Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17416 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 28/06/2019), n.17416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24238-2017 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO FRANCESCO ROMANELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE PIOZZO DI

ROSIGNANO;

– ricorrente –

contro

BANCA DEL PIEMONTE SPA in persona dell’Amministratore Delegato Dott.

V.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PISANELLI

2, presso lo studio dell’avvocato DANIELE CIUTI, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI BATTISTA CELONA, GUIDO

BIANCHETTI;

BANCA CARIGE CASSA DI RISPARMIO DI GENOVA E IMPERIA SPA in persona

del suo Rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARNO

88, presso lo studio dell’avvocato CAMILLO UNGARI TRASATTI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO CAPELLO;

– controricorrenti –

e contro

G.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 659/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/03/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 13 ottobre 2017 P.G. ricorre per cassazione della sentenza n. 659/ resa dalla Corte di appello di Torino il 21/03/2017. Nel giudizio di impugnazione intrapreso dal ricorrente contro la Banca Carige s.p.a. (attrice) e la Banca del Piemonte s.p.a. (interveniente autonoma nel primo giudizio) veniva confermata la sentenza di primo grado del tribunale di Torino innanzi al quale le banche qui intimate avevano agito per vedere dichiarata, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’inefficacia nei loro confronti della costituzione di un fondo patrimoniale dove erano confluiti parte dei beni immobili di proprietà dei due coniugi. La coniuge era rimasta contumace in entrambi i giudizi.

2. Per quanto qui di interesse, nel giudizio di primo grado Banca del Piemonte era intervenuta nel giudizio intrapreso da Carige oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c., e prima dell’assegnazione dei termini per le memorie istruttorie ex art. 183 c.p.c., e il ricorrente aveva eccepito la tardività dell’intervento autonomo del terzo e delle sue allegazioni; inoltre egli aveva eccepito la insussistenza dell’eventus damni, con riguardo ai crediti azionati dalle due banche in ragione della pretesa ultracapienza (non adeguatamente contestata dalle controparti) del patrimonio residuo non confluito nel fondo patrimoniale al momento della sua costituzione (avvenuta il 15.11.2010). La Corte di merito confermava la sentenza di primo grado che aveva accolto l’azione revocatoria formulata dalle due banche, respingendo ogni eccezione del convenuto.

3. Il ricorrente svolge due motivi di censura. Le parti intimate hanno notificato separati controricorsi nei termini indicati in epigrafe.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c. per avere la Corte affermato l’ammissibilità dell’intervento autonomo della banca in carenza dei presupposti che ammettono che l’interveniente possa esercitare i diritti processuali a seconda del momento processuale in cui interviene; sicchè il divieto di proporre domande nuove che vincola le parti originarie ex artt. 167 e 183 c.p.c. si trasmette al terzo interveniente allo stesso modo in cui esso vincola le parti originarie del procedimento.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. I giudici di merito hanno considerato che le preclusioni di cui all’art. 268 c.p.c., comma 2, valgono per le attività istruttorie, ma non per la proposizione dell’attività assertiva del terzo interveniente autonomo che può avvenire sino al termine di precisazione delle conclusioni. In riferimento all’intervento autonomo del terzo, per giurisprudenza costante, non valgono le preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c., comma 2, per le domande nuove che valgono, invece, solo per la parte che intende coinvolgere il terzo nel medesimo giudizio (Sez. 1, Sentenza n. 25798 del 22/12/2015; Sez. 2 -, Sentenza n. 1859 del 25/01/2018). Infatti, come già chiarito da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15787 del 2005, la formulazione della domanda da parte del terzo costituisce l’essenza stessa dell’intervento principale e litisconsortile, e pertanto “la preclusione sancita dall’art. 268 c.p.c. non si estende all’attività assertiva del volontario interveniente, nei cui confronti, perciò, non è operante il divieto di proporre domande nuove ed autonome in seno al procedimento fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, configurandosi solo l’obbligo, per l’interventore stesso ed avuto riguardo al momento della sua costituzione, di accettare lo stato del processo in relazione alle preclusioni istruttorie già verificatesi per le parti originarie”.

1.3. Nel caso specifico il terzo è intervenuto in via autonoma prima che operassero le preclusioni istruttorie di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, che valgono – a differenza delle domande – anche nei confronti dei terzi intervenuti, secondo il disposto dell’art. 268 c.p.c., comma 2, (Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4771 del 14/05/1999;

id. Sez. 2, Sentenza n. 16 RG n. 8014/2015; id. Sez. 3, Sentenza n. 15787 del 28/07/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 3186 del 14/02/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 25264 del 16/10/2008; id. Sez. U, Sentenza n. 9589 del 13/06/2012; id. Sez. 3, Sentenza n. 11681 del 26/05/2014; id. Sez. 1, Sentenza n. 25798 del 22/12/2015; cfr, da ultimo, Sez. 3 -, Sentenza n. 24529 del 05/10/2018, che ha respinto l’eccezione d’incostituzionalità della norma in rapporto alla violazione dei diritti di difesa del terzo, che non comprendono un diritto a ottenere un simultaneus processo, essendogli consentito di far valere le proprie ragioni, in condizione di piena eguaglianza con le altre parti, mediante la proposizione di un autonomo giudizio o dell’opposizione ex art. 404 c.p.c.).

