Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17429 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. I, 23/07/2010, (ud. 18/02/2010, dep. 23/07/2010), n.17429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.R.T., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa

dall’avv. Marra Alfonso Luigi giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli, cron. n. 1906/07,

in data 2 aprile 2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 febbraio 2010 dal relatore, cons. Dr. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico ministero, in persona dell’avvocato

generale, dott. IANNELLI Domenico che nulla ha osservato.

La Corte:

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“IL CONSIGLIERE RELATORE, letti gli atti depositati;

ritenuto che:

1. D.R.T. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 2 aprile 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in suo favore della somma di Euro 4.000,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato davanti al Tar Campania per una controversia in materia di pubblico impiego con ricorso in data 11 dicembre 1998 e non ancora definito;

1.1. la Presidenza intimata ha resistito con controricorso;

osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 4.000,00, a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di cinque anni a quella ragionevole, determinata in tre anni, e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 800,00 ad anno in considerazione della modestia della posta in gioco e del carattere collettivo del ricorso;

3. parte ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

3.1. la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, con la formulazione del seguente quesito di diritto: “la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo);

3.2. il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa, e non all’ intera durata del giudizio e l’inosservanza, con vizio di motivazione, dei parametri Europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale (secondo, terzo e quarto motivo);

3.3. il mancato riconoscimento, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e senza motivazione, del bonus di Euro 2.000,00 in ragione della natura della controversia attinente a questione inerente a rapporto lavoro (quinto, sesto e settimo motivo);

3.4. l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, con vizio di motivazione, rispetto alle tariffe professionali vigenti e con erronea applicazione di quelle riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto degli onorari liquidati dalla CEDU e disattendendo la nota spese depositata, (motivi da otto a tredici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

4.1. il secondo, terzo e quarto motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto, da un lato, è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a) ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14), e, sotto altro profilo, in quanto, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice nazionale, pur non potendo ignorare i criteri applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, ha comunque facoltà di apportare, motivatamente e non irragionevolmente, le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, le quali, peraltro, non possono fondare la decisione di liquidare somme che non siano in relazione ragionevole con quella – tra i 1000 e i 1500 Euro – accordata dalla predetta Corte negli affari consimili (Cass. 2006/24356; 2007/2254); nella specie, la Corte di appello si è attenuta a tali principi, facendo riferimento ai parametri CEDU, discostandosene ragionevolmente in misura contenuta in ragione della modestia della posta in gioco e della natura del ricorso;

4.2. il quinto, sesto e settimo motivo appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

4.3. appare invece manifestamente fondata la censura di cui al punto 3.4. in quanto il compenso liquidato (Euro 471,00) è inferiore ai minimi inderogabili (Cass. 2008/28718) previsti dalla tariffa vigente per il giudizio contenzioso, applicabile nella specie in luogo di quella relativa alla volontaria giurisdizione (Cass. 2008/25352), mentre possono ritenersi manifestamente infondate le ulteriori censure in quanto parte ricorrente non ha specificamente e analiticamente indicato, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, le voci e gli importi richiesti e a lei spettanti (Cass. 2005/21325; 2006/9082), ma si è limitata alla generica denuncia dell’inosservanza nonchè delle voci e degli importi indicati nella nota spese, fermo restando che in tema di spese processuali possono essere denunciate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (Cass. 1999/4347; 2000/4818; 2001/1485) e che nei giudizi di equa riparazione la liquidazione delle spese processuali della fase davanti alla Corte di appello deve essere effettuata in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano, senza tener conto degli onorari liquidati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cass. 2008/23397);

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilievi formulati ai punti 4., 4.1., 4.2. e 4.3.

si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) osservato che non sono state depositate conclusioni scritte o memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e che, a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso le considerazioni esposte nella relazione per quanto concerne l’inammissibilità del primo motivo e la manifesta infondatezza dei motivi da cinque a sette, mentre con riferimento ai motivi da due a quattro, ferma restando la condivisione della manifesta infondatezza della rimanente censura sollevata in detti motivi dalla ricorrente, ha ravvisato la manifesta fondatezza della doglianza relativa alla mancata osservanza dei parametri Europei ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, in quanto la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 800,00 per ciascun anno di ritardo, per il complessivo importo di Euro 4.000,00, si configura irragionevolmente in misura inferiore a quella che risulterebbe dall’applicazione dei parametri stabiliti dalla CEDU;

ritenuto pertanto che, in base alle considerazioni che precedono, deve essere dichiarata l’inammissibilità del primo motivo e vanno rigettati i motivi da quattro a sei, mentre devono essere accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo, limitatamente alla censura su criterio di quantificazione del danno non patrimoniale, respinta l’ulteriore doglianza svolta in tali motivi, restando assorbiti i motivi da sette a tredici sulla liquidazione delle spese processuali, in quanto si deve procedere ad una nuova determinazione delle stesse in seguito al parziale accoglimento del ricorso, e che il decreto impugnato deve essere annullato in ordine alla censura accolta;

B1) considerato che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1; che in particolare, determinato in cinque anni, secondo la non censurata determinazione del giudice di merito, il periodo di durata non ragionevole del processo, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; che, secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; ritenuto che tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno; che nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere alla ricorrente l’indennizzo complessivo di Euro 4.250,00 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza del Consiglio dei Ministri soccombente;

B2) considerato altresì che le spese del giudizio di merito e di quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352), compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione atteso l’accoglimento solo parziale del ricorso, con distrazione delle spese di entrambi i giudizi in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo. Accoglie nei termini di cui in motivazione i motivi da due a quattro e respinge i motivi da cinque a sette, assorbiti gli altri motivi Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 4.250.000, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna inoltre la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873,00, di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 50,00 per spese, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 330,00, di cui Euro 230,00 per onorari, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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