Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17443 del 31/08/2016


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Cassazione civile sez. I, 31/08/2016, (ud. 08/07/2016, dep. 31/08/2016), n.17443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10733/2013 proposto da:

D.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso l’avvocato ANGELA

BUCCICO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO FUSCO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso il dott. ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso

dall’avvocato CLAUDIO CONSALES, giusta procura a margine del

controricorso;

B.V.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ALTAVILLA IRPINA 38, presso l’avvocato STEFANIA SPAGNOLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO DE GUIDO, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

P.A., M.F., BA.RA.;

– intimati –

Nonchè da:

P.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEL TRITONE 102, presso l’avvocato VITO NANNA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANDREA VIOLANTE, giusta procura a margine del

controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.F. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso l’avvocato ANGELA

BUCCICO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO FUSCO, giusta

procura a margine del controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

M.F., BA.RA., S.P., B.V.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 487/2012 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 10/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/07/2016 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato M. PAGANELLI, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;

udito, per il controricorrente S.P., l’Avvocato C. CONSALES

che ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale

P.A., l’Avvocato A. VIOLANTE che ha chiesto l’accoglimento del

proprio ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del primo e secondo

motivo, rigetto del ricorso incidentale condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia ha ad oggetto la determinazione, da parte di un collegio di esperti, avvenuta in data 17 giugno 2005, del valore di un’azienda farmaceutica sita in Brindisi, che P.A., con scrittura privata del 1 giugno 1984, si è obbligato a corrispondere a D.F. nell’ipotesi, poi verificatasi, del mancato trasferimento a questi dell’azienda acquistata col denaro dal medesimo fornito.

Adito da D.F., il Tribunale di Brindisi ha pronunciato il 23 aprile 2009 una sentenza non definitiva – rimettendo la causa in istruttoria per l’espletamento di una c.t.u. volta a determinare il valore di mercato dell’azienda – con la quale ha accolto le domande di risoluzione del mandato e di annullamento della decisione arbitrale, qualificata perizia contrattuale, avendo ravvisato l’eccesso dai limiti del mandato e l’errore essenziale, per il fatto che i periti non avevano determinato, come loro richiesto, il valore commerciale della farmacia, erroneamente ritenendo di dover applicare l’art. 110 t.u. delle leggi sanitarie (r.d. 27 luglio 1934, n. 1265), che riguarda, però, la diversa indennità dovuta dal vincitore di concorso agli eredi del farmacista o al farmacista decaduto, del quale non ricorrevano affatto i presupposti. Il tribunale ha respinto, invece, le domande di nullità della perizia, proposte per intervenuta revoca del mandato, per avere a sè sostituito un c.t.u. e per mancanza di terzietà in ragione del legame di parentela del terzo arbitro S. con la controparte.

Con sentenza del 10 luglio 2012, la Corte d’appello di Lecce, sull’appello del P. ed in riforma della sentenza non definitiva del Tribunale di Brindisi del 23 aprile 2009, ha respinto anche la domanda di annullamento della decisione arbitrale del 17 giugno 2005 per eccesso dai limiti del mandato e per errore essenziale.

Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che: a) è priva di rilevanza e d’interesse la questione qualificatoria prospettata dall’appellante, posto che il regime impugnatorio della perizia contrattuale e dell’arbitrato irrituale è il medesimo, essendo entrambi impugnabili solo con le azioni contrattuali di annullamento e di risoluzione per inadempimento dei contratti, mentre la prima è una species del secondo; b) la qualificazione come arbitrato irrituale, esposta nella precedente sentenza del tribunale n. 158/2003, che ha dichiarato nullo il primo lodo per illegittima composizione del collegio arbitrale, non costituisce giudicato, perchè la questione non ha formato oggetto della decisione; c) convince piuttosto la sua qualificazione come perizia contrattuale, contenuta nella sentenza del tribunale n. 180/1996, confermata in appello e poi da Cass. 7 maggio 2002, n. 6543; d) l’avere i periti deciso una valutazione secondo i criteri riduttivi di cui all’art. 110 t.u.l.s. non integra eccesso dal mandato, posto che questi sono comunque dei criteri di valutazione, imperativi o no, e che il P. ciò aveva espressamente richiesto nel suo primo quesito; e) non vi è errore essenziale nell’aver prescelto detto criterio, non trattandosi di falsa rappresentazione della realtà, ma di errore di diritto non percettivo; f) la revoca del mandato operata dal D. all’udienza del 3 giugno 2005, per non voler essi procedere ad una stima diretta ma mediante nomina di un altro esperto e per mancata terzietà del perito S., è rimasta priva di effetti, trattandosi di mandato collettivo revocabile ex art. 1726 c.c., solo per giusta causa, la quale richiedeva quindi, per essere efficace, la proposizione, anteriore o contestuale, di un’azione giudiziale finalizzata ad accertare l’intervenuta estinzione del mandato; g) i periti potevano servirsi di una c.t.u., del resto richiesta dallo stesso D., quale mezzo di prova, e purchè sottoposta al loro vaglio al momento della decisione; h) non vi sono elementi sufficienti a dimostrare la mancanza di terzietà del terzo perito, trattandosi di circostanze labili e non avendo il D. dedotto alcunchè circa il nesso causale tra esse e l’errato pronunciamento arbitrale.

