Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1744 del 24/01/2018


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Cassazione civile, sez. II, 24/01/2018, (ud. 29/03/2017, dep.24/01/2018),  n. 1744

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con citazione notificata il 9.1.2004 P.L. ha convenuto L.P.N. e La.Sa. innanzi al tribunale di Roma chiedendo che la prima fosse dichiarata occupante sine titulo dell’appartamento sito in (OMISSIS), già casa coniugale in comproprietà tra i due convenuti poi separati, dall’attore acquistato in seguito al decreto di trasferimento del 7-11.4.2003 emesso dal tribunale di Roma all’esito di vendita giudiziale disposta nel giudizio di scioglimento della comunione tra i predetti signori L. e La.; ha chiesto inoltre la condanna dei convenuti al pagamento di somme di denaro in relazione all’esser stato l’immobile venduto come libero, fra cui un’indennità di occupazione sino all’effettivo rilascio.

2. Si è costituita la sola L.P.N. deducendo di occupare legittimamente l’immobile in quanto assegnatole dal giudice della separazione con provvedimento del 6.11.1992, trascritto il 12.11.1996; ha chiesto pertanto il rigetto della domanda.

3. Con sentenza depositata il 18.1.2006 il tribunale di Roma ha rigettato la domanda di rilascio, accertando l’esistenza di un “diritto personale di godimento” della signora L. opponibile al terzo acquirente “anche oltre i nove anni di cui all’art. 1599 c.c.”, in quanto trascritto anteriormente alla procedura divisionale e “fino a revoca dell’assegnazione… da parte del tribunale della separazione o divorzio, previa verifica dell’insussistenza delle originarie condizioni giuridiche legittimanti” (così la sentenza del tribunale come riportata a p. 3 della sentenza impugnata); ha condannato tuttavia la stessa signora L. a versare al signor P. un’indennità di occupazione, da determinarsi in separata sede, fino al rilascio, “non potendo ritenersi tale diritto personale di godimento concesso a mero titolo gratuito” (ibidem).

4. La sentenza del tribunale è stata appellata dalla signora L.. Nel giudizio di appello il signor P. si è costituito chiedendo il rigetto del gravame.

5. Con successiva citazione notificata il 24.11.2006 P.L. ha chiesto al tribunale di Roma di quantificare l’indennità di occupazione. Nel giudizio si è costituita la signora L. eccependo la nullità dell’atto introduttivo e chiedendo la sospensione del giudizio stesso per contestuale pendenza del giudizio di appello avverso la prima decisione.

6. Il tribunale, disattese le richieste della signora L., ha determinato l’indennità per la pregressa occupazione dell’immobile in Euro 52.780,69, oltre al versamento di Euro 968,55 mensili sino al rilascio.

7. Anche tale sentenza è stata appellata dalla signora L., in giudizio in cui il signor P. si è costituito chiedendo il rigetto del gravame.

8. La corte d’appello di Roma, riuniti i due giudizi di impugnazione, con sentenza depositata il 14.3.2012 ha rigettato entrambi gli appelli e ha confermato le decisioni impugnate.

9. A fondamento della decisione, la corte territoriale ha specificato che il provvedimento di assegnazione della casa costituisce un diritto personale di godimento che l’assegnatario può opporre ai terzi nei limiti in cui persistono le esigenze di tutela dei figli (minori o maggiorenni non autosufficienti senza colpa) con lui conviventi, per cui “per paralizzare la pretesa dell’originario attore non è sufficiente opporre il provvedimento del tribunale che nel lontano 1992 aveva disposto l’assegnazione della casa”, ma “occorre dimostrare la permanenza, nell’immobile, dei figli che nonostante la maggiore età non siano ancora economicamente autosufficienti” (e sul punto la corte ha richiamato che, all’emissione della sentenza di appello, le tre figlie dichiarate conviventi – La.Ro., M. e C. avrebbero avuto “trentasette, quarantuno e trentanove anni” di età p. 7 della sentenza impugnata); e che il terzo acquirente dell’immobile, legittimato a ottenere la condanna degli occupanti al pagamento di un’indennità di occupazione, può chiedere diversamente da quanto ritenuto dal tribunale – allo stesso giudice adito con tale domanda di accertare “la permanenza delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto (personale) di godimento” in favore del coniuge assegnatario (p. 7 della sentenza).

10. Tanto, secondo la corte, sarebbe stato ancor più necessario nel caso di specie, ove “nessuno dei coniugi (avrebbe) più interesse alla revoca del provvedimento di assegnazione” (la signora L. perchè ne seguirebbe la perdita di disponibilità dell’immobile, il coniuge separato perchè ormai era stato trasferito il suo diritto di proprietà già non implicante il godimento della cosa – p. 7 cit.); pertanto, il giudice richiesto di determinare l’indennità potrebbe stabilire se e da quanto tempo (anche anteriormente alla citazione – v. p. 9 della sentenza) non sussistano più i presupposti per mantenere in essere il diritto personale di godimento.

11. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la signora L. sulla base di due motivi. L’intimato ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce “violazione ed errata applicazione” dell’art. 155 c.c., e L. n. 74 del 1987, art. 6, (sic; rectius, L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 6, comma 6, come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11) contestando l’interpretazione fornita dalla corte di merito dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare o della convivenza e affermando che essa dovrebbe reputarsi attributiva di un diritto reale (sic) in capo all’assegnatario opponibile ai terzi nei limiti del novennio se non trascritto e senza limiti di tempo ove preventivamente trascritto, finchè perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, rimovibile solo con eventuale successiva pronuncia del giudice (scilicet, del giudice della crisi della famiglia o della convivenza) che accerti il venir meno delle ragioni su cui si è fondata l’attribuzione (p. 13 del ricorso); da ciò discenderebbe l’erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che il terzo possa chiedere allo stesso giudice adito con domanda di altro tipo (nel caso di specie, di indennizzo per occupazione) di accertare “la permanenza delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto (personale) di godimento” in favore dell’assegnatario (p. 14 del ricorso, oveò si cita la sentenza impugnata).

