Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17424 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 04/04/2019, dep. 28/06/2019), n.17424

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24280-2016 proposto da:

S.G., B.C., T.E., domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSIO PETRETTI;

– ricorrenti –

contro

F.M., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

SILVIA VITALI;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 451/2016 della CORTE D’APPELLO di

BRESCIA, depositata il 13/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per la parziale inammissibilità

rigetto del 6 motivo;

udito l’Avvocato FRANCESCA FEGATELLI per delega orale;

udito l’Avvocato SILVIA VITALI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. B.C. e S.G. ricorrono, affidandosi a sette motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che, riformando la pronuncia del Tribunale di Bergamo, aveva rigettato la domanda da loro proposta, volta ad ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto di affitto agrario stipulato con F.M. per inadempimento contrattuale consistente, per ciò che interessa in questa sede, nell’omessa esecuzione delle opere di miglioramento pattuite e nella commissione di abusi edilizi, nonchè per la dichiarazione di nullità della proroga stipulata.

2. Ha resistito la parte intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La complessità della controversia impone di sintetizzane gli aspetti fattuali al fine di meglio inquadrare le questioni di diritto sottoposte all’attenzione del Collegio.

1.1. V. e B.C. (padre e figlio) stipularono con F.M. un contratto di affitto agrario avente per oggetto terreni di loro proprietà con durata iniziale di 18 anni, a decorrere dal 1.1.2001: in esso di prevedeva l’obbligo del conduttore di eseguire una serie di lavori secondo il progetto di miglioramento dell’azienda (destinata ad agriturismo) ed un canone annuo di Euro 25.000,00.

1.2. Nel 2010 veniva concordata fra le parti una proroga contrattuale scritta di ulteriori 18 anni, con decorrenza dalla prima scadenza.

1.3. I locatori – nelle more decedeva B.V. e gli succedeva la moglie S.G. – domandarono al Tribunale di Bergamo la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore (deducendo la sua morosità, il mancato adempimento nell’esecuzione del lavori per i quali si era impegnato, nonchè abusi edilizi), nonchè la declaratoria della nullità della proroga anche per l’omessa registrazione.

1.4. Il Tribunale, esclusa la morosità, accolse la domanda per le altre inadempienze contestate, dichiarando assorbita quella concernente la nullità della proroga stipulata.

1.5. La Corte d’appello di Brescia ha riformato la pronuncia, escludendo del tutto la risoluzione del contratto; ha aggiunto che la mancata registrazione della proroga non valeva a determinare la nullità della pattuizione, visto che non si trattava di una novazione contrattuale, ragione per cui veniva anche respinto il rilievo concernente la mancata assistenza delle organizzazioni sindacali al momento della stipula dell’accordo.

2. Preliminarmente, si osserva che i motivi di ricorso sono tutti riferiti all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 per un lapsus calami: dalle argomentazioni contenute in tutte le censure, risulta infatti evidente che i ricorrenti intendessero riferirsi al vizio di violazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. Con il primo motivo, deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 345 c.p.c.: assumono che i fatti valutati che avevano determinato la decisione d’appello erano “nuovi” in quanto, in primo grado, il F. non aveva contestato la difforme realizzazione delle opere rispetto al progetto (OMISSIS), principale ragione sulla quale si fondava la domanda di risoluzione contrattuale.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. La censura proposta non coglie, infatti, la ratio decidendi della statuizione con la quale la Corte ha affermato esplicitamente che la difformità contestata esisteva ma che nell’economia complessiva del contratto non poteva essere qualificata come inadempimento tanto grave da determinarne la risoluzione: trattasi di valutazione di merito, sorretta da adeguata motivazione che sfugge, pertanto, al vaglio di legittimità.

3. Con il secondo, il terzo ed il settimo motivo – da esaminare congiuntamente per l’intrinseca connessione logica – il ricorrente deduce:

a. la violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 5 e dell’art. 1453 c.c. nonchè l’omessa pronuncia sul grave inadempimento del conduttore nella realizzazione degli obblighi contrattuali, sotto il profilo dell’equilibrio economico sotteso al contratto intercorso fra le parti. Lamenta l’errore della Corte che non aveva considerato il danno patrimoniale derivante dalla mancata esecuzione delle opere che il contraente si era impegnato ad eseguire, indipendentemente dai risultati dell’attività agrituristica svolta (seconda censura).

b. l’omessa valutazione degli obblighi manutentivi, concernenti le strutture oggetto di trasformazione del compendio, individuate nel progetto (OMISSIS), che erano risultati non adempiuti (terzo e settimo motivo).

3.1. Le tre censure sono inammissibili perchè dall’esame della motivazione emerge che la Corte territoriale ha puntualmente valutato sia il bilanciamento delle reciproche obbligazioni in relazione al sinallagma contrattuale (cfr. pag. 8 secondo cpv della sentenza), sia, in funzione dello stesso principio, la violazione degli obblighi manutentivi (cfr. pag. 11 ultimo cpv e pag. 12): e, a proposito di tale ultimo rilevo – con il quale viene anche contestato che in relazione a tale dedotto inadempimento erano stati costretti a stipulare un patto per la rimozione dell’eternit presente nelle strutture – si osserva che i giudici d’appello hanno compiutamente valorizzato che era intervenuto un accordo fra le parti, in base al quale a fronte dell’eliminazione del materiale dannoso che si erano accollati i proprietari, l’affittuario si era impegnato ad installare l’impianto fotovoltaico, con ciò mantenendo l’equilibrio economico delle reciproche pattuizioni.

