Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17414 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. II, 23/07/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 23/07/2010), n.17414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 902-2008 proposto da:

L.C.M., (OMISSIS) in proprio ed in qualità di

erede di B.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GAVORRANO 12, presso lo studio dell’avvocato GIANNARINI MARIO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RICCA LUCIO;

– ricorrente –

contro

B.G., (OMISSIS), BU.GI.,

(OMISSIS), F.M.A., F.,

F.A., (OMISSIS), F.G.M.,

(OMISSIS), L.C.F.A.,

(OMISSIS), B.M., (OMISSIS), b.

g., (OMISSIS), B.C., (OMISSIS),

bu.gi. (OMISSIS), B.A.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA HOMS N.

37, presso lo studio dell’avvocato LISETTI ENRICO, rappresentati e

difesi dall’avvocato BURTONE AGATA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1126/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 11/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato BURTONE Agata, difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 30-11-1985 Ba.Gr., B.A., M., g., C. e F. nonchè L.C. F. e F.A. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Caltagirone B.S..

Gli attori premettevano che era deceduta in (OMISSIS) B.O., la quale con testamento pubblico del (OMISSIS) aveva lasciato il proprio patrimonio immobiliare e mobiliare nella misura di 1/3 indiviso ad essi L.C. ed a L.C.S. poi deceduta senza eredi, per 1/3 ad essi B. e per 1/3 alla convenuta, e che la massa ereditaria si componeva di una casa e di 3/4 indivisi di un fondo rustico nonchè degli arredi ed effetti personali esistenti nella casa e di somme di denaro pari a circa L. 200 milioni.

Gli attori precisavano, quanto al denaro, che la defunta aveva dato incarico alla sorella B.S. di depositare la predetta somma in tre libretti di pari importo da intestare uno alla stessa S., uno ai L.C. ed uno ai B.; aggiungevano che peraltro B.S. aveva depositato l’intera somma su di un libretto al portatore presso la Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele intestato a lei stessa ed a B.O., e l’aveva poi prelevata fino ad esaurimento; essi chiedevano pertanto lo scioglimento della comunione ereditaria secondo le quote predette e la condanna della convenuta a pagare loro i 2/3 delle somme abusivamente riscosse e di pertinenza della “de cuius”.

La convenuta costituitasi in giudizio aderiva alla domanda di divisione contestando il resto; dopo il suo decesso il processo veniva riassunto nei confronti della sua erede L.C.M. che si costituiva in giudizio.

Il Tribunale adito con sentenza non definitiva del 28-8-2001 dichiarava aperta la successione di B.O., determinava la massa ereditaria nei due predetti immobili nonchè nella somma di L. 143.161.539, determinava le quote di spettanza in conformità della domanda, condannava la L.C. quale erede di B. S. a pagare rispettivamente L. 15.363.000 in favore dei L. C. in solido ed altrettante in favore dei B. in solido (e quindi in totale L. 30.726.000 pari a 2/3 della somma di L. 46.088.000 che corrispondeva a quell’importo, rispetto al totale di L. 143.161.539, che, sottratto da B.S., non era stata recuperato in sede penale, dove era stato possibile procedere al sequestro soltanto di L. 97.072.594); stabiliva che la somma sottoposta a sequestro penale, una volta dissequestrata dall’autorità competente e depurata di eventuali spese, fosse divisa tra i coeredi in coerenza con le rispettive porzioni, disponeva la vendita degli immobili in quanto indivisibili e non richiesti da nessuno dei coeredi individuando le quote di spettanza del ricavato, e rimetteva la regolamentazione delle spese alla sentenza definitiva.

Proposto gravame da parte di L.C.M. resistevano in giudizio con separati atti L.C.F. nonchè b.

g., A., G. e Gi. quali eredi di Ba.Gr.An., F.M.A., A. e G.M. quali eredi di B.F., L.C. M., C., g. e F.A. quali eredi di L.C.F. chiedendo il rigetto dell’appello e svolgendo appello incidentale.

La Corte di Appello di Catania con sentenza dell’11-11-2006 ha rigettato entrambe le impugnazioni.

La Corte territoriale, premesso che B.S. era rimasta debitrice della sorella della somma complessiva di L. 46.088.945 (essendo stata recuperata in sede del procedimento penale celebrato nei suoi confronti per appropriazione indebita soltanto la somma di L. 97.072.594 rispetto alla somma complessiva di L. 143.161.539 indebitamente prelevata dal libretto di spettanza di B. O.), ha affermato che l’oggetto della divisione era costituito da tale credito esistente nel patrimonio della “de cuius” nei confronti della sorella ed erede S., e non dall’attribuzione di somme già materialmente comprese nell’asse ereditario; la sentenza impugnata, nell’aderire alla statuizione del primo giudice – che aveva ripartito il suddetto credito in quote, le aveva assegnate ai coeredi ed aveva condannato la coerede debitrice al pagamento delle quote di spettanza degli altri coeredi – ha richiamato il meccanismo semplificatorio previsto dagli artt. 724 e 725 c.c., nel senso che quest’ultima disposizione prescrive a favore degli altri coeredi, correlativamente alla imputazione alla propria quota di debiti che il coerede ha verso il defunto prevista dall’art. 724 c.c., il prelievo anticipato rispetto alla formazione definitiva delle porzioni di beni esistenti nella massa ed equivalenti alla quota di loro spettanza di tale credito.