2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo” e violazione dell’art. 112 c.p.c., nella parte in cui, ravvisata la sussistenza del diritto di godimento sulla casa, la corte territoriale ha però ritenuto fondata la domanda di liquidazione di un’indennità a favore del proprietario (a) in una situazione di “attuale inesistenza di una pronuncia giudiziale da parte del giudice della separazione ovvero del divorzio” in “ordine al permanere delle condizioni che giustifichino il godimento e comunque (b) nell’assenza di una decisione in ordine a tali condizioni dello stesso giudice adito con la domanda di indennizzo, che dunque aveva omesso la pronuncia in argomento in ritenuta violazione dell’art. 112 c.p.c., o comunque aveva reso una motivazione carente; ciò, per giunta, contraddittoriamente in quanto, (c) pur “esclude(ndo) la legittimità di una procedura… di liberazione dell’immobile fino a revoca dell’assegnazione medesima da parte del tribunale della separazione ovvero del divorzio”, aveva nondimeno “riten(uto) fondata la domanda… di accertamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile” (così pp. 14 e 15 ricorso). In definitiva, la ricorrente ha invocato l’affermazione che l’acquisto dell’immobile gravato dal diritto di godimento (d) non consenta., a differenza della sentenza impugnata che l’ha riconosciuto con decorrenza dalla data del decreto di trasferimento, di “attribu(ire) il diritto di esigere un’indennità… almeno sino all’intervento di una pronuncia giudiziale che disaminerà (sic) la persistenza dei requisiti legittimanti l’attribuzione” (p. 15 del ricorso).

3. I due motivi, che in effetti come riepilogato innanzi propongono un più numeroso reticolo di doglianze, sono strettamente connessi, in quanto in particolare – al di là dell’articolazione formale offerta ai motivi stessi dalla parte ricorrente (v. Cass. n. 3437 del 14/02/2014 e n. 6935 del 22/03/2007) – in entrambi vengono contestate, essenzialmente come errores in iudicando ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’affermazione operata dalla corte locale secondo cui il diritto dell’assegnatario sulla casa della famiglia o convivenza sarebbe un diritto personale di godimento (in luogo della visione, auspicata dalla parte, quale diritto reale, peraltro perpetuo se il provvedimento sia stato trascritto); nonchè l’altra affermazione conseguenziale per cui il terzo potrebbe chiedere allo stesso giudice adito con domanda di altro tipo (nel caso di specie, almeno originariamente, di condanna al rilascio e al pagamento di indennizzo per occupazione) di accertare “la permanenza delle condizioni che giustificano l’eccezionale diritto… di godimento” dell’assegnatario della casa della famiglia o convivenza; questa contestazione è poi collegata (in quanto il suo esito è determinante i relativi obblighi motivazionali) a quella di omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 primo comma n. 5 cod. proc. civ. sollevata con il secondo motivo (unitamente a presunta violazione dell’art. 112 c.p.c.) su profili attinenti la stessa questione giuridica centrale (profili sub a) e sub b) del secondo motivo) nonchè su suoi corollari, che pure dunque vanno esaminati in un unico contesto, riguardanti i rapporti tra domanda di rilascio e domanda di indennità (profilo sub c) del secondo motivo) e la decorrenza dell’indennità medesima (profilo sub d). I due complessi motivi, congiuntamente valutati, sono parzialmente fondati.

4. Al fine di individuare il quadro normativo da applicarsi alle questioni sollevate, va ricordato che, per effetto della L. 19 maggio 1975, n. 151, l’assegnazione della casa nel giudizio di separazione personale è stata regolata dall’art. 155 c.c., comma 4, che ha disposto che l’abitazione in essa “spetta, di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”, comma dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte cost. n. 454 del 27/7/1989 nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento ai fini dell’opponibilità ai terzi. L’ultimo comma di detto articolo ha previsto la facoltà di chiedere “in ogni tempo” la revisione delle disposizioni. Parallelamente l’art. 6, della L. sui casi di scioglimento del matrimonio 1 dicembre 1970, n. 898 (L. div.), che nel testo originario ha affidato in generale al tribunale il compito di dare provvedimenti riguardo ai figli e stabilire la misura e il modo con cui il coniuge non affidatario debba contribuire al mantenimento degli stessi, è stato novellato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, che visto l’introduzione di un comma sesto a mente del quale “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”. Gli aspetti procedimentali della “revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento”, prevista dall’art. 9, L. div., sono stati regolati dallo stesso art. 9, mentre quelli relativi alla separazione sono restati affidati alla procedura di cui agli artt. 710 e 711 c.p.c..