Propone ricorso per la cassazione di tale sentenza D.F., sulla base di sei motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso il c.t.u. B.V., S.P. ed P.A., quest’ultimo proponendo altresì ricorso incidentale condizionato per un motivo, cui resiste il D. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli art. 1427 – 1429, 1431 e 2909 c.c., art. 112 c.p.c., art. 110 t.u.l.s., e della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere la corte del merito ritenuto i periti liberi di determinare il valore commerciale dell’azienda secondo il disposto dell’art. 110 t.u.l.s., che attiene invece alla mera indennità dovuta dal vincitore di concorso agli eredi del farmacista o al farmacista decaduto, argomentando nel senso che il P. ciò aveva chiesto, nell’introdurre l’arbitrato: senza, tuttavia, considerare che i poteri dei periti erano determinati dalla clausola contrattuale, nonchè dal disposto delle sentenze del Tribunale di Brindisi n. 189/1986 e n. 282/1999, aventi efficacia di giudicato, le quali richiedevano la valutazione ai valori di mercato, onde essi avevano da ciò ecceduto; e senza rilevare, come invece il giudice di primo grado aveva accertato, l’errore essenziale e riconoscibile dei periti al riguardo, opinando essi nel senso della inderogabilità anche nel caso di specie del criterio di valutazione previsto dalla citata normativa speciale.

Con il secondo motivo, censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1711, 1726 e 2909 c.c., e art. 112 c.p.c., e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per non avere la corte del merito ritenuto l’eccesso dei periti dai limiti del mandato ricevuto, avendo essi creduto di poter liberamente scegliere il criterio di valutazione diverso da quello di mercato, e ciò sebbene il c.t.u. da essi nominato avesse comunque determinato anche il (maggior) valore commerciale della farmacia; tale grave violazione del mandato legittimava sia il recesso, sia la risoluzione del mandato stesso.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1711, 1717 e 1726 c.c., ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per non avere la sentenza impugnata ritenuto viziata la perizia, dal momento che era stato nominato un c.t.u. per la stima: invero, se il perito avv. M., nominato dal P., e dott. S., nominato dal presidente dell’ordine dei farmacisti, non avevano la capacità di svolgere l’incarico valutativo loro demandato, avrebbero dovuto rifiutarlo, e non certo nominare poi in loro vece un altro esperto per provvedervi, essendo ciò al più ammesso solo per specifici elementi tecnici, ma non per l’intero compito ricevuto.

Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1427 e 1439 c.c., oltre al vizio di motivazione, in quanto la perizia era inficiata da dolo, desunto sia dai rapporti parentali e commerciali tra il terzo arbitro ed P.A. (socio d’affari di A.I., figlio di A.M., vice-presidente dell’ordine dei farmacisti che aveva nominato il terzo arbitro, nonchè di G.G., cognata di S.A., a sua volta fratello del terzo perito P.), sia dalla stessa iniquità della stima.

Con il quinto motivo, proposto solo in via subordinata, censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1711 e 1726 c.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, per non avere la sentenza impugnata ritenuto valida la revoca del mandato operata dal ricorrente; nè egli era stato messo in grado di promuovere al riguardo un’azione giudiziaria – pur non necessaria per l’efficacia della revoca, contrariamente all’assunto della corte del merito – atteso che nella stessa udienza in cui egli aveva manifestato la volontà di revoca i periti avevano riservato la decisione.