Il giudice di appello ha rilevato a tal punto che tale modalità divisionale non ha carattere vincolante, in quanto un risultato analogo a quello di imputazione – prelevamento poteva essere conseguito mediante una ripartizione proporzionale del credito, sottolineando che nessuna violazione era ravvisarle per effetto della mancata applicazione di tale meccanismo, soprattutto se ai prelevamenti non possa procedersi per la mancanza nella massa di beni della stessa natura e qualità di quelli non conferiti.

Per la cassazione di tale sentenza L.C.M. ha proposto un ricorso affidato ad un unico motivo cui bu.Gi., A., G. e Gi., F.A., M.A. e G., B.M., g. e C. e L.C. F. A. hanno resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo formulato la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 724 cpv. e 725 c.p.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver confermato la statuizione del giudice di primo grado che aveva ripartito il credito di L. 46.088.045 vantato dalla defunta B.O. nei confronti della sorella ed erede B.S. in quote, le aveva assegnate ai coeredi e, in accoglimento della domanda in merito proposta, aveva condannato la coerede-debitrice al pagamento delle quote di spettanza degli altri coeredi.

L.C.M. sostiene l’erroneità di tale assunto, posto che il primo giudice, dopo aver correttamente affermato che la massa ereditaria di B.O. era costituita dalla somma di L. 143.161.539 ed aver dichiarato che su di essa avevano diritto di succedere ciascuno dei tre gruppi di eredi in ragione di 1/3 indiviso, aveva poi inopinatamente condannato l’esponente a rispondere dell’importo di L. 46.088.000 nei confronti degli altri due gruppi di eredi, senza tener conto del fatto che tale somma, complessivamente considerata, era inferiore, sia pure di poco, ad un terzo del totale di L. 143.161.539 di spettanza dell’odierna ricorrente, ovvero L. 47.720.513, cosicchè il suddetto importo avrebbe dovuto essere imputato per intero alla sua quota ai sensi dell’art. 724 c.c., comma 2 e art. 725 c.c., restando anzi a suo favore un saldo di L. 1.632.000.

La L.C. rileva quindi che il principio di diritto affermato dal giudice di appello, secondo cui può essere assegnata ai condividenti anche una porzione dei crediti vantati dal defunto nei confronti del coerede che sia suo debitore, in tanto può trovare applicazione concreta, in quanto la quota di beni della stessa natura spettanti a coerede debitore non risulti superiore all’importo totale del suo debito, come appunto nella fattispecie, posto che in tal caso la semplificazione adottata dalla legge con la procedura prevista nelle norme sopra menzionate evita che si possa pervenire al risultato macchinoso di fare coesistere attribuzione di beni e pagamenti di debito quando i beni da dividere siano più che sufficienti ad estinguere i debiti; la ricorrente sostiene l’erroneità dell’interpretazione delle suddette disposizioni di legge da parte della Corte territoriale – secondo cui esse avrebbero l’effetto di accordare un vantaggio ai soli creditori, ai quali dovrebbe attribuirsi la scelta tra operare l’imputazione di cui all’art. 724 c.c., comma 2 o agire per realizzare il residuo credito – considerato che tale lettura contrasta con il principio della compensazione di debiti e crediti tra erede e patrimonio ereditario, di cui le richiamate disposizioni costituiscono evidente applicazione.

Infine la L.C. ritiene ininfluente la circostanza che le suddette somme erano sottoposte a sequestro, essendo questo un ostacolo di mero fatto non rilevante ai fini dell’attribuzione delle somme stesse.

La censura è infondata.

Come già esposto in precedenza il giudice di appello ha rilevato la sussistenza di un debito di L. 46.088.945 di B.S. nei confronti della sorella O., con la conseguenza che la L. C. – subentrata quale erede a B.S. – era debitrice della somma di L. 15.363.000 nei confronti di ciascuno degli altri due gruppi di eredi non debitori; con riferimento a tale debito ha quindi sostenuto che nell’ambito del compendio ereditario non era possibile prelevare la quota di spettanza dei coeredi non debitori, posto che esso era costituito da due immobili pacificamente non divisibili – dunque inidonei a garantire in natura e con precisione i due prelevamenti di L. 15.363.000 ciascuno – e considerato per altro verso che nella massa ereditaria non esisteva altro denaro su cui effettuare i prelevamenti stessi, tenuto conto della indisponibilità della somma di L. 97.072.594 sottoposta a sequestro penale.