5. Tale essendo il quadro normativo ratione temporis vigente allorchè è stato emanato (nel 1992) e trascritto (nel 1996) nel caso di specie il provvedimento del tribunale di assegnazione della casa familiare a L.P.N., va richiamato per completezza che il quadro stesso si è successivamente arricchito. Tale arricchimento si è avuto anzitutto a seguito delle modificazioni apportate dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso, che ha introdotto l’art. 155 quater c.c., secondo il quale – nella logica di un’adozione prevalente del nuovo modulo dell’affidamento dei figli a entrambi i genitori – “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643” e ha esteso, con l’art. 4, il procedimento anche per la pronuncia dei provvedimenti che disciplinano le condizioni relative ai figli di genitori non coniugati. Ulteriore arricchimento si è avuto poi in virtù del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in tema di revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, che ha abrogato l’art. 155 quater, e ha trasferito il relativo contenuto disciplinare nell’art. 337 sexies c.c.. L’art. 337 sexies c.c., giusta quanto disposto dall’art. 337 bis c.c., si applica anche ai casi di “separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio”, benchè per lo scioglimento sopravviva comunque anche l’art. 6, L. div. (e in tal senso già la L. n. 54 del 2006, art. 4, aveva disposto che le norme da essa previste, tra cui l’art. 155 quater c.c., si applicassero anche agli altri procedimenti di gestione delle crisi della famiglia e delle convivenze). Essendo gli accordi equiparati negli effetti ai provvedimenti giurisdizionali, le norme predette si applicano anche per la modifica delle condizioni previste negli accordi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio innanzi all’ufficiale di stato civile ovvero assunti in esito a procedura di negoziazione assistita di cui alla L. 10 novembre 2014, n. 162. Infine, la L. 20 maggio 2016, n. 76, all’art. 1, commi 42 e 43, ha specificamente disposto: “Salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. (…) Il diritto (…) viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto”; al successivo Comma 61 ha disposto che nel caso in cui la casa sia nella disponibilità esclusiva del recedente da un contratto di convivenza, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

6. Tale quadro legislativo, come risulta dalla ricognizione sopra svolta, non risolve espressamente i problemi posti dal ricorso, pur emergendo una sostanziale assimilazione, dal punto di vista che interessa, di tutte le procedure di gestione della crisi della famiglia o convivenza; va dunque fatto riferimento alla giurisprudenza di questa corte al fine di chiarire in via interpretativa, anzitutto, la natura del provvedimento di assegnazione della casa; in secondo luogo, il rilievo dell’opponibilità del provvedimento stesso a confronto con la possibilità per il terzo, acquirente dell’immobile già destinato alla tutela dell’habitat domestico, di far accertare giudizialmente l’inefficacia, originaria o sopravvenuta, dei presupposti di un’assegnazione pur opponibile; nonchè, in terzo luogo, lo strumentario giuridico disponibile a tale terzo.

7. In argomento, va sottolineato che in particolare questa corte:

– ha indicato che l’assegnazione della casa costituisce in capo all’assegnatario un diritto personale di godimento e non un diritto reale (v., anche per richiami, Cass. n. 17843 del 09/09/2016);

– ha chiarito altresì che, ove la casa sia stata alienata; e ciò soltanto dopo l’assegnazione e a prescindere dalle note problematiche in tema di trascrivibilità della relativa domanda (contra, Cass. n. 17971 dell’11/09/2015), il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni (v. Cass. n. 15367 del 22/07/2015, resa peraltro in materia cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, con principi però applicabili anche alla separazione);

– ha sottolineato (v. sempre Cass. n. 15367 del 22/07/2015), però, che l’opponibilità opera su un piano diverso dall’efficacia della pronuncia giudiziale di assegnazione, costituente il titolo in forza del quale il genitore, che non sia titolare in via esclusiva di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo, di regola in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti senza loro colpa (come per giurisprudenza ferma – v. ad es. Cass. n. 13603 del 21/07/2004 – prescindendosi, sul punto, dal dibattito, riapertosi dopo la più recente legislazione, sull’essere o no l’assegnazione possibile in assenza di figli o in generale rientrante nell’ambito dei provvedimenti a contenuto patrimoniale); distinguendosi dunque tra opponibilità ed efficacia della pronuncia giudiziale, quest’ultima può essere messa in discussione circa l’interesse alla cui tutela è stata rivolta l’assegnazione (come detto, di regola, quello dei figli), rispettivamente, tra i coniugi, nelle forme del procedimenti di revisione (previsti, per i soli casi di sopravvenienze, rispettivamente dagli artt. 710 e 711 c.p.c., e dalla L. n. 898 del 1970, art. 9) e, da parte del terzo, “non legittimato ad attivare il procedimento suindicato,… instaurando, (in) un ordinario giudizio di cognizione, una domanda di accertamento dell’insussistenza” (originaria o sopravvenuta, com’è a ritenersi, non rilevando per il terzo le sole sopravvenienze) “delle condizioni per il mantenimento del diritto personale di godimento a favore del coniuge assegnatario della casa coniugale” (in particolare, “per essere venuta meno la presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, con il medesimo conviventi…”) “al fine di conseguire una declaratoria di inefficacia del titolo che legittima l’occupazione della casa coniugale da parte del coniuge assegnatario, a tutela della pienezza delle facoltà connesse al diritto dominicale acquisito”; ciò in quanto “il perdurare sine die dell’occupazione dell’immobile – perfino quando ne siano venuti meno i presupposti… – si risolverebbe in un ingiustificato, durevole, pregiudizio al diritto del proprietario terzo di godere e disporre del bene, ai sensi dell’art. 42 Cost., e dell’art. 832 c.c.” (v. sempre Cass. n. 15367 del 22/07/2015);

– ha affermato tradizionalmente che il terzo acquirente del bene è tenuto a rispettare il godimento dell’assegnatario “nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell’assegnazione”, escluso in tali limiti “qualsiasi obbligo di pagamento da parte del beneficiario per tale godimento, atteso che ogni forma di corrispettivo verrebbe a snaturare la funzione stessa dell’istituto” (cfr. ad es. Cass. n. 12705 del 29/08/2003), potendo – in caso di inconsapevolezza circa l’assegnazione – agire contro il dante causa (Cass. n. 18574 del 15/09/2004, nonchè già n. 12707 del 2003 cit.);

– ha poi però coerentemente evidenziato che, invece, ove sia inosservato il predetto “regime giuridico proprio dell’assegnazione”, ancorato ai presupposti di legge, al venir meno di essi, non ponendosi più un problema di opponibilità, il terzo ha diritto a ottenere dagli occupanti, sino al rilascio, il pagamento di una indennità di occupazione illegittima (così Cass. n. 15367 del 22/07/2015, in massima).

