Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17423 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 22/03/2019, dep. 28/06/2019), n.17423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25365-2017 proposto da:

CITYCAR SRL, in persona del legale rappresentante F.P.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FAMAGOSTA 8 C70 STUD PALOMBI,

presso lo studio dell’avvocato RITA BORZA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIERMARCO BRUNO;

– ricorrente –

contro

VOLKSWAGEN GROUP ITALIA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore Dott. D.G.A.J., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DE GASPERI 21, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANA

VANDONI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati LUIGI

ZUMBO, FULVIO PASTORE ALINANTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1573/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 15/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/03/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

la Volkswagen Group Italia s.p.a. propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Torino, con cui le era stato intimato il pagamento di 427.920,84 Euro in favore della concessionaria Citycar s.r.l., a fronte dei costi che quest’ultima assumeva di avere sostenuto per adeguare la propria azienda alle specifiche richieste da una “bozza Audi” inviata dalla Volkswagen Group, che aveva poi rifiutato alla Citycar il rinnovo della concessione per vendita di ricambi e assistenza di veicoli;

il Tribunale accolse l’opposizione e revocò il decreto, ritenendo fra l’altro- che l’opposta non avesse provato la ricorrenza dei presupposti della responsabilità ex art. 1337 c.c. della controparte;

la Corte di Appello di Torino ha rigettato il gravame della Citycar s.r.l., rilevando che:

“quand’anche potesse ritenersi che Volkswagen Group Italia s.p.a. si fosse obbligata a contrarre con gli ex concessionari che avessero dimostrato di essersi adeguati ai nuovi parametri qualitativi della “bozza Audi”, il punto è che Citycar non ha provato di aver compiuto tale adeguamento”;

esclusa la rilevanza di un controllo effettuato il 4.6.2010 (in quanto rivolto unicamente al rinnovo della certificazione ISO 9001 relativa all’officina, “che nulla ha tuttavia a che vedere con la vicenda per cui è causa”), “quanto specificamente alla “bozza Audi”, ben diversamente l’esito dei due pre-audit o follow up pre-audit del 15.3.2010 e del 24.5.2010 è stato negativo, e ciò risulta in modo pacifico dai documenti prodotti”, risultando comunque incontestata dalla appellante la veridicità, nel verbale del 24.5.2010, delle annotazioni negative relative a quattro parametri;

“deve concludersi per l’assenza totale di prova del supposto comportamento contrario a buona fede di Volkswagen Group Italia s.p.a. nell’ambito delle trattative per il rinnovo della concessione”;

ha proposto ricorso per cassazione la Citycar s.r.l., affidandosi a due motivi; l’intimata ha resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti, individuato nel “fatto storico “contestazione” (degli accertamenti effettuati da controparte con le verifiche del 15.3.2010, 24.5.2010 e 4.6.2010)”: la ricorrente rileva di avere contestato, sia verbalmente che per iscritto, l’esito degli accertamenti e assume che l’esame di tale fatto decisivo avrebbe determinato un diverso esito del giudizio; aggiunge che la mancata considerazione del dato della contestazione aveva anche impedito l'”ingresso all’esame degli elementi probatori relativi al contenuto di essa”.

Il motivo è – per più ragioni – inammissibile:

a fronte di una “doppia conforme” di merito, la proposizione di censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) è inibita dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5; nè, al fine di evitare la dichiarazione di inammissibilità, la ricorrente ha ottemperato all’onere di dimostrare che le ragioni poste a fondamento, rispettivamente, della decisione di primo grado e di quella di appello siano tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774/2016);

peraltro, la generica deduzione dell’avvenuta contestazione è svolta senza ottemperare all’onere – previsto dalli art. 360 c.p.c., n. 6) – di trascrivere o riportare il contenuto delle missive attraverso le quali tale contestazione sarebbe stata effettuata;

nè, comunque, è dato comprendere quale “decisività” possa essere riconosciuta al fatto della mera contestazione, in un contesto processuale in cui l’attrice era onerata della dimostrazione -in positivo- dell’avvenuto adeguamento della propria struttura ai requisiti indicati della “bozza Audi”;

del tutto generico, infine, risulta l’assunto che la mancata ammissione delle prove richieste dall’attrice sia dipesa dall’omesso esame dell’effettuata “contestazione”;

col secondo motivo (“violazione – falsa applicazione di norme di diritto”), la ricorrente lamenta che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto inammissibile la prova testimoniale da essa richiesta e rileva che, con l’atto di appello, essa aveva ribadito che l’art. 244 c.p.c. non dev’essere applicato “in senso rigorosamente formalistico”, assumendo che “i capi di prova presentavano un’identificabilità senza incertezze”; lamenta altresì la mancata ammissione della c.t.u. richiesta nei gradi di merito al fine di accertare i lavori eseguiti nella sede aziendale, di valutarne la corrispondenza alle indicazioni della “bozza Audi” e di verificare la congruità dei costi indicati;

premesso che possono essere esaminate solo le censure relative alla sentenza di secondo grado (prescindendosi pertanto dalle critiche mosse al primo Giudice), anche il secondo motivo risulta inammissibile, in quanto:

la violazione dell’unica norma individuata nell’illustrazione del motivo è dedotta in modo generico e appare diretta -nella sostanza- a censurare un apprezzamento di merito di inammissibilità che la Corte avrebbe compiuto (implicitamente) non procedendo all’assunzione delle prove;

per di più, la ricorrente ha del tutto omesso di trascrivere il contenuto dei capitoli della prova testimoniale di cui ha lamentato la mancata ammissione da parte della Corte, incorrendo pertanto in una totale carenza di autosufficienza;

la mancata ammissione della c.t.u. non è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, nè è altrimenti sindacabile la scelta del Giudice di non avvalersi del potere discrezionale di disporre tale mezzo istruttorio quando – come nel caso – ritenga di disporre di elementi sufficienti per decidere la controversia, a prescindere da un accertamento di natura tecnica;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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