di provenienza del richiedente: a meno che, ovviamente, il giudizio di inattendibilità non investa addirittura la provenienza stessa del richiedente.

4.4. Nel caso di specie, la Corte d’appello non si è attenuta a questi principi ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità.

Il giudice di merito ha infatti rigettato il motivo di gravame concernente la domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari per due ragioni:

-) sia a causa della mancanza di “qualsiasi elemento idoneo a definire la presumibile durata di una esposizione ad uno specifico rischio” (così la sentenza impugnata, pagina 6, punto 13);

-) sia perchè ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari è “irrilevante la condizione di instabilità politica del paese” di provenienza del richiedente (ibidem, pagina 9, secondo capoverso).

Nella motivazione della sentenza impugnata, per contro, manca un sufficiente approfondimento officioso sulla situazione dei diritti umani nel paese di provenienza del richiedente; così come manca qualsiasi indicazione delle fonti attendibili ed aggiornate (Country of Origin Information) da cui la Corte ha tratto le proprie conclusioni, ed il giudizio comparativo richiesto dalla sentenza delle sezioni unite di questa corte 29459/19, sopra ricordata.

4.5. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in differente composizione, la quale tornerà ad esaminare la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari indagando ex officio sulla esistenza o meno, in Nigeria, di una grave compromissione dei diritti umani fondamentali, ed avvalendosi a tal fine di fonti attendibili ed aggiornate.

2. Le spese del presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

PQM

(-) accoglie il quarto motivo di ricorso; rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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