Con il sesto motivo (tuttavia rubricato come quinto), proposto ancora in via subordinata, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1349 e 112 c.p.c., oltre al vizio di motivazione sotto ogni profilo, per non avere la corte del merito emesso alcuna pronuncia sulla domanda di annullamento della decisione peritale per manifesta iniquità, ai sensi dell’art. 1349 c.c., come dimostra la valutazione compiuta dal c.t.u. nel corso del giudizio di primo grado nel 2011 ai valori del 1994 (Lire 722.097.159), rispetto a quella valutata dai periti (Lire 325.491.564).

Nel suo ricorso incidentale condizionato, il P. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 100 e 808 ter c.p.c., perchè la sentenza del Tribunale di Brindisi del 21 febbraio 2003, n. 158, la quale ha dichiarato la nullità del primo procedimento arbitrale, ha statuito che la scrittura inter partes contempla un arbitrato irrituale, a fronte di contrapposte tesi tra le parti; l’interesse a sostenere tale tesi sussiste per il P., in quanto intende tenere ferma la decisione in diritto di applicazione necessaria dell’art. 110 t.u.l.s..

2. – Il motivi primo, secondo e quarto, che possono essere esaminati insieme per la loro intima connessione, sono infondati.

2.1. Perizia contrattuale ed arbitrato irrituale nella loro essenziale e comune distinzione dall’arbitrato rituale – si differenziano tra loro perchè nella prima le parti conferiscono ad uno o più terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, il compito non di risolvere una controversia giuridica, come nel secondo, ma di formulare un apprezzamento tecnico che si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro volontà (Cass. 16 marzo 2005, n. 5678; 18 febbraio 1998, n. 1721); a loro volta, la perizia contrattuale si distingue dall’arbitraggio di cui all’art. 1349 c.c., perchè l’arbitro-perito non deve ispirarsi alla ricerca di un equilibrio economico secondo un criterio di equità mercantile, ma deve attenersi a norme tecniche ed ai criteri tecnico-scientifici propri della scienza, arte, tecnica o disciplina nel cui ambito si iscrive la valutazione che è stato incaricato di compiere (Cass. 30 giugno 2005, n. 13954).

Sia nella ipotesi di arbitrato irrituale, sia di perizia contrattuale, secondo principio consolidato di questa Corte, la decisione degli arbitri-periti è impugnabile soltanto attraverso le tipiche azioni di annullamento del contratto, e non anche attraverso gli strumenti previsti dal codice di rito civile per i lodi rituali: è, cioè, rilevante la condotta dei medesimi, che sia sfociata in causa di invalidità (per incapacità o vizi del consenso) della perizia stessa (Cass. 16 marzo 2005, n. 5678; 27 settembre 2002, n. 14015; 23 ottobre 1998).

Il risultato della valutazione degli arbitri-periti può rilevare, dunque, ai sensi dell’art. 1429 c.c., quale errore che, procedendo da violazione dei limiti del mandato conferito, abbia inficiato la volontà contrattuale da costoro espressa (Cass. 18 gennaio 1992, n. 595).

In definitiva, nella perizia contrattuale gli errori in procedendo o in iudicando rilevano a condizione che si risolvano in cause di invalidità e, cioè, incapacità e vizi del consenso, mentre non è possibile far valere censure che attengano ai presunti vizi di giudizio sul dictum, com’è invece proprio dell’impugnazione del lodo arbitrale.

In particolare, l’eventuale errata interpretazione ed applicazione di una regola del giudizio può ricondursi alla figura dell’abuso di mandato e, quindi essere fonte di responsabilità per gli arbitri, ma non costituisce un errore sindacabile in giudizio, tale da condurre ex post all’annullamento della loro determinazione: è preclusa l’impugnativa per errore di diritto, a meno che si tratti di errore percettivo con esclusione di eventuali errori compiuti dagli arbitri nella valutazione ed interpretazione del diritto, ivi comprese le valutazioni sull’esistenza, vigenza od efficacia della norma di diritto (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3637; 6 febbraio 2009, n. 2988).

In tal modo ricondotta la violazione alle cause di invalidità del contratto, ne deriva, altresì, che la sua deduzione comporta un’indagine sull’effettivo contenuto del mandato stesso ed apprezzamenti riservati al giudice del merito e non censurabili in cassazione, se correttamente motivati ed ispirati ai criteri legali di ermeneutica contrattuale.

