Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17413 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 07/03/2019, dep. 28/06/2019), n.17413

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18296-2017 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI, 6, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PALAZZOLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI SARDELLA giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.S., F.N., V.T.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO, 19, presso lo

studio dell’avvocato ORNELLA RUSSO, rappresentati e difesi

dall’avvocato SALVATORE BIANCA giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

V.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1077/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/03/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza pronunciata il 28-10-2011 ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c. il Tribunale di Siracusa, mediante la sola lettura del dispositivo, ha accolto la domanda risarcitoria avanzata da V.F., nato a (OMISSIS) il 18-2-1927, nei confronti di S.G., ordinando al convenuto anche l’esecuzione di alcuni lavori atti ad eliminare le infiltrazioni verificatesi nell’appartamento dell’attore, sottostante rispetto a quello del convenuto, entrambi siti in (OMISSIS).

Il Tribunale, inoltre, con successiva sentenza depositata il 15/11/2011, ha ribadito detta decisione, completandola con la motivazione.

Con sentenza 1077 del 30-6-2016 la Corte d’Appello di Catania, decidendo sul gravame proposto da S.G. avverso entrambe le decisioni, ha dichiarato nulla la sentenza emessa dal Tribunale in data 28-10-2011 ed inesistente quella emessa successivamente in data 15-11-2011; tanto in applicazione del principio stabilito dalla S.C. con sentenza 6394 del 2015; quindi, non rientrando la nullità in questione tra i casi tassativi di rimessione della causa al primo giudice (artt. 353e 354 c.p.c.), ha deciso nel merito, condannando il S. al pagamento della somma di Euro 700,00, oltre rivalutazione ed interessi, nonchè all’esecuzione dei rimedi per come precisati dal CTU; in particolare la Corte territoriale ha accertato, in base a quanto emerso nella relazione del ctu, che l’appartamento del V. presentava, nel soffitto dell’ultima camera in fondo al corridoio, vistose macchie di umidità, da imputarsi eziologicamente alla cattiva tenuta del piatto doccia del soprastante bagno del S.; nello specifico il CTU ha escluso che le dette macchie di umidità potessero risalire (come sostenuto dal S.) ad un fenomeno verificatosi nel lontano 1997, e quindi a data troppo remota, ed ha giustificato la mancanza “in atto” di umidità con il mancato uso della doccia nel periodo antecedente al sopralluogo.

Avverso detta sentenza S.G. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

V.S., V.T. e F.N., quali eredi di V.F. (nato a (OMISSIS) il (OMISSIS) e deceduto il (OMISSIS)), resistono con controricorso, anch’esso illustrato da successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di appello il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza e del procedimento, si duole della mancata dichiarazione di contumacia di V.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), e sostiene il difetto di legittimazione/interesse a resistere o ad intervenire all’impugnazione di V.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), con conseguente violazione degli artt. 91 c.p.c. e ss..

Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia emesso una sentenza nei confronti di soggetto mai citato in giudizio e in alcun modo collegato nè alla situazione sostanziale dedotta nè al processo di primo grado ed alla sentenza., al riguardo evidenzia che il giudizio di primo grado era stato instaurato da V.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), e si era concluso con sentenza favorevole pronunciata nei confronti dello stesso attore; il convenuto soccombente S.G. aveva rivolto) la sua impugnazione nei confronti di V.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), ma nel giudizio di appello si era costituito (peraltro con patrocinio di diverso difensore) V.F., nato a (OMISSIS), e la stessa sentenza 1077/2016 della Corte d’Appello) era stata pronunciata nei confronti di V.F., nato (OMISSIS); di conseguenza la Corte aveva violato l’art. 350 c.p.c., u.c., art. 291 c.p.c. e art. 171 c.p.c., u.c., per non avere dichiarato la contumacia di V.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS), nonchè l’art. 81 c.p.c., per non avere dichiarato il difetto di legittimazione a resistere all’impugnazione di V.F., nato a (OMISSIS), ed infine degli artt. 100 e 344 c.p.c., per non avere dichiarato il diritto) di resistere all’impugnazione ovvero ad intervenire al giudizio di V.F., nato a (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile in quanto, nonostante l’erronea indicazione del luogo e della data di nascita di V.F. nella comparsa di costituzione in appello, e conseguentemente nell’intestazione della sentenza della Corte d’Appello, errore dovuto a mero lapsus calami, il soggetto costituitosi in giudizio era perfettamente identificabile in V.F., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS).

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando) – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia fondato la sua decisione non sulla base delle risultanze istruttorie ma su circostanze non provate e su dichiarazioni dell’attore più volte contestate.

Il motivo è inammissibile, in quanto diretto, sub specie di violazione di legge, ad una diversa valutazione del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità, a maggior ragione dopo la novella dell’art. 360, n. 5 che ha ridotto al minimo costituzionale il controllo in sede di legittimità sulla motivazione (v. Cass. sez. unite 8053, 8054 e 19881 del 2014; conf. Cass. 11892/2016).

In ogni modo, in particolare, non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. S.U. 16598/2016, è. idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento) una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Nè sussiste la violazione dell’art. 115 c.p.c., che, come precisato dalla cit. Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando (come nella specie) il medesimo, nel valutare le risultanze istruttorie, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto) che ad altre.

Non sussiste, inoltre, neanche la violazione dell’art. 2697 c.c., che, come ribadito da Cass. S.U. 16598, “si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni”, e non quando, come in ricorso, ci si duole solo che la Corte territoriale, a seguito del procedimento di acquisizione e valutazione del materiale probatorio strumentale alla decisione e in adesione alle conclusioni dell’espletata CTU, abbia ritenuto raggiunta la prova dei fatti dedotti a fondamento della domanda risarcitoria avanzata (sussistenza delle macchie di umidità e nesso causale delle stesse con il piatto doccia dell’appartamento soprastante).

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte d’Appello) si sia limitata a far proprie le risultanze della cTU, senza considerare le precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte e dallo stesso S. sia in primo sia in secondo grado.

Anche detto motivo è inammissibile, in quanto non in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (fatto da intendersi come un “preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto) di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; conf. Cass. S.L. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 91152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” (nel senso su precisato) omesso, ma si è limitato (inammissibilmente, per quanto detto) a criticare la conclusione cui era giunta la Corte in relazione all’accertamento della sussistenza delle macchie d’umidità ed alla causa delle stesse, contestando alla Corte medesima di non avere tenuto nella debita considerazione le critiche mosse alla relazione del ctu.

Alla stregua di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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