8. Se, dunque, può considerarsi già ius receptum nella giurisprudenza di questa corte che l’opponibilità del previo provvedimento di assegnazione della casa familiare o della convivenza al coniuge o al convivente, in quanto di regola afficlatario di figli minori (o coabitante con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa), nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto, anche al terzo successivamente resosi acquirente dell’immobile, opera solo finchè perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale, e l’insussistenza del diritto – da qualificarsi personale di godimento – sul bene (di regola, perchè la prole sia stata ab origine, o successivamente divenuta, maggiorenne ed economicamente autosufficiente o comunque versi in colpa per il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica), non ponendosi più un problema di sua opponibilità, legittima il terzo acquirente a proporre un’ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell’occupante al pagamento di una indennità di occupazione illegittima (così Cass. n. 15367 del 22/07/2015, in massima), in base a tale principio generale possono disattendersi in quanto infondati i profili di censura, come sopra enuncleati dai motivi di ricorso, secondo i quali:

– l’assegnazione della casa familiare o della convivenza dovrebbe reputarsi attributiva, diversamente da quanto ritenuto dalla corte d’appello, di un diritto reale;

– tale diritto, se trascritto il provvedimento di assegnazione, sarebbe opponibile senza limiti di tempo finchè perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale;

– quest’ultima sarebbe rimovibile solo con eventuale successiva pronuncia del giudice della crisi della famiglia o della convivenza, a iniziativa di uno dei conviventi.

Al contrario, deve invece ribadirsi, in continuità con la cennata giurisprudenza, la possibilità per il terzo di agire in via ordinaria (e non esclusa la tutela sommaria e d’urgenza di regola indisponibile in sede di giudizio revisionale tra i partner) per ottenere l’accertamento (che andrà ovviamente correlato, come avviene perfino con le fattispecie estintive tipizzate dell’assegnazione dell’instaurazione di un nuovo matrimonio o una nuova convivenza, con la valutazione dell’interesse dei figli – cfr. Corte cost. 30/07/2008 n. 308) e la restituzione. Il caso di specie, del resto, offre evidenza delle conseguenze negative cui condurrebbe una diversa conclusione: la corte d’appello ha ben notato come, tra gli ex partner, “nessuno… (avrebbe) più interesse alla revoca del provvedimento di assegnazione” (l’assegnatario perchè ne seguirebbe la perdita di disponibilità dell’immobile, l’altro ex convivente perchè ormai è stato trasferito il diritto di proprietà già non implicante il godimento della cosa – p. 7 sentenza).

9. Parimenti infondato è il profilo di censura, come sopra riepilogato, con cui si contesta tout court la debenza di un’indennità di occupazione. L’inconfigurabilità di un’obbligazione di indennità viene fatta dalla ricorrente discendere dal fatto che a seguito della trascrizione sia stato noto all’acquirente l’essere l’immobile gravato da un diritto di godimento (che erroneamente la ricorrente, come detto, paragona all’usufrutto e al diritto di abitazione quali diritti reali tendenzialmente a vita). Al riguardo, si è invece sopra sottolineato che altro sono la pubblicità e l’opponibilità che ne consegue (opponibilità comunque novennale in assenza di pubblicità), altro è l’efficacia del titolo, la quale ultima – per l’intrinseca provvisorietà dei provvedimenti in materia di famiglia e convivenze – può essere liberamente messa in dubbio, senza che a ciò sia di ostacolo la trascrizione; e quando sia accertata su iniziativa del. terzo l’insussistenza, originaria o sopravvenuta, dei presupposti per l’assegnazione non si versa più in una situazione per cui rilevi l’opponibilità, bensì in una situazione di inefficacia dell’assegnazione, pur opponibile, situazione che provoca il riespandersi delle facoltà dominicali compresse (cfr. di nuovo Cass. n. 15367 del 22/07/2015), con i conseguenti diritti alla consegna, all’indennità e, se del caso, al risarcimento.