2.2. Nella specie, la corte del merito ha esaurientemente spiegato le ragioni per le quali non è ravvisabile un errore di fatto, nè il dolo, degli arbitri-periti, ma, semmai, un errore di diritto, che non poteva essere dedotto innanzi al giudice come motivo di annullamento del lodo.

Tale accertamento in fatto è stato compiuto dal giudice del merito con motivazione congrua ed adeguata, onde esso resta insindacabile in sede di legittimità.

3. – Il terzo ed il quinto motivo devono essere esaminati congiuntamente, per la loro intima connessione, e sono fondati.

3.1. La corte territoriale ha affermato che la revoca del mandato collettivo, qual è quello nella specie conferito ai periti contrattuali dalle parti – revoca in concreto manifestata dal D. ai periti il 3 giugno 2005 – non ha nessun effetto, allorchè non sia prima proposta azione di accertamento giudiziale dell’esistenza della giusta causa, ai sensi dell’art. 1726 c.c.; ha, altresì, affermato che i periti possono sempre demandare ad un diverso esperto di svolgere il compito valutativo loro demandato.

Quindi, la sentenza impugnata, premesso che la perizia contrattuale ha le caratteristiche di un mandato conferito collettivamente ai periti dalle parti nell’ambito della loro autonomia negoziale ed è revocabile unilateralmente per giusta causa, ma solo se questa sia preceduta o sia contestuale alla proposizione di un’azione giudiziaria finalizzata all’accertamento dell’intervenuta estinzione del mandato, ha poi comunque escluso la configurabilità di questa ipotesi, osservando che i periti possono servirsi di una c.t.u. per la loro valutazione.

3.2. A sostegno della decisione, la sentenza impugnata cita il precedente di questa Corte, che tuttavia non mostra di avere correttamente inteso: ed invero, il precedente di legittimità, cui essa rimanda (Cass. 29 maggio 2000, n. 7045), non ha affermato tale principio, ma unicamente quello, per vero consolidato, secondo cui gli arbitri irrituali svolgono una mera attività negoziale, onde avverso la loro decisione non può farsi valere il difetto di terzietà quale ragione di nullità del lodo: “l’assenza di terzietà dell’arbitro irrituale designato con mandato collettivo deve necessariamente – come nella specie avvenuto – essere proposta e dedotta attraverso l’azione di cui all’art. 1726 c.c., e cioè prospettando una giusta causa di revoca”.

Ciò, però, non significa affatto – nè detta sentenza lo afferma – che il mandante, ove esista una giusta causa, non possa manifestare la volontà di revoca in via stragiudiziale e che debba, a pena di inefficacia della medesima, esperire contemporanea azione giudiziale.

Al contrario, come in tutti i casi analoghi di cd. autotutela negoziale ed in particolare di recesso, la parte è abilitata a manifestare la sua volontà in modo autonomo ed anche in via stragiudiziale (cfr. artt. 24, 1373, 1385, 1386, 1569, 2285, 2347-bis, 2383, 2473 ed altri).

A tale regola generale non fa eccezione il mandato collettivo, per il quale l’art. 1726 c.c., pone unicamente l’esigenza – in ipotesi di recesso non operato da tutti i mandanti – della sussistenza della giusta causa.

Al riguardo, è stato da tempo chiarito – con principio estensibile alla perizia contrattuale – che il mandato per arbitrato libero ha natura di un mandato congiuntivo il quale dà vita ad un rapporto che interessa entrambe le parti compromittenti, dato che solo dal concorso della volontà di entrambe le parti viene conferito al collegio arbitrale il mandato a definire la controversia con il proprio dictum, e può essere, pertanto, revocato, ai sensi degli artt. 1723 e 1726 c.c., solo di comune accordo fra tutti gli interessati, a meno che non vi sia una giusta causa, la quale ricorre in tutti i casi in cui circostanze obiettive rendono pregiudizievole per il mandante la continuazione del rapporto; e che la giusta causa di revoca del mandato può anche dipendere da una violazione, da parte degli arbitri, delle obbligazioni nascenti dal mandato, da valutare, quanto alla gravità, con riferimento alla globalità del comportamento della parte inadempiente ed all’interesse del creditore alla prestazione (Cass. 28 luglio 1995, n. 8243).

E’ noto pure che la cd. revoca del mandato per giusta causa integra fattispecie di recesso unilaterale dal medesimo, con efficacia ex nunc, il quale ha la capacità di paralizzare l’efficacia del rapporto stesso per il futuro, ossia da quando la relativa dichiarazione di volontà sia stata indirizzata al mandatario (Cass. 11 agosto 2000, n. 10739).

