Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17437 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 28/06/2019), n.17437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 21383 del ruolo generale dell’anno

2017, proposto da:

C.C. (C.F.: (OMISSIS)) rappresentata e difesa, giusta

procura in calce al ricorso, dall’avvocato Carmela Sarnataro (C.F.:

SRN CML 731359 F839S);

– ricorrente –

nei confronti di:

MINISTERO DELLA SALUTE (C.F.: (OMISSIS)), in persona del Ministro in

carica rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale

dello Stato (C.F.: 80224030587);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n.

640/2017, pubblicata in data 13 febbraio 2017;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

18 aprile 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.C. ha agito in giudizio nei confronti del Ministero della Salute e della Giunta Regionale della Campania per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della contrazione del virus HCV, in conseguenza di emotrasfusioni praticatele presso la Struttura Ospedaliera (OMISSIS) nel (OMISSIS).

La domanda è stata parzialmente accolta dal Tribunale di Napoli, che ha condannato il solo Ministero della Salute al pagamento dell’importo di Euro 19.461,00, oltre accessori, in favore dell’attrice.

La Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, rigettando gli appelli rispettivamente proposti dalla C. e dal Ministero.

Ricorre la C., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Salute.

E’ stata disposta la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’artt 2059 c.c. – violazione dell’art. 32 della Carta Costituzionale – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione ed errata applicazione delle seguenti norme di diritto artt. 1223,2059 e 2054 c.c.”.

I due motivi del ricorso sono logicamente connessi e costituiscono espressione di una censura sostanzialmente unitaria, relativa alla liquidazione del danno non patrimoniale.

Essi sono in parte inammissibili ed in parte infondati.

E’ in primo luogo inammissibile la censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto si tratta di vizio non più deducibile con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., applicabile nella fattispecie in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata.

In relazione alle questioni poste in discussione nel ricorso la predetta sentenza risulta peraltro conforme a diritto e sostenuta da adeguata motivazione, non apparente nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.

La corte di appello, nel ritenere correttamente liquidato il danno (non patrimoniale) causato all’attrice dalla contrazione del virus HCV, ha espressamente tenuto conto sia del pregiudizio incidente sulla sua vita quotidiana e sulle sue relative attività dinamico-relazionali, derivante dalla oggettiva menomazione della sua integrità fisica (pregiudizio peraltro considerato di relativa incidenza nei suoi aspetti funzionali, sulla scorta delle considerazioni del consulente tecnico di ufficio e sulla base della insindacabile valutazione delle prove offerte in proposito, essendo emerso che la C. non aveva in concreto sviluppato il virus – per “la persistente negatività di particelle virali circolanti” – e non era fonte di contagio), sia del pregiudizio non avente base medico legale e attinente alla sua sfera interiore (e cioè della sua sofferenza interna, del suo dolore, del suo “non trascurabile paterna d’animo collegato, in particolare, alla consapevolezza di aver contratto l’HCV e al connesso stato di prostrazione fisica e psicologica”).

La decisione è pertanto del tutto conforme all’indirizzo di questa Corte in tema di liquidazione dei danni non patrimoniali, liquidazione correttamente operata dai giudici di merito, considerando ogni aspetto valutabile a tal fine (cfr., tra le più recenti decisioni in proposito: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018, Rv. 648303 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 23469 del 28/09/2018, Rv. 650858 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4878 del 19/02/2019, Rv. 653138 – 01).

La ricorrente reclama in sostanza una liquidazione dei danni di più elevato importo, sostenendo che non sarebbe stata adeguatamente considerata la gravità della propria situazione di portatrice di morbo di Von Willerbrand, per cui la contrazione del virus HCV avrebbe esiti potenzialmente più gravi dell’ordinario, pretenderebbe il riconoscimento di una percentuale di lesione della sua integrità psicofisica nella misura del 50%, anzichè in quella del 9% accertata dal consulente tecnico di ufficio, nonchè il riconoscimento di un ulteriore voce ri-sarcitoria, costituita dal “danno biologico”.

Si tratta, per un verso, di censure infondate in diritto (in particolare laddove viene invocata una distinta liquidazione del “danno biologico”, quale ulteriore e autonoma voce risarcitoria rispetto a quella costituita dal pregiudizio all’integrità psicofisica e al correlativo pregiudizio dinamico relazionale, il che costituirebbe però una oggettiva inammissibile duplicazione ri-sarcitoria: cfr., in particolare sul punto la già richiamata Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018, Rv. 648303 – 01), per ogni altro verso di contestazioni che riguardano accertamenti di fatto incensurabilmente operati dai giudici di merito, sulla base della considerazione di tutti i fatti storici rilevanti, e sostenuti da adeguata motivazione (non apparente, nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico) di modo che le censure esposte nel ricorso finiscono per risolversi in una sostanziale richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.

2. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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