1.4. La facoltà concessa nell’art. 268 c.p.c., comma 1, al terzo di intervenire come parte in un processo già iniziato sino all’udienza di precisazione delle conclusioni rende pertanto del tutto ragionevole la previsione legislativa che impone,come sopra visto, all’intervenuto di partecipare al giudizio “rebus sic stantibus”, senza incidere sullo sviluppo delle fasi processuali ove si sono determinate preclusioni istruttorie, e consente al medesimo tempo al medesimo di avanzare la “nuova pretesa” – nei confronti di una sola o di tutte le parti – ampliando in tal modo l’oggetto del giudizio, in quanto l'”attività di allegazione” dei fatti costitutivi della domanda inerisce alla stessa ragione d’essere dell’istituto dell’intervento del terzo. Tale “modus procedendi” non costituisce ostacolo alla effettiva tutela del diritto (connesso per l’oggetto o per il titolo) del terzo interveniente – al quale l’ordinamento consente, comunque, di far valere le proprie ragioni, in perfetta situazione di eguaglianza con le altre controparti, mediante la proposizione di un autonomo giudizio o la proposizione della opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. -, e soddisfa la esigenza di bilanciamento delle ragioni di opportunità che stanno alla base del “simultaneus processus” tra cause oggettivamente connesse (evitare la, formazione di giudicati anche soltanto logicamente contrastanti; realizzare la concentrazione di cause analoghe e dunque la economia dei mezzi processuali in funzione del principio di efficienza che deve caratterizzare anche l’esercizio della funzione giurisdizionale in quanto strumentale alla effettività della tutela dei diritti), con i principi, entrambi di rango costituzionale ex art. 111 Cost., del “regolare e spedito svolgimento del processo” in funzione della pronuncia di merito regolativa del rapporto controverso, e del “processo equo” tale per cui le regole che disciplinano lo svolgimento del giudizio, non soltanto non debbono risolversi in un impedimento dell’esercizio del diritto di difesa ma, specularmente, non debbono neppure tradursi in ingiustificate asimmetrie, squilibrando i poteri processuali a vantaggio o detrimento di una soltanto delle parti.

1.5. Si tratta, come già rilevato da questa Corte in un recente pronunciamento, di un ambito prettamente riservato alle scelte discrezionali del Legislatore, il quale può scegliere le soluzioni ritenute più confacenti alla realizzazione del predetto equilibrio, atteso che il precetto dell’art. 24 Cost. “non impone che il cittadino possa conseguire tutela giurisdizionale sempre nello stesso modo e con i medesimi effetti”, rimanendo sottratto qualsiasi sindacato sulla maggiore o minore coerenza logica della soluzione adottata, fatto salvo il limite previsto dalla corrispondenza del mezzo allo scopo, risultando incompatibile con i precetti costituzionali indicati la imposizione di oneri o modalità tali “da rendere impossibile od estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale” (cfr. Cass. Sez. 3, con sentenza n. 24529 del 05/10/2018; Corte Cost. ord. n. 386/2004; vedi Corte Cost. sentenze: n. 50/20120;, nn. 157 e 159/2014; n. 44/2016;).

2. Con il secondo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115e art. 2697 c.p.c. in relazione all’art. 2901 c.c. in relazione all’insussistenza dell’eventus damni. Con tale motivo il ricorrente denuncia la mancata considerazione della ultra capienza del patrimonio non confluito nel fondo patrimoniale, costituente fatto non specificamente contestato dalle banche, e provato mediante produzione di una Ct di parte, costituente il motivo di rigetto di un’ altra pretesa di un creditore; deduce l’irrilevanza e tardività della produzione documentale attestante la sussistenza di nuove procedure esecutive sui suddetti beni.

2.1. La censura è inammissibile.

2.2. Essa contrasta con la ratio decidendi che si fonda su ampia e incontrastata giurisprudenza che, da un lato, pone a carico del debitore la prova dell’insussistenza del rischio di una più incerta o difficile soddisfazione del credito, idonea a dimostrare la presenza di ampie residualità patrimoniali nel loro complesso, tali da non intaccare la garanzia patrimoniale generica su cui fanno affidamento i creditori, mentre, dall’altro, sancisce che la capienza del patrimonio residuo sia valutata dal giudice in base all’entità della complessiva esposizione debitoria afferente al debitore, non correlata quindi alla sola esposizione nei riguardi di chi agisce per tutelare il proprio credito (Sez. 3 -, Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018; Sez. 3, Sentenza n. 1896 del 09/02/2012; Cass. 7767/2007).

2.3. Non risulta infatti che la censura attenga alla mancata considerazione della capienza del patrimonio residuo in rapporto all’intera esposizione debitoria presente al tempo della costituzione del fondo patrimoniale, costituendo quest’ultima l’unico elemento idoneo per valutare la sussistenza o meno del c.d. eventus damni per i singoli creditori procedenti con l’azione revocatoria. La censura pertanto si dimostra del tutto inidonea a colpire la ratio decidendi, con assorbimento delle ulteriori questioni correlate all’atteggiamento processuale assunto dalle banche in relazione a detta eccezione.

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore delle parti separatamente resistenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ricorrente alle spese, liquidate in Euro 4.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge per ciascuna parte resistente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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