Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17415 del 30/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 30/08/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 30/08/2016), n.17415

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30009/2010 proposto da:

B.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA NIZZA 59, presso lo studio dell’avvocato AMOS ANDREONI, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, EMANUELE DE ROSE,

VINCENZO TRIOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 12/01/2010 R.G.N. 616/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato AMOS ANDREONI;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata in data 12 gennaio 2010 la Corte d’appello dell’Aquila accoglieva l’appello proposto dall’INPS contro la sentenza resa dal Tribunale dl Pescara e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta da B.M., avente ad oggetto l’accertamento del suo diritto all’indennità di mobilità prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 7, negato dall’Inps.

2. La Corte territoriale riteneva insussistente il diritto del lavoratore alla provvidenza richiesta in quanto svolgeva attività di lavoro autonomo, consistente in una collaborazione con la Finegil Editoriale s.p.a., e stante l’incompatibilità tra lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo e il trattamento di mobilità.

3. Contro la sentenza il B. propone ricorso per cassazione, sostenuto da un unico articolato motivo, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’INPS resiste con controricorso e deposita memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 7, 8 e 9. Lamenta che la premessa da cui muove la Corte d’appello, secondo cui lo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo o subordinato è incompatibile con la percezione dell’indennità di mobilità, è fondata sull’assunto erroneo dell’esistenza nel nostro ordinamento di un principio generale di incompatibilità tra reddito di lavoro subordinato e/o autonomo e indennità di mobilità, laddove tale principio – che è ad esempio previsto dall’art. 8, quarto comma, legge n. 160 del 1988, dettato in materia di integrazione salariale della cassa integrazione guadagni – non è affermato con riguardo all’indennità di mobilità regolata dalla legge n. 223 del 1991.

5. Nel suo controricorso l’Inps eccepisce l’inammissibilità per tardività del ricorso per cassazione rilevando che la sentenza della Corte d’appello aquilana era stata notificata in data 8 marzo 2010, ai sensi del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 82, presso la cancelleria della medesima Corte d’appello poichè il difensore costituito nel giudizio di secondo grado, del foro di Pescara, non aveva eletto domicilio presso L’Aquila. Il ricorso per cassazione notificato solo in data 16 dicembre 2010 doveva pertanto ritenersi tardivo essendo ormai decorso il termine di 60 giorni previsto dall’art. 325 c.p.c., comma 2, per l’impugnazione della sentenza.

6. L’eccezione è fondata. Non è infatti contestato – ne dà atto lo stesso ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c. – che la sentenza della corte d’appello è stata notificata l’8 marzo 2010, ad istanza dell’Inps, presso la cancelleria della medesima Corte, in quanto il difensore dell’originario ricorrente – appellato non era iscritto all’ordine professionale del Tribunale nella cui circoscrizione ricade la sede della corte d’appello e non aveva quivi eletto domicilio. Cosi come è incontestato che il ricorso per cassazione è stato avviato per la notificazione il 16 dicembre 2010, oltre il termine previsto dall’art. 325 c.p.c..

7. L’art. 82, del r.d. citato dispone che, se il procuratore esercente il proprio ufficio fuori della circoscrizione del Tribunale al quale è assegnato non ha eletto domicilio nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria procedente, il domicilio si intende eletto presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria. La norma va interpretata nel senso che tale domicilio assume rilievo ai fini della notifica della sentenza per il decorso del termine breve per l’impugnazione, nonchè per la notifica dell’atto di impugnazione (Cass. SS.UU. n. 20845 del 2007).

8. La Corte costituzionale si è già pronunciata nel senso della manifesta infondatezza dell’illegittimità costituzionale della norma per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost., affermando che la prescrizione dell’onere di indicazione della residenza o dell’elezione di domicilio nel Comune sede del giudice adito “esprime una scelta ragionevole e quindi non lesiva del diritto di azione, in quanto funzionale a un più immediato ed agevole espletamento delle formalità della notificazione” (Corte Cost., ord. 19 gennaio 2007, n. 5), considerato che tale mancata elezione di domicilio “non impedisce nè rende particolarmente gravoso il diritto di difesa, in quanto il difensore ben può con l’ordinaria diligenza informarsi presso il cancelliere, ritirare l’atto e provvedere così alla sua difesa”; l’illegittimità non sussiste neppure con riferimento l’art. 111 Cost., In quanto la sua violazione deriverebbe non già dalle norme censurate, ma dall’eventuale emanazione di una ordinanza di rinnovazione della notificazione disposta solo per la probabilità che la prima notificazione, pur valida, non abbia di fatto raggiunto il destinatario; che, dunque, la lesione dei parametri costituzionali evocati non sussiste poichè l’operatività della domiciliazione nella cancelleria deriva da una scelta volontaria del difensore, il quale, pur essendo consapevole di esercitare fuori dal circondano in cui è iscritto, ha omesso l’elezione di domicilio (Corte Cost. n. 5/2007).