3.2. I motivi in esame, pertanto, hanno per oggetto questioni di mero fatto attraverso le quali viene chiesta una rivalutazione di merito della controversia, non consentita in questa sede (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).

4. Con il quarto motivo, viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 5 e degli artt. 31 e 36TU sull’edilizia.

4.1. I ricorrenti lamentano, al riguardo che la Corte territoriale non avrebbe applicato le norme in materia di abusi edilizi: ma in tal modo omettono di considerare che anche tale questione è stata compiutamente esaminata e valutata (cfr. pag. 9 della sentenza, secondo cpv,) nella parte della motivazione in cui viene valorizzato e condiviso l’accertamento del CTU che aveva concluso che l’abuso perpetrato – che non consisteva in aumento di volumetria e configurava quindi una “modesta irregolarità urbanistica” – poteva essere sanato con un minimo importo, tale da non far ritenere grave l’inadempimento perpetrato.

5. Con il quinto motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 11 del 1971, art. 23, comma 3 ed L. n. 203 del 1982, artt. 4 e 58: i ricorrenti contestano, al riguardo l’interpretazione che la Corte ha dato alla proroga del termine di scadenza contrattuale, escludendo che si trattasse di una novazione.

5.1. La critica investe l’interpretazione del contratto, ragione per cui, in presenza di una motivazione congrua e logica – attraverso la quale è stato compiutamente esaminato il testo dell’accordo, stipulato nel 2010, con cui è stata prevista, alla scadenza la prosecuzione per ulteriori 18 anni, ed è stato considerato che ciò configurava una proroga e non una novazione contrattuale che, in quanto tale, non necessitava della presenza delle organizzazioni sindacali di categoria -, essa non può trovare ingresso in sede di legittimità.

5.2. Al riguardo, deve precisarsi che i giudici d’appello, hanno osservato un percorso argomentativo pienamente conforme ai principi affermati da questa Corte che ha avuto modo di ribadire che “in tema di locazione, la variazione della misura del canone o del termine di scadenza non è sufficiente ad integrare novazione del contratto, trattandosi di modificazioni accessorie, occorrendo, invece, oltre al mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione (e rimanendo irrilevante, per contro, la successione di un soggetto ad un altro nel rapporto, come verificatosi nella specie), che ricorrano gli elementi dell’animus” e della “causa novandi”, il cui accertamento costituisce compito proprio del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivato.” (cfr. Cass. 24279/2017 e Cass. 14620/2017).

6. Con il sesto motivo, ancora, si deduce la violazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346 e art. 1418 c.c.: i ricorrenti lamentano che i giudici d’appello erroneamente avevano ritenuto non applicabile la disposizione che prevedeva la nullità dei contratti non registrati, sanzione introdotta con la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346.

6.1. La censura, tenuto conto che, per quanto sopra argomentato, l’accordo intervenuto nel 2010 per la proroga contrattuale non costituiva una novazione, deve ritenersi assorbita, in quanto il contratto originario risaliva all’1.1.2001 e quindi la normativa citata non era ad esso applicabile.

6.2. Tuttavia, ove la doglianza fosse riferita anche alla mera pattuizione di proroga, si osserva che questa Corte ha avuto modo di chiarire che “la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, (Legge Finanziaria 2005) non si applica ai contratti di affitto a coltivatore diretto, aventi ad oggetto terreni e fabbricati rurali, pur se soggetti all’obbligo della registrazione. Questi, perciò, sono validi ed hanno effetto riguardo ai terzi, a prescindere dall’adempimento dell’obbligo fiscale, anche se verbali o non trascritti, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 41.” (cfr. Cass. 132/2016; Cass. 1273/2019).

6.3. Al riguardo, è stato affermato il principio condiviso da questo Collegio secondo cui, ferma restando la violazione fiscale, all’inadempimento nella registrazione non può conseguire la nullità del contratto: in buona sostanza la legge sopravvenuta relativa agli immobili urbani non può, in mancanza di apposita previsione, essere riferita ad un contratto avente tipicamente ad oggetto terreni agricoli.

6.4. A conferma della riferibilità della disposizione della legge finanziaria 2005 solo alle locazioni urbane, va menzionato, infatti, il D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 che, intervenendo sulla disciplina della registrazione dei contratti di locazione ad uso abitativo, ha così disposto all’art. 3, commi 8 e 9: “8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo,comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione è stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d’ufficio; b) al rinnovo si applica la disciplina di cui alla citata L. n. 431 del 1998, art. 2, comma 1; c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione è fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti. 9. Le disposizioni di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 346, ed al comma 8 presente articolo si applicano anche ai casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.”.

Sebbene si tratti di norme oramai espunte dall’ordinamento a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 50 del 10/14 marzo 2014 (alla quale ha fatto seguito la sentenza n. 169 del 16 luglio 2015, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del D.L. 28 marzo 2014, n. 47, art. 5, comma 1 ter, convertito nella L. 23 maggio 2014, n. 80), esse sono significative dell’intenzione del legislatore di riferire la normativa sulla registrazione, a pena di nullità, soltanto alle locazioni degli immobili urbani.

6.5. Il contratto di affitto di fondo rustico rimane, infatti, un contratto tipico, connotato da propria causa, anche nel caso in cui abbia ad oggetto, oltre ai terreni, anche dei fabbricati, sia a destinazione abitativa che a destinazione strumentale, che (perciò) abbiano mantenuto il requisito della ruralità.

7. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Poichè l’oggetto della controversia concerne un contratto agrario, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte,

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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