10. E’ necessario a questo punto, dopo l’esame delle questioni relative alla natura del diritto, con digressione, esaminare se l’azione di accertamento e condanna proposta del terzo, tesa a far emergere l’inefficacia del diritto stesso, debba rivolgersi contro entrambi gli originari coniugi o conviventi, oppure contro solo quello che tra essi (al di fuori di casi specifici di affidamento condiviso) occupi l’immobile. La questione rileva, nella fattispecie in esame, ai fini della verifica della regolarità del contraddittorio, posto che il signor P. ha agito nei soli confronti della sola signora L. quanto meno nel giudizio relativo al quantum e nel presente giudizio di legittimità. Al riguardo, va ribadito l’indirizzo già espresso da Cass. n. 15367 del 2015, cit., di favore per la seconda opzione (al di là dei casi, ovviamente, in cui nel medesimo processo il terzo intenda cumulare domande propriamente riferite all’altro soggetto, quali il risarcimento del danno per fatto di questi). Non paiono, infatti, cogliere nel segno le critiche mosse all’orientamento già recepito da questa corte, le quali auspicano invece che la decisione nel giudizio avviato dal terzo debba pronunziarsi nel contraddittorio dei soggetti già presenti nel giudizio che ha portato all’assegnazione (il riferimento è ai partner, ma logicamente la tesi dovrebbe implicare anche la presenza del pubblico ministero, ove sussista prole minore), alla luce dell’esigenza di una nuova valutazione delle esigenze della prole. Tale valutazione, come detto costituzionalmente necessitata (cfr. Corte cost. 30/07/2008 n. 308 cit.), può e deve essere compiuta a prescindere dall’individuazione delle controparti del giudizio, che vanno invece identificate in ragione del principio per cui oggetto di analisi per determinare legittimazione ad agire e contraddire, nonchè titolarità attiva e passiva del rapporto, deve essere la domanda, esaminata rispettivamente in astratto e nel merito (Cass. sez. U 16/02/2016 n. 2951, p.p. 31 e 33); del resto, in assenza di disposizioni di legge impositive di un litisconsorzio per opportunità, l’azione del proprietario volta a ottenere il rilascio del proprio immobile gravato da un mero diritto atipico di godimento, previo accertamento dell’inefficacia di quest’ultimo, ed eventuali statuizioni accessorie, non afferisce ad alcun rapporto sostanziale plurisoggettivo tale da necessitare il litisconsorzio. Non interferisce, in particolare, con una situazione plurisoggettiva passiva la domanda di condanna al pagamento di indennità di occupazione, la quale si rivolge esclusivamente verso l’occupante (cfr. Cass. n. 15367 del 2015 cit.) quale soggetto responsabile (in quanto unico capace di porvi termine in via antiprocessuale) della crisi di cooperazione consistente nella violazione, ove sia intervenuta richiesta, di consegnare la res oggetto di diritto reale altrui, a fronte dell’inefficacia, originaria o sopravvenuta, del titolo che ne giustificava la detenzione; la responsabilità dell’assegnatario si configura sia quando le lesione dell’obbligo di cooperazione dipenda dal fatto proprio, sia quando dipenda dal fatto delle persone di cui lo stesso debba rispondere verso il proprietario (familiari, quali figli maggiorenni in colpa nel raggiungimento dell’autosufficienza; conduttori pro parte di locali nell’immobile, ove consentito il subcontratto; ecc.); ciò in conformità ai principi ampiamente affermati in tema di diritti personali di godimento. Resta ferma, ovviamente, la possibilità dell’intervento volontario dell’altro partner ai sensi dell’art. 105 c.p.c., nonchè resta il dato di fatto per cui il rilascio della casa, pronunciato inter alios, e a prescindere dal dibattito circa il contenuto patrimoniale dell’assegnazione, può “incide(re)… sull’assetto dei rapporti patrimoniali tra i coniugi dettato dal giudice della separazione o del divorzio” (così Cass. n. 12705 del 29/08/2003, cit., come detto precedente rispetto al chiarimento di cui a Cass. n. 15367 del 22/07/2015); meno ovvio, invece, salvo che per i casi in cui sussista il consenso degli ex partner nel mantenimento del godimento della casa pur a fronte della consapevolezza dell’inefficacia del titolo (ad es. per consentire il prosieguo degli studi di un figlio maggiorenne oltre i limiti di durata del corso), è il rifluire del pagamento dell’indennità nell’ambito di detti assetti, stante l’anzidetta individuazione del soggetto responsabile per la consegna nel solo occupante. Refluenze della specie (in particolare, la perdita della casa) sono, comunque, meri fatti sopravvenuti la cui trattazione – a meno di non voler ipotizzare, come implicherebbe la tesi non accolta, un convogliarsi nel giudizio ordinario promosso dal terzo di dibattiti processuali non confacenti, estesi all’ampio governo delle esigenze di gestione della crisi della convivenza, di cui l’assegnazione dell’abitazione rappresenta solo uno di molteplici aspetti – trova nel successivo, tendenzialmente rapido, giudizio camerale di revisione delle condizioni di separazione o divorzio la sede propria.

11. All’esito di tale digressione sui profili di rito, dunque, oltre ad affermarsi la regolarità del contraddittorio, in quanto instaurato nei soli confronti dal signor P. nei soli confronti della signora L. nel segmento processuale sopra menzionato, con prosecuzione analoga in questo giudizio di legittimità, può ulteriormente affermarsi l’infondatezza del profilo di censura dianzi menzionato, concernente i diversi rapporti tra giudizio ordinario e giudizio di revisione delle condizioni di separazione auspicati dalla ricorrente.