Dunque, ciò che può dirsi è solo che, in assenza di giusta causa, la revoca, ad opera di alcuni dei mandanti, del mandato collettivo conferito agli arbitri irrituali è improduttiva di effetti (cfr. Cass. 27 settembre 1993, n. 9727).

Come in tutti i casi in cui, parimenti, l’esercizio di un diritto, o comunque una conseguenza giuridica, è subordinato alla presenza o all’assenza della giusta causa, spetta al giudice di accertare ex post se tale presupposto esisteva e, quindi, se si sia o no verificato – per quanto ora interessa – l’effetto estintivo del rapporto contrattuale.

La domanda di accertamento della legittimità della revoca unilaterale del mandato collettivo per giusta causa, se accolta, conduce poi alla dichiarazione di nullità di tutti gli atti posti in essere dai periti successivi alla revoca, ivi compresa la loro finale determinazione peritale. Ma non costituisce affatto la condizione di efficacia della revoca stessa, come invece la corte del merito ha ritenuto.

3.3. Quanto alla seconda affermazione, sopra riportata, della sentenza impugnata, giova ricordare che con la perizia contrattuale le parti devolvono al terzo, o ai terzi, scelti per la loro particolare competenza tecnica, la formulazione di un apprezzamento tecnico che preventivamente si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva (tra le altre, Cass. 22 giugno 2005, n. 13436 e 24 maggio 2004, n. 9996).

Ne deriva che il perito, il quale viene scelto proprio per la sua particolare competenza, non ha facoltà di nominare a sua volta un vero esperto, ove egli non si reputi tale. Costituisce, dunque, necessariamente un’eccezione detta ulteriore nomina, mediante sub-delega dell’incarico ricevuto.

In tal senso, provvedono l’art. 1708 c.c., che indica il contenuto del mandato, l’art. 1710 c.c., sulla diligenza del mandatario, che al secondo comma impone al mandatario di rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possano determinare la revoca o la modificazione del mandato, e l’art. 1711 c.c., secondo cui il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute, solo qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione. Prima ancora, ciò riposa sul fondamentale principio di correttezza nei rapporti interpretativi (art. 1175 c.c.), applicato a quel particolare negozio costituito dalla perizia contrattuale.

Anche per tale profilo, dunque, il motivo merita accoglimento, laddove reputa che i periti – ove inidonei ad operare la valutazione contabile di stima aziendale loro demandata – siano piuttosto tenuti a non accettare l’incarico, senza poter delegare ad altri (pur denominato “c.t.u.”) l’intero compito affidato.

In caso contrario, viene integrato l’inadempimento al proprio obbligo di svolgimento personale dell’incarico valutativo, e, di conseguenza, la giusta causa di revoca del mandato.

4. – Il sesto motivo, proposto solo in via subordinata, resta assorbito.

5. – Il ricorso incidentale è inammissibile per difetto di autosufficienza, posto che il principio della rilevabilità del giudicato esterno nel giudizio di legittimità deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (Cass. 11 febbraio 2015, n. 2617; sez. un., 27 gennaio 2004, n. 1416).

6. – In conclusione, vanno accolti il terzo ed il quinto motivo del ricorso principale, onde la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa innanzi alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, perchè decida la controversia in applicazione del seguente principio di diritto:

Nella perizia contrattuale la revoca, ad opera di alcuni soltanto dei mandanti, del mandato collettivo conferito ai periti è, in presenza di una giusta causa, immediatamente produttiva dell’effetto estintivo, che si produce ex nunc e che, in caso di contestazione, spetta al giudice di accertare con sentenza dichiarativa, senza che tuttavia la proposizione di tale azione costituisca affatto condizione di efficacia della revoca stessa. Ove le parti abbiano incaricato uno o più esperti, anche costituiti in collegio, di svolgere una perizia contrattuale, costituisce giusta causa di revoca la sub-delega, da parte di essi, ad un diverso esperto dell’intero incarico valutativo ricevuto, salvo non consti il consenso esplicito in tal senso dei soggetti mandanti.

Alla corte del merito si demanda pure la liquidazione delle spese di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo ed il quinto motivo del ricorso principale, respinti il primo, il secondo ed il quarto, assorbito il sesto; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2016

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