Tale convincimento deve essere condiviso alla luce del corretto inquadramento del meccanismo di imputazione dei debiti e dei prelevamenti previsto rispettivamente dall’art. 724 c.c., comma 2 e art. 725 c.c., secondo cui ciascun coerede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto, e gli altri eredi prelevano dalla massa beni in proporzione delle rispettive quote, con la precisazione che i prelevamenti, per quanto possibile, si formano con oggetti della stessa natura e quantità di quelli che non sono stati conferiti in natura.

Orbene si ritiene pacificamente in dottrina ed in giurisprudenza che il delineato meccanismo normativo, finalizzato ad assicurare la proporzione tra le quote dei coeredi e dunque la “par condicio” tra di essi (Cass. 13-12-2005 n. 27410), configura uno strumento di estinzione del rapporto obbligatorio sorto tra i coeredi, che opera immediatamente mediante il prelievo da parte degli altri coeredi dalla massa ereditaria di beni nella misura precisata, assimilabile ad una forma speciale di pagamento a struttura in senso lato compensativa; correttamente quindi la sentenza impugnata ha evidenziato la funzione anticipatoria di tali prelievi rispetto alla definitiva formazione delle porzioni, con il vantaggio per gli eredi creditori di poter conseguire immediatamente la parte di loro spettanza del credito; l’imputazione dei suddetti debiti alle rispettive quote da parte degli eredi debitori tende dunque a consentire immediatamente e con sicurezza la realizzazione di tale credito precedentemente alla divisione vera e propria, coerentemente a quanto affermato dalla pronuncia di questa Corte 23-10-2008 n. 25646 – richiamata dalla ricorrente nella memoria – secondo cui la collazione per imputazione di cui all’art. 725 c.c. realizza una attività di carattere meramente prodromico rispetto alle attività strettamente divisionali; ed invero non vi è dubbio che la collazione (e quindi anche la collazione per imputazione dei debiti del coerede verso il defunto) si configura come istituto autonomo rispetto alla divisione, sebbene avente la finalità di rendere realizzabile la divisione stessa.

Alla luce della delineata natura e della evidenziata finalità dell’istituto in esame, deve a tal punto tenersi conto che nella fattispecie è stata verificata l’impossibilità dell’operatività di tale meccanismo di imputazione del debito del coerede debitore e di prelevamento da parte degli altri coeredi per l’insussistenza nell’asse ereditario di altri beni della stessa natura e qualità di quelli non conferiti in natura (ed al riguardo è appena il caso di osservare l’incidenza del sequestro penale della somma di L. 97.072.594 e quindi della conseguente indisponibilità di essa ai fini sopra delineati), posto che tale incapienza ha precluso l’estinzione del debito della L.C. nei confronti degli altri coeredi mediante la immediata e diretta apprensione da parte di questi ultimi di beni ereditari equivalenti alla quota di loro spettanza del credito vantato nei confronti dell’attuale ricorrente;

pertanto, una volta constatata l’impossibilità di realizzare tale credito anticipatamente rispetto alla definitiva formazione delle porzioni oggetto di divisione, correttamente è stata accolta la domanda in proposito formulata dai suddetti coeredi relativa alla condanna della coerede debitrice al pagamento delle quote del suddetto credito di loro rispettiva pertinenza.

Al riguardo i profili di censura della L.C. appaiono palesemente infondati perchè non tengono conto in linea di fatto della inoperatività del meccanismo dei prelevamenti per le ragioni sopra evidenziate, e dunque della permanenza del suddetto rapporto obbligatorio, circostanza che da ragione della statuizione impugnata in questa sede.

Il Collegio ritiene peraltro di dover correggere la motivazione della sentenza della Corte territoriale (il cui dispositivo per quanto sopra esposto è conforme al diritto) laddove si afferma, sulla scia di una pronuncia di questa Corte (Cass. 16-3-1993 n. 3118), che il sistema dei prelevamenti compensativi sopra richiamato non ha carattere vincolante, perchè un risultato analogo può conseguirsi anche mediante una ripartizione proporzionale del credito e la condanna del coerede debitore al pagamento del dovuto nei confronti degli altri coeredi creditori; invero, premesso che il richiamo alla suddetta pronuncia non appare del tutto pertinente (riguardando la fattispecie ivi esaminata l’imputazione di somme dovute da un coerede agli altri coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione), deve invece affermarsi, ad eccezione dell’ipotesi – ricorrente nella fattispecie – di inoperatività del meccanismo dei prelevamenti per insussistenza nell’asse ereditario di beni sui quali essi possano essere eseguiti, l’obbligatorietà de suddetto sistema di collazione per imputazione proprio perchè diretto ad assicurare il principio della “par condicio” tra gli eredi mediante i successivi prelevamenti prima di procedere alle attività strettamente divisionali.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono al soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento di Euro 200,00 per spese e di Euro 3000,00 per onorari di avvocato.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

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