9. La giurisprudenza di questa Corte ha accolto un’interpretazione letterale dell’art. 82, affermando che gli avvocati esercenti il proprio ufficio fuori della circoscrizione del tribunale, – dove, tenuto dal locale consiglio dell’ordine degli avvocati, è l’albo al quale essi sono iscritti, – hanno l’onere di domiciliarsi nel comune dove ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale svolgono la loro attività difensiva ove tale comune non sia ricompreso nella circoscrizione suddetta.

10. Il riferimento generico all’autorità giudiziaria comprende ogni giudice, sia quello di primo grado che quello dell’impugnazione. Il riferimento al tribunale, contenuto nell’art. 82, vale ad individuare, non già l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio è in corso, bensì l’albo professionale al quale l’avvocato è iscritto, sicchè, in disparte le disposizioni speciali quali quelle dettate per il giudizio civile di cassazione dall’art. 366 c.p.c., e ora per il giudizio amministrativo dall’art. 25 cod. proc. amm., la disposizione riguarda anche i giudizi proposti in sede di impugnazione e segnatamente quelli instaurati innanzi alle corti d’appello.

11. Con riferimento specifico al giudizio d’appello questa Corte (Cass., sez. 2, 15 maggio 1996, n. 4502) ha affermato che il R.D. n. 37 del 1934, art. 82 – secondo cui il procuratore che si trovi ad esercitare il proprio ufficio in giudizio istituito dinanzi ad un’autorità giudiziaria avente la sede fuori dalla circoscrizione del tribunale al quale è assegnato deve, al momento della costituzione nel giudizio stesso, eleggere domicilio nel luogo dove ha sede detta autorità e mantenervelo per tutto il corso del processo e, in caso di mancato adempimento di tale onere, il suo domicilio si intende eletto presso la cancelleria del giudice adito – trova applicazione anche nei giudizi innanzi alle corti di appello, in quanto si riferisce all’attività svolta dal procuratore innanzi a qualsiasi giudice avente sede in luogo non compreso nella circoscrizione del tribunale al quale egli è assegnato in senso conforme cfr. anche Cass., 5 maggio 2011, n. 9924; 2 settembre 2010, n. 19001; 19 giugno 2009, n. 14360; 9 maggio, 2002, n. 6692).

12. Può Infine ricordarsi che le Sezioni Unite (Cass., sez. un., 5 ottobre 2007, n. 20845) hanno affermato che ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82 – tuttora vigente e non abrogato neanche per implicito dalla L. n. 27 del 1997, artt. 1 e 6 – il procuratore che eserciti il suo ministero fuori della circoscrizione del tribunale cui è assegnato deve eleggere domicilio, all’atto di costituirsi in giudizio, nel luogo dove ha sede l’ufficio giudiziario presso il quale è in corso il processo, intendendosi, in difetto, che egli abbia eletto domicilio presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria.

13. Quest’orientamento ha trovato ripetute conferme (cfr. Cass., 23 dicembre 1999, n. 14476; 23 febbraio 2000, n. 2059; 28 luglio 2004, n. 14254; 25 febbraio 2008, n. 4812; 11 marzo 2008, n. 6502; 20 giugno 2008, n. 17005; 23 febbraio 2009, n. 27166), e da ultimo è stato ribadito anche da Cass. sez. Un., 20 giugno 2012, n. 10143, nel risolvere il contrasto sorto tra questo consolidato orientamento e alcune pronunce in dissenso (v. Cass., 11 giugno 2009, n. 13.587, invocata dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c.).

14. Peraltro, essendo stata la sentenza impugnata depositata prima dell’entrata in vigore delle modifiche degli artt. 125e 366 c.p.c., apportate dalla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 25, non si ravvisano quelle esigenze di coerenza sistematica e d’interpretazione costituzionalmente orientata, evidenziate dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, che inducono a ritenere che, nel mutato contesto normativo, la domiciliazione “ex lege” presso la cancelleria dell’autorità giudiziaria, innanzi alla quale è in corso il giudizio, ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82, consegue soltanto ove il difensore, non adempiendo all’obbligo prescritto dall’art. 125 c.p.c., per gli atti di parte e dall’art. 366 c.p.c., specificamente per il giudizio di cassazione, non abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine (in tal senso Cass., sez. un. n. 10143 del 2012, cit.).

15. Alla luce di queste considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del giudizio devono essere poste a carico del ricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 100,00, per esborsi, oltre al 15% di spese generali e oneri accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2016

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