Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17417 del 30/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 30/08/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 30/08/2016), n.17417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27134/2010 proposto da:

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati MAURO

RICCI, ANTONELLA PATTERI, CLEMENTINA PULLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.M., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato GIUSEPPE CIMINO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1047/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/11/2009 R.G.N. 1324/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato PATTERI ANTONELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 23.11.2006 al Tribunale di Novara V.M., titolare di pensione di vecchiaia artigiani – in sigla VO/ART – con decorrenza dall’aprile 2003, agiva nei confronti dell’INPS per l’accertamento della irripetibilità delle somme percepite indebitamente nel periodo dall’aprile 2003 al 31 maggio 2004, per complessivi Euro 1.807,52, ai sensi della L. n. 412 del 1991, art. 13.

Esponeva che in data 10 luglio 2003 aveva chiesto la riliquidazione del trattamento di pensione, lamentando che non fossero state conteggiate numero 52 settimane di contributi per l’anno 2000; l’INPS, all’esito delle verifiche amministrative, aveva accertato che il datore di lavoro non aveva trasmesso dati corretti per l’anno 2000 sia quanto alle settimane lavorate – (erroneamente indicate in una sola settimana) – che alle retribuzioni percepite – (indicate in Euro 23.206,99 in luogo di Euro 11.985,42) – e che erano state pertanto erogate somme maggiori di quelle dovute.

Il giudice del lavoro, con sentenza del 21.10/27.10.2008, accoglieva la domanda.

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 13.10/12.11.2009, rigettava l’appello dell’INPS.

La Corte territoriale riteneva applicabile la disposizione dell’articolo 13 legge 412/1991, in base alla quale la sanatoria L. n. 88 del 1989, ex art. 52, operava in relazione alle somme corrisposte in base a formale e definitivo provvedimento comunicato all’interessato e viziato da errore imputabile all’ente erogatore, salvo il caso di dolo dell’interessato.

Non era condivisibile la tesi difensiva dell’INPS secondo la quale l’errore dovuto alla inesatta dichiarazione dei dati da parte di un soggetto terzo (il datore di lavoro) non era imputabile all’istituto; l’ente previdenziale aveva un dovere di controllo rispetto ai dati trasmessi, sicuramente esigibile a fronte di errori evidenti, come nella fattispecie, in ragione della dichiarazione di una retribuzione di circa Euro 23.000 quale corrispettivo di una unica settimana di lavoro. Gli accertamenti erano stati invece effettuati soltanto a seguito della sollecitazione dello stesso pensionato.

D’altra parte la norma di legge, in conformità alla sua finalità alimentare, era formulata in termini ampi, tali da includere anche l’errore indotto da terzi.

Per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS, articolando un unico motivo.

Resiste con controricorso V.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo l’INPS lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 412 del 1991, art. 13, e della L. n. 88 del 1989, art. 52.

Espone che a tenore delle norme evocate la irripetibilità dell’indebito pensionistico è condizionata dalla circostanza che si versi in errore imputabile all’istituto previdenziale; deduce che per principio già affermato da questa Corte l’imputabilità dell’errore all’ente erogatore e sussiste quando lo stesso deriva dalla valutazione non corretta dei dati di cui l’ente dispone laddove nella fattispecie di causa l’errore non era rilevabile sulla base dei dati disponibili.

Censura la affermazione del giudice del merito laddove individuava un onere di verifica dei dati trasmessi a carico dell’ente previdenziale non rinvenibile nelle fonti normative e peraltro condizionato in sentenza all’evidenza dell’errore, il che introduceva variabili incerte, la cui valutazione sarebbe stata rimessa al singolo funzionario incaricato della liquidazione.

Tale sistema – oltre ad essere estraneo alla disciplina positiva – era configgente con l’onere dell’istituto di provvedere ad una pronta liquidazione della pensione onde non essere tenuto al pagamento di accessori.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

In punto di diritto si premette che nella fattispecie di causa non vengono in questione le norme speciali e transitorie dettate per la ripetizione dell’indebito previdenziale dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260 e 265, e dalla L. n. 448 del 2000, art. 38, commi 7 e 10, norme relative ai soli pagamenti di pensione effettuati anteriormente all’1 gennaio 2001.

Le disposizioni rilevanti sono contenute nella L. n. 88 del 1989, art. 52, e nella L. n. 412 del 1991, art. 13.

E’ noto che la L. n. 88 del 1989, art. 52, nella sua formulazione iniziale prevedeva, al comma due, l’impossibilità del recupero dei ratei di pensione (e di pensione sociale) erogati per errore – e quindi indebitamente riscossi – (a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, i mezzadri e coloni), salva l’imputabilità dell’indebita percezione al dolo dell’interessato.