12. In argomento, fermo il predetto principio di carattere generale affermativo della possibilità di un giudizio ordinario con il quale il terzo, agendo nei confronti dell’occupante, ottenga accertamento dell’inefficacia (originaria o sopravvenuta) del provvedimento di assegnazione della casa, sono peraltro necessari due chiarimenti, che il caso di specie impone: in particolare, è necessario trattare:

– delle modalità di proposizione di detta azione di accertamento rispetto alle azioni di rilascio e di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, con particolare riguardo al se sia necessario, prima di poter accedere alle seconde, promuovere la prima per rimuovere l'”attuale inesistenza di una pronuncia giudiziale… in ordine alla (mancata) persistenza dei requisiti che giustificano il… diritto” (e il chiarimento consentirà anche di risolvere le questioni connesse ai dedotti vizi motivazionali per contraddittorietà nella decisione impugnata che, “esclude(ndo) la legittimità di una procedura… di liberazione dell’immobile fino a revoca dell’assegnazione medesima da parte del tribunale della separazione ovvero del divorzio”, ha nondimeno “riten(uto) fondata la domanda… di accertamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile”);

– della decorrenza della debenza dell’indennità di occupazione, che si deduce essere ancorata “all’intervento di una pronuncia giudiziale che disaminerà (sic) la persistenza dei requisiti legittimanti l’attribuzione di un diritto” all’assegnazione, a fronte invece della sentenza impugnata che l’ha riconosciuta con decorrenza dalla data del decreto di trasferimento (anche in questo caso la questione è connessa con le deduzioni di insufficiente motivazione).

13. Per affrontare entrambi gli aspetti anzidetti è indispensabile una premessa che valga a tener conto della diversità di caratteristiche – e dei correlativi limiti – dell’azione di revisione delle condizioni di gestione delle crisi della famiglia e delle convivenze, da un lato, e dell’azione di accertamento da parte del terzo del venir meno dei presupposti dell’efficacia dell’assegnazione della casa, dall’altro. Nel primo caso soltanto, in particolare, come si evince dalla scelta legislativa di adozione in entrambe le procedure di gestioni delle crisi del rito camerale e dall’intervento – anche imposto costituzionalmente – del pubblico ministero in presenza di figli (v. Corte cost. n. 416 del 9/11/1992), il giudice che debba confrontarsi con l’eventuale venir meno dei presupposti legittimanti l’assegnazione della casa è tenuto a pronunciare su diritti e a gestire interessi, che la crisi della famiglia o della convivenza impedisce agli interessati di trattare da sè soli, alla luce delle sopravvenienze (cfr. sul punto Cass. n. 19605 del 30/09/2016 e n. 14175 del 12/07/2016), nonchè con preminente rilievo della volontà delle parti pur nell’indisponibilità di taluni diritti. Nel secondo caso, invece, come si confà a un procedimento ordinario in cui si disputa di diritti soggettivi in tema di proprietà, al terzo proprietario si contrappongono l’ex coniuge o convivente occupante l’immobile, la cui volontà (eventualmente perfino di consentire, d’accordo con l’ex- partner, come già accennato, l’uso dell’abitazione all’affidatario dei figli e a questi ultimi pur oltre gli stretti limiti di legge, semmai anche per apprezzabili finalità di natura sociale) non rileva in quanto può confliggere con le ragioni della proprietà, onde il giudice è chiamato obiettivamente ad accertare il venir meno dell’efficacia dell’assegnazione, con i provvedimenti conseguenziali.

14. Da tale differenziazione deriva che la proposizione della domanda di accertamento del terzo, per essere questi estraneo alla gestione della crisi della famiglia o della convivenza, non soffre i limiti temporali di proponibilità connessi alle procedure per la gestione medesima (cfr. ad es. Cass. n. 21874 del 15/10/2014, cui si rinvia anche per richiami, in ordine all’accessibilità dei procedimenti di revisione solo dopo il passaggio in giudicato delle sentenze di separazione o divorzio), dovendo ritenersi – come già accennato sopra – ipotizzabile una contestazione da parte del terzo anche del sussistere ab initio dei presupposti dell’assegnazione della casa (come nelle ipotesi di assegnazione in pregiudizio al terzo, ad es., di un’abitazione non adibita a residenza familiare, o simulando esigenze di studio di figli maggiorenni). Dalla non riconducibilità agli schemi processuali dettati per la revisione delle condizioni di separazione e divorzio, come sopra esplicati, deriva altresì la piena soggezione delle domande a proporsi dal terzo, innanzi al tribunale monocratico deputato a trattare le azioni in tema di proprietà, al principio generale della libera cumulabilità delle stesse; per cui non solo si potrà agire per accertamento dell’insussistenza originaria o sopravvenuta delle condizioni di assegnazione, ma potranno proporsi in un unico contesto le domande di consegna e di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione, oltre eventualmente, ricorrendone i presupposti (si richiamano gli esempi, dianzi avuti presenti, di dolosa preordinazione di un’assegnazione carente di presupposti), il risarcimento dei danni; di regola, anzi, le domande in questione dovranno proporsi cumulativamente, “al fine di evitare abusi del processo. D’altronde, la domanda di accertamento d’insussistenza originaria o sopravvenuta dei presupposti per l’assegnazione può anche essere implicita nella domanda di rilascio e di pagamento dell’indennità (in tal senso può leggersi Cass. n. 15367 del 22/07/2015, cit., ove non trova accoglimento motivo di ricorso censurante l’assenza di un provvedimento di revoca dell’assegnazione, previo rispetto alla sentenza di condanna al rilascio; cfr. altresì, in altro ambito e mutatis mutandis, per la possibilità di ritenere anche formulata domanda di rilascio quando sussista domanda di accertamento, Cass. n. 6148 del 30/03/2016).

15. Conseguentemente, dovendosi affermare il predetto principio di diritto, risulta infondato il profilo di censura a mezzo del quale, mediante espressioni contenute nel secondo motivo messe in relazione con la censura di violazione di legge contenuta nel primo, la ricorrente ha denunciato come illegittima “una procedura… di liberazione dell’immobile fino a revoca dell’assegnazione medesima da parte del tribunale della separazione ovvero del divorzio”.

