Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17433 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. I, 20/08/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 20/08/2020), n.17433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Rosaria – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1903-2019 r.g. proposto da:

M.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato

Dario Carlo Enrico Ciarletta, con cui elettivamente domicilia in

Roma, viale delle Milizie n. 38, presso lo studio dell’Avvocato

Stefania Paravani;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Brescia, depositato in data

30.11.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/7/2020 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Brescia ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da M.G., cittadino del Pakistan, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato a (OMISSIS), nel distretto di (OMISSIS) (regione del (OMISSIS)); di essere stato costretto a fuggire dal suo paese di origine perchè oggetto di aggressione da parte della comunità musulmana locale, che, venuta a conoscenza della vendita di un suo terreno per la costruzione della moschea, aveva reagito violentemente nei suoi confronti anche a causa dell’opposizione dello zio, imman della locale comunità musulmana.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile e lacunoso e perchè il pericolo denunciato doveva comunque ritenersi non più attuale; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al (OMISSIS), regione di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che non era stata dimostrata una condizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente, anche in relazione alle condizioni del paese di provenienza (ove era assicurato il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo) e perchè la integrazione sociale in Italia non era di per sè circostanza decisiva ai fini del riconoscimento della richiesta tutela.

2. Il decreto, pubblicato il 30.11.2018, è stato impugnato da M.G. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non aver assolto il tribunale all’onere di cooperazione istruttoria sullo stesso incombente.

2. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 5, comma 6, e 19 t.u. imm., in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria, illegittimamente negata nonostante il livello di integrazione sociale raggiunto in Italia dal richiedente e la situazione di criticità interna del Pakistan.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1 Già il primo motivo di censura non supera il vaglio di ammissibilità.

3.1.1 La doglianza si compone di una confusa e generica confutazione della motivazione impugnata le cui argomentazioni confondono anche i presupposti applicativi dei diversi istituti giuridici di cui si richiede la tutela, accomunando, nella indistinta censura, le deduzioni difensive articolate in relazione al diniego dello status di rifugiato ed in ordine al mancato riconoscimento dell’invocata tutela sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c.

3.1.2 A ciò va aggiunto che le doglianze, solo così genericamente proposte, non intercettano neanche le rationes decidendi poste a sostegno del provvedimento di diniego delle richieste tutela protettive, che si fondano, per il rigetto della domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, sulla complessiva ed argomentata valutazione di non credibilità del racconto e di mancanza di attualità del pericolo e, per il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, sull’altrettanto argomentata valutazione di mancanza dei presupposti applicativi dell’invocata tutela.

3.1.2 Senza contare che, in ordine a quest’ultima censura, le doglianze proposte dal ricorrente si rivolgono alla Corte di legittimità per sollecitare un irricevibile scrutinio del merito della decisione, tramite la rilettura degli atti istruttori, e ciò con particolare riferimento alle fonti di conoscenza internazionali, già peraltro correttamente consultate e scrutinate da parte dei giudici del merito.

3.1.2.1 Sul punto non è inutile ricordare che, in tema di ricorso per cassazione, la deduzione avente ad oggetto la persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione ed è, pertanto, inammissibile ove trovi applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012 (cfr. anche Sez. 6, Ordinanza n. 11863 del 15/05/2018).

3.1.2.2 Va infatti precisato che il tribunale ha espresso una valutazione argomentata e scevra da criticità argomentative, avendo specificato che nella regione del (OMISSIS) non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata, e ciò attraverso un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti, nella specie tutt’altro che ricorrenti (e peraltro neanche allegati), individuati dalla giurisprudenza di questa Corte, la quale ha evidenziato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, denota una riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).

3.2 Il secondo motivo di doglianza è anch’esso inammissibile.

Sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge – declinato in relazione ai parametri normativi di cui all’art. 5, comma 6, e art. 19 t.u. imm. – il ricorrente pretende, ora, una rivalutazione della questio facti, in riferimento al diniego dell’invocata protezione umanitaria.

3.2.1 Giova sempre ricordare che – in tema di ricorso per cassazione – il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perchè la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).

3.2.2 Ciò posto, risulta evidente come, nel caso in esame, il ricorrente pretenda, ancora una volta, una rivalutazione del contenuto della decisione di merito, in relazione al diniego della invocata protezione umanitaria, senza neanche intercettare, con le sue censure, le rationes decidendi poste a sostegno del dichiarato rigetto della richiesta tutela protettiva, e cioè la mancata dimostrazione di una condizione di soggettiva vulnerabilità del richiedente e l’insussistenza del profilo di doglianza collegato all’asserita situazione di criticità nel godimento dei diritti fondamentali dell’individuo in Pakistan.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

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