L’ampia tutela concessa all’accipiens subiva una contrazione ad opera della L. n. 412 del 1991, art. 13, (norma qualificatasi di interpretazione autentica dell’art. 52, citato e poi dichiarata sul punto parzialmente illegittima dalla Corte Costituzionale, con sentenza 10 febbraio 1993, n. 39, per violazione degli artt. 3 e 38 Cost.) che subordina l’irripetibilità a quattro condizioni:

a) il pagamento delle somme in base a formale, definitivo provvedimento;

b) la comunicazione del provvedimento all’interessato;

c) l’errore, di qualsiasi natura, imputabile all’ente erogatore;

b) la insussistenza del dolo dell’interessato, cui è parificata quoad effectum la omessa o incompleta segnalazione di fatti incidenti sul diritto o sulla misura della pensione che non siano già conosciuti dall’ente competente.

La norma ha altresì introdotto un termine per il recupero delle somme indebite per ragioni reddituali del pensionato, termine fissato nell’anno successivo al pagamento (L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 2), il cui rigore in epoca successiva ai fatti di causa è stato attenuato dalla D.L. n. 5 del 2012, art. 16, comma 8, (c.d. Decreto semplificazioni), che ha inserito un’art. 13, comma 2bis.

La questione di causa consiste nell’individuare la disciplina applicabile allorquando l’errore del provvedimento di liquidazione dipenda dalla inesatta trasmissione dei dati rilevanti al computo della pensione da parte del datore di lavoro o se si vuole, più in generale, la imputabilità o meno all’ente previdenziale dell’errore derivato dal fatto di un terzo.

Sul tema non si rinvengono specifici precedenti di questa Corte anche se negli arresti di Cass. nr. 3334/2005, 25309/09 – in fattispecie in cui era applicabile ratione temporis la disciplina della legge 662/1996 – si è affermato che la parificazione al dolo della omessa o incompleta segnalazione da parte del pensionato di fatti – incidenti sul diritto o sulla misura della pensione – che non siano già conosciuti dall’ente competente, effettuata dalla L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, costituisce “identificazione autentica” della nozione di dolo e “principio generale di settore” e che, viceversa, quando sia l’istituto ad omettere di valutare dati di cui esso già disponga si configura una ipotesi di errore imputabile.

Sicchè il criterio per la imputabilità dell’errore all’ente erogatore della prestazione è la disponibilità o meno da parte dell’ente dei dati rilevanti alla corretta liquidazione della pensione.

La novità della questione consiste nello stabilire se l’Istituto abbia, altresì, un onere di verifica dei dati di cui dispone – quanto meno in caso di anomalie apparenti – e se l’errore derivante dalla omissione di tale verifica sia conseguentemente ad esso imputabile ai fini del suddetto art. 13.

A tale questione deve darsi risposta negativa.

Il preteso onere di controllo dell’ente previdenziale sui dati trasmessi dai soggetti del rapporto assicurativo in punto di posizione contributiva dell’assicurato non trova fondamento nella disciplina dell’indebito previdenziale; la verifica della posizione contributiva richiederebbe un contraddittorio con il datore di lavoro (ed una possibilità di controllo delle sue comunicazioni) che non trova riscontro nella procedura amministrativa di liquidazione della prestazione e che, anzi, appare difficilmente conciliabile con il termine a provvedere di 120 giorni L. n. 533 del 1973, ex art. 7.

Del resto avendo riguardo al criterio generale, sopra esposto, della disponibilità dei dati rilevanti, l’onere di verifica della esattezza della posizione contributiva aperta presso l’ente previdenziale dovrebbe essere posto a carico a carico dell’assicurato, a diretta conoscenza del periodo assicurabile e delle retribuzioni percepite, piuttosto che dell’istituto previdenziale.

Il giudice dell’appello ha invece posto a carico dell’INPS un onere di vigilanza e controllo dei dati trasmessi dal datore di lavoro che non trova corrispondenza nella disciplina positiva nè quanto a tempi e modi di realizzazione nè quanto a pretesi limiti di “ragionevolezza”.

La sentenza deve essere pertanto cassata in applicazione del seguente principio di diritto “Non sussiste errore imputabile all’ente erogatore ai fini della L. n. 412 del 1991, art. 13, comma 1, nella ipotesi in cui la liquidazione della pensione sia avvenuta sulla base dei dati contributivi trasmessi dal datore di lavoro, in quanto non esiste un onere dell’ente previdenziale di sottoporre a verifica tali dati prima di procedere alla erogazione della prestazione”.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della domanda proposta da V.M. per l’accertamento della irripetibilità dei ratei di pensione indebitamente erogati, in ragione del difetto di una delle condizioni della pretesa irripetibilità, la imputabilità dell’errore all’ente erogatore.

Le spese dell’intero giudizio si compensano tra le parti per la novità della questione trattata.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e,decidendo nel merito, rigetta la domanda di V.M..

Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2016

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