16. Va a questo punto esaminato il profilo di censura con cui la ricorrente ha sostenuto essere mancata, nella decisione della corte d’appello, un’effettiva valutazione del venir meno dei presupposti per l’assegnazione, ove (come qui si è ritenuto) tale valutazione dovesse svolgere il giudice anche al di fuori del contenzioso familiare. La doglianza, sottoposta sia per omessa pronuncia in ritenuta violazione dell’art. 112 c.p.c., sia comunque per motivazione carente, è infondata. La sentenza impugnata infatti, nella trattazione del motivo di appello sul tema, ha richiamato al p. 5.1.1. l’essere ancorata la ratio dell’assegnazione, di regola, alla tutela degli interessi della prole minorenne (p. 6 della sentenza); ha indi richiamato pertinente giurisprudenza; ha infine ricordato al p.5.1.2. che le tre figlie dichiarate conviventi – La.Ro., M. e C. – erano nate nel (OMISSIS), nel (OMISSIS) e nel (OMISSIS). Risulta dunque coerentemente, seppur succintamente, svolta l’indagine demandata al giudice del merito circa l’essere venuti meno (all’epoca dell’acquisto nel 2003 e all’eventuale successiva mora – cfr. infra – grazie a semplice confronto con le date di nascita risulta che nel 2003 la più giovane figlia era ventinovenne) i presupposti per l’assegnazione della casa a tutela della prole, essendo stata fatta applicazione dei principi per i quali, a fronte del raggiungimento di una congrua età ben superiore a quella del passaggio alla posizione di maggiorenne e alla conclusione di un ordinario ciclo di studi, deve presumersi che la persona sia da tempo inserita nella società o che la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico-reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche, costituisca un indicatore forte d’inerzia colpevole (cfr. Cass. n. 12952 del 22/06/2016 e, in generale, n. 610 del 17/01/2012). L’avere la corte territoriale svolto comunque il relativo accertamento esime questa corte di legittimità dall’esaminare se, nel giudizio instaurato dal terzo ai fini più volte precisati, valgano o non valgano, specialmente una volta conseguita la maggiore età da parte dei figli conviventi con l’assegnatario della casa, le medesime regole in tema di onere probatorio circa il raggiungimento dell’indipendenza economica che la giurisprudenza applica ai conflitti nell’ambito della famiglia o della convivenza, ove i partner hanno accesso a informazioni che al terzo potrebbero essere precluse.

17. Deve quindi passarsi alla censura di contraddittorietà motivazionale, connessa a quanto innanzi e pure dedotta nel secondo motivo, con la quale la ricorrente ha denunciato come non appaia coerente logicamente e giuridicamente che, mediante conferma della sentenza del tribunale sul punto, si sia ancorato al mancato accertamento del venir meno dei presupposti per l’assegnazione (ritenuto dal tribunale di esclusiva spettanza del giudice della procedura di separazione) il rigetto della domanda di consegna, mentre invece, affermandosi la spettanza al giudice in sede ordinaria della relativa domanda, si sia, sempre in conferma della sentenza del tribunale, “riten(uta) fondata la domanda… di accertamento di una indennità per l’occupazione dell’immobile”. Trattandosi di motivazione, riferita alla quaestio facti (dell’esistenza dei presupposti dell’accertamento dell’inefficacia del titolo assegnativo, da accertarsi da parte del giudice del merito), ò non affetta da una mera contraddittorietà, ma tale da determinare l’almeno apparente logica insostenibilità della motivazione (in quanto dal medesimo fatto si fa derivare una prima conseguenza giuridica e se ne nega una seconda, legata al fatto controverso dallo stesso nesso logico che lo lega alla prima), il ricorso va accolto per quanto di ragione, e la sentenza impugnata va cassata sul punto, in particolare essendo demandato al giudice di rinvio, sulla base del riesame degli atti, verificare anzitutto se l’antinomia sia giustificata da ragioni processuali, da esprimersi nel provvedimento, quali il giudicato interno (alla p. 4 della sentenza impugnata si legge che il signor P., nell’ambito del primo appello concernente l’an, avrebbe chiesto il mero “rigetto dell’appello”); e, in secondo luogo, rinnovare giustificando adeguatamente o modificando, in contraria ipotesi, la diversità delle pronunce risultanti previo riferimento agli applicabili principi di diritto di cui si è detto.

18. Quanto poi al profilo di censura, con cui si fa questione dell’individuazione del dies a quo di spettanza dell’eventuale indennità di occupazione illegittima, lamentandosi che la corte d’appello, confermando la statuizione del tribunale, abbia fatto decorrere l’indennità in questione dalla data di pubblicazione del decreto di trasferimento nel procedimento divisionale, cioè di acquisto dell’immobile da parte del signor P. (11 aprile 2003 – pp. 2 e 4 della sentenza impugnata), e sostenendosi la spettanza, al limite, dell’indennità dalla data di emanazione di un provvedimento ex art. 710 c.p.c., attualmente inesistente, va detto che, ancora una volta, mediante espressioni contenute nel secondo motivo messe in relazione con la censura di violazione di legge contenuta nel primo, la ricorrente denuncia indirettamente, in effetti, oltre che una omessa pronuncia e un vizio di motivazione, una violazione delle norme indicate nel primo motivo.

19. La censura è infondata sia quanto ai profili motivazionali sia, ancor più, quanto alla presunta omissione di pronuncia sul secondo motivo di appello della seconda impugnazione (con cui si era sostenuto doversi far decorrere l’indennità, al limite, stante la contestazione nell’an con la prima impugnazione, dalla notifica dell’atto introduttivo del primo giudizio – 9 gennaio 2004). In effetti, la corte d’appello ha trattato il motivo, in piena adeguatezza rispetto all’art. 112 cod. proc. civ., avendo semplicemente applicato un criterio difforme rispetto a quello auspicato dalla parte.

