Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1743 del 27/01/2021

Cassazione civile sez. II, 27/01/2021, (ud. 23/07/2020, dep. 27/01/2021), n.1743

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22247/2019 proposto da:

O.C., ammesso al patrocinio a spese dello Stato,

rappresentato e difeso dall’avv. Liana Nesta, ed elettivamente

domiciliato in Napoli, via Pietro Colletta, 12;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro p.t.

istituzionalmente rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato ed elettivamente domiciliato ex lege presso la sede di

questa, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2944/2019 della Corte d’appello di Napoli

pubblicata il 29/5/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/07/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il sig. O.C., cittadino (OMISSIS), ha presentato ricorso alla Corte d’appello di Napoli avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli che ha confermato il diniego della protezione internazionale e umanitaria come statuito da parte della Commissione territoriale di Salerno;

– a sostegno delle domande di protezione internazionale e, in via subordinata di riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, il sig. O.C. ha dichiarato di essere orfano di madre, morta durante il parto, di aver lasciato il villaggio di (OMISSIS), nei pressi della città di (OMISSIS) perchè minacciato e picchiato selvaggiamente da uno zio (fratello unilaterale del padre) che rivendicava un terreno e una somma di denaro che il nonno paterno, cui era stato affidato dal padre prima di fuggire, gli aveva lasciato in eredità; il richiedente esponeva inoltre di avere fatto arrestare lo zio che però, una volta uscito di prigione, l’aveva picchiato selvaggiamente tanto da essere ricoverato in ospedale; una volta uscito dall’ospedale aveva trovato la casa occupata dallo zio ed allora aveva deciso di lasciare la Nigeria; dichiarava di temere che in caso di rientro lo zio l’avrebbe ucciso;

– la Corte d’appello di Napoli con la sentenza qui impugnata ha negato al ricorrente sia il riconoscimento della protezione internazionale che di quella umanitaria;

– la cassazione della sentenza della corte napoletana è chiesta dal richiedente asilo con ricorso ed affidato a due motivi cui resiste il Ministero dell’interno con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3, 8, 10, 13 e 27 e dell’art. 16 direttiva 2013/32 UE per non avere acquisito informazioni aggiornate sulla situazione della Nigeria, con riferimento all’area del Delta State e, in particolare, sulla compagine sociale e sul funzionamento del sistema di giustizia;

– ad avviso del ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe censurabile a causa dell’omissione da parte della Corte d’appello di una più pregnante indagine sul contesto sociopolitico-religioso della Nigeria;

– il motivo è infondato;

– questa corte (cfr. Cass. 7333/2015; id. 15794/2019) ha chiarito che il D.Lgs. n. 251 del 2007, pone a carco dell’autorità decidente un incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta di protezione internazionale, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del Paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti e che tale dovere può dirsi soddisfatto qualora il giudice ha accertato, attraverso lo scrutinio dei cd. c.o.i., “country of origin informations” – se nel Paese di provenienza sia oggettivamente sussistente o meno una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rientro del richiedente;

– nel caso di specie, il giudice dell’appello ha applicato il principio di diritto sopra richiamato poichè a pag. 3 della sentenza impugnata ha citato diverse fonti autorevoli, fra i quali Amnesty International reports, dai quali ha potuto concludere che non sussistono, anche alla luce della vicenda personale riferita dal richiedente asilo, i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale sia nella forma dello status di rifugiato sia nella forma della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), non essendo ravvisabile con riguardo a tale ultima fattispecie il rischio di subire, in caso di rimpatrio nello zona di provenienza della Nigeria (Edo State), una situazione di violenza indiscriminata ovvero di un conflitto armato interno od internazionale;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, per non avere valutato la giovane età, l’inserimento lavorativo e le condizioni di salute ai fini del riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie;

– assume il ricorrente che anche se l’integrazione sociale raggiunta nel paese di accoglienza non può considerarsi un elemento, da solo, idoneo a fondare il riconoscimento della protezione umanitaria, questa forma di protezione può nel caso di specie essere riconosciuta in seguito alla valutazione comparativa fra l’integrazione sociale e la condizione di instabilità diffusa dell’area di provenienza del ricorrente;

– il motivo è infondato,

– la corte territoriale ha escluso la ravvisabilità di una specifica condizione di vulnerabilità nella condizione del richiedente argomentando che la asserita povertà e la mancanza di tutele sociali non costituiscono di per sè circostanze rilevanti, in ciò statuendo conformemente ai principi interpretativi enunciati in materia da questa Corte (cfr. Cass. 3681/2019; id. 23757/2019);

– la corte napoletana ha inoltre evidenziato che il ricorrente non aveva dimostrato una reale integrazione in Italia e pertanto anche con riguardo a questo profilo la censura appare destinata al rigetto;

– atteso l’esito dei motivi, il ricorso va respinto;

– in applicazione del principio della soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente come liquidate in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2021

 

 

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