Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17412 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/06/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 17/06/2021), n.17412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7209-2019 proposto da:

F.A., elettivamente domiciliata presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGI MASTURSI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA APPENNINI 46, presso lo studio

dell’avvocato LUCA LEONE, rappresentato e difeso dagli avvocati

FABIO MARIA FERRARI, MARIA ANNA AMORETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6947/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA CAMPANIA, depositata il 18/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 10327/17, sez. 19, rigettava il ricorso proposto da F.A. avverso l’avviso di rettifica (OMISSIS) per IMU 2013.

Avverso detta decisione la contribuente proponeva appello, innanzi alla CTR Campania.

Il giudice di seconde cure, con sentenza n. 6947/7/18, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla base di due motivi.

IL Comune di Napoli ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la contribuente censura la sentenza impugnata che l’ha riconosciuta tenuta al pagamento dell’IMU in quanto proprietaria dell’immobile deducendo di non avere il possesso dell’immobile occupato abusivamente dal proprio consorte da cui è separata il quale ha rivendicato la proprietà dell’immobile.

Con il secondo motivo deduce di avere perso la disponibilità dell’immobile in quanto il marito ne impedisce l’accesso e riferisce altresì che comunque l’IMU era stata pagata per il 2013 dallo stesso marito.

I due motivi, tra loro connessi possono essere esaminati congiuntamente.

In primo luogo va rammentato che il soggetto tenuto al pagamento dell’IMU – ed in precedenza dell’ICI – è il proprietario dell’immobile con esclusione di qualsiasi obbligo da parte del possessore dello stesso.

Va altresì premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di ICI, il coniuge al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà (anche in parte) dell’altro coniuge non è soggetto passivo dell’imposta per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, poichè con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale in sede di separazione personale o di divorzio, viene riconosciuto al coniuge un diritto personale atipico di godimento e non un diritto reale, sicchè in capo al coniuge non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti il presupposto impositivo del tributo. (da ultimo Cass. n. 7395/19).

Ciò posto, la sentenza impugnata ha riscontrato che la contribuente non aveva documentato se vi era stato o meno un provvedimento di assegnazione della casa comunale nonchè chi fosse l’affidatario dei figli e che sembrava al massimo di comprendere che in via di mero fatto fosse il marito a vivere nell’abitazione.

Con i due motivi di ricorso la ricorrente deduce una serie di circostanze di fatto secondo le quali il marito avrebbe occupato l’immobile uti dominus ed avrebbe iniziato una causa per rivendicarne la proprietà ed inoltre avrebbe anche pagato l’IMU per l’anno in questione.

Le doglianze in questione sono inammissibili sotto diversi profili.

In primo luogo le stesse riguardano circostanze di fatto e richiedono una valutazione del merito della controversia non proponibile in questa sede di legittimità.

In secondo luogo i motivi sono privi di autosufficienza in quanto avrebbero dovuto riportare del ricorso il testo dei documenti fondanti le affermazioni della ricorrente o quanto meno indicare ove gli stessi fossero rinvenibili nel fascicolo.

In particolare la ricorrente avrebbe dovuto dedurre e riportare nel ricