Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17429 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. I, 20/08/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 20/08/2020), n.17429

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 34278/2018 R.G. proposto da:

B.P., in proprio e nella qualità di genitore investito

della responsabilità nei confronti del minore

M.M.G., rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Pino, con domicilio

eletto in Roma, via C. Mirabello, n. 14;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimato –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Messina depositata il 24

settembre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1 luglio 2020

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.P., in proprio e nella qualità di genitore investito della responsabilità nei confronti del figlio minore B.M.G., nato da una relazione con M.A., convenne in giudizio quest’ultimo, per sentir attribuire al minore il cognome del padre, in sostituzione di quello materno.

A sostegno della domanda, espose che l’uso del suo cognome risultava pregiudizievole per il minore, esponendolo alla costante associazione ad attività illecite e ad ambienti criminali, a causa del rapporto di parentela con B.L., sorella di essa ricorrente, residente nel medesimo Comune e convivente con un collaboratore di giustizia sottoposto a regime di protezione.

Si costituì il M., il quale, pur ammettendo di aver riconosciuto il minore come suo figlio dinanzi all’ufficiale di stato civile, resistette alla domanda, chiedendone il rigetto.

1.1. Con decreto del 14 maggio 2018, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto accolse la domanda, disponendo che il piccolo M.G. assumesse il cognome del padre, in sostituzione di quello della madre.

2. Il reclamo proposto dal M. è stato accolto dalla Corte d’appello di Messina, che con ordinanza del 24 settembre 2018 ha revocato il provvedimento reclamato.

Premesso che la ricorrente ed il figlio non risiedevano nel Comune di Merì, ma in quello di Barcellona Pozzo di Gotto, la Corte ha ritenuto che il rapporto di convivenza tra la zia materna ed il suo compagno non giustificasse la sostituzione del cognome del minore, non potendosi attribuire alcuna valenza negativa alla condizione di collaboratore di giustizia e non essendo state allegate nè provate circostanze idonee a rendere concreto ed attuale il pregiudizio dedotto.

3. Avverso la predetta ordinanza la B. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, illustrati anche con memoria. Il M. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 262 c.c., anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, censurando l’ordinanza impugnata per essersi limitata ad escludere che l’uso del cognome materno risulti pregiudizievole per il minore, senza spiegare le ragioni per cui l’attribuzione del cognome paterno deve ritenersi contraria al suo interesse. Premesso infatti che tale interesse costituisce l’esclusivo parametro di riferimento della decisione, sostiene che esso risiede nell’esatta identificazione della propria genitorialità, ai fini dello sviluppo dell’identità personale del minore, ravvisabile in tutti i casi in cui l’uso del cognome paterno non arrechi pregiudizio al minore, per la cattiva reputazione del padre, o non comporti la lesione di una situazione di notorietà sociale già consolidata.

1.1. Il motivo è fondato.

In tema di attribuzione del cognome al figlio nato fuori dal matrimonio e riconosciuto non contestualmente da entrambi i genitori, la giurisprudenza di legittimità, muovendo dal presupposto che il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, avente copertura costituzionale assoluta (cfr. Cass., Sez. I, 5/06/2009, n. 12983; 1/08/2007, n. 16989; 26/05/2006, n. 12641), ha affermato che, nell’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 262 c.c., commi 2 e 3, il giudice è investito del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità dalle stesse previste, ispirandosi, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2019, n. 18161; 3/02/2011, n. 2644). La valutazione richiesta dalle norme in esame risulta, in altri termini, ampiamente discrezionale, dovendosi rifuggire dall’applicazione di schemi predeterminati o di casistiche limitanti, e tenersi invece conto di qualsiasi aspetto che possa influire sull’apprezzamento dell’interesse del minore (cfr. Cass., Sez. I, 29/05/2009, n. 12670). Il giudice deve pertanto avere riguardo al modo più conveniente di individuare il minore in relazione all’ambiente in cui è cresciuto sino al momento del riconoscimento da parte del padre, ed è chiamato ad emettere, prescindendo da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome dell’uno o dell’altro genitore, un provvedimento contrassegnato da un ampio margine di discrezionalità e frutto di libero e prudente apprezzamento, nell’ambito del quale assume un rilievo centrale non tanto l’interesse dei genitori, quanto quello del minore ad essere identificato nel contesto delle relazioni sociali in cui si trova inserito (Cass., Sez. I, 18/06/2015, n. 12640).

L’ordinanza impugnata non si è attenuta a tali criteri, avendo omesso di valutare l’interesse del minore nell’ottica complessiva suggerita dal riferimento all’ambiente in cui il minore è cresciuto e si trova a dover interagire, ed avendo invece privilegiato il profilo inerente al pregiudizio ipoteticamente ricollegabile al rapporto di parentela con la convivente di un collaboratore di giustizia (del quale ha escluso la concreta sussistenza, rilevando peraltro che esso non avrebbe potuto essere evitato attraverso il mero cambiamento del cognome), senza tener conto dell’esigenza, evidenziata da questa Corte, di “salvaguardare, anche sotto il profilo identitario che comporta l’attribuzione del cognome, il valore della bigenitorialità”, e di consentire in tal modo al minore di “rendere percepibile all’esterno la filiazione di entrambi i genitori”.

2. L’ordinanza impugnata va pertanto cassata, restando assorbito il secondo motivo, con cui la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, anche in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver adottato una soluzione diversa da quelle dell’attribuzione esclusiva o dell’aggiunta del cognome paterno, alternativamente previste dall’art. 262 c.c..

3. La causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’appello di Messina, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

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