20. La censura, invece, è parzialmente fondata se esaminata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la decorrenza prescelta dalla corte d’appello per l’Indennità di occupazione è operata sulla base di una regula iuris difforme dalla ricostruzione giuridica discendente da una corretta interpretazione dell’art. 155 c.c., e art. 6,L. div., in relazione all’art. 42 Cost., e art. 832 c.c., (v., per il richiamo anche di tali norme quali regolatrici della fattispecie, sempre Cass. n. 15367 del 22/07/2015).

21. Sul punto, il precedente più volte cit. di Cass. n. 15367 del 2015, negando che l’indennità potesse essere dovuta dalla data di pervenimento di una costituzione in mora stragiudiziale, ha ancorato la debenza dell’indennità alla “data di deposito della sentenza di appello che ha accertato l’illegittimità del perdurare dell’occupazione del bene in parola”. Tale approdo deve essere rimeditato. Senza che sia necessario esaminare nel dettaglio la predetta soluzione accolta nel precedente del 2015, intermedia tra le altre opzioni possibili (ad es. decorrenza dalla costituzione in mora pur negata, dalla domanda giudiziale o dal giudicato), un ripensamento in ordine alla stessa deve necessariamente muovere dalla considerazione della natura del diritto a fronte della cui (originaria o, di regola, sopravvenuta) inefficacia emerge l’obbligo di consegna della casa. Si è detto che la giurisprudenza consolidata riconosce lo stesso quale atipico diritto personale di godimento; ciò avviene anche alla luce del riferimento operato dalla legge, ai fini della trascrizione, prima all’art. 1599, poi all’art. 2643 c.c. (riferimento quest’ultimo poco perspicuo, per la sua genericità, che la dottrina ha letto come confermativò della parificazione al regime pubblicitario della locazione). In tale contesto, come per la locazione (e per altri diritti personali di godimento), l’obbligo della riconsegna in generale (e fuori dell’esercizio delle azioni costitutive, quali l’azione di risoluzione) nasce dalla legge, per cui l’occupante è tenuto ad adempiervi senza particolare sollecitazione, anche se per alcune tipologie di obbligazioni restitutorie, in particolare in caso di indeterminazione del termine, la disciplina normativa della mora rimanda all’esigenza di un’intimazione o richiesta (nelle forme stabilite dall’art. 1219 c.c.). In ogni caso, la natura dichiarativa dell’azione volta a far emergere il venir meno delle esigenze che hanno condotto all’assegnazione della casa familiare esclude l’attribuzione di un qualsiasi rilievo all’emissione di una sentenza e al suo passaggio in giudicato, rilievo sussistente solo in caso di azioni costitutive. La natura dichiarativa dell’accertamento (che la dottrina riconosce anche alla medesima azione quando esercitata nel contesto della domanda di revisione ex artt. 710 e 711 c.p.c., e art. 9, L. div., ambito nel quale – salvo speciali decorrenze disposte dal giudice, su cui cfr. ad es. Cass. n. 16398 del 24/07/2007 – i provvedimenti sono pur tuttavia efficaci in generale per il futuro in ragione della preesistenza di provvedimenti temporanei e urgenti ultrattivi ex art. 708 c.p.c., e art. 4, comma 8, L. div., nonchè del loro più ampio inserimento in un contesto di decisioni riguardanti i figli con prevalenza del principio nemo in praeteritum alendus est, ma comunque con attenzione alla salvezza degli effetti della domanda – cfr. ad es. Cass. n. 28 del 07/01/2008, n. 3922 del 12/03/2012, n. 16173 del 30/07/2015) non subisce, nel caso di specie, alcun condizionamento dalla pendenza di un più ampio contenzioso relativo a crisi della convivenza e in particolare da precedenti provvedimenti regolativi delle obbligazioni tra le parti, per cui nel caso di azione esercitata dal terzo dalla regola secondo la quale la durata del processo non può danneggiare la parte vittoriosa deve discendere che la decorrenza dell’indennità vada identificata secondo le rate generali al momento della mora restitutoria, realizzata – non sussistendo i presupposti per la mora ex re – mediante intimazione o richiesta anche antecedenti la domanda giudiziale, cui può equivalere, in mancanza, la domanda giudiziale stessa.

22. A fronte di ciò, il mezzo è parzialmente fondato in quanto pur non dovendosi accogliere in toto la prospettazione della parte circa la presunta decorrenza (dalla futura emissione di un provvedimento ex art. 710 c.p.c., o dalla data della citazione nel secondo giudizio) – la sentenza impugnata comunque ha fatto applicazione di una regula iuris diversa da quella confacente giusta quanto esposto, che si compendia nel principio per cui, in caso di azione proposta dal terzo per l’accertamento dell’inefficacia dell’assegnazione della casa familiare o della convivenza, per assenza dei presupposti, la spettanza di un’indennità per l’occupazione illegittima si ha a far tempo dal verificarsi della mora restitutoria, mediante intimazione o richiesta, oppure, in mancanza, domanda giudiziale. Va dunque anche sul punto accolto il ricorso.

23. Al parziale accoglimento del ricorso, limitatamente ai profili di cui innanzi, consegue la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che procederà a rinnovato esame attenendosi ai formulati principi di diritto e fornendo congrua motivazione, nonchè regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

PQM

la corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte d’appello di Roma, in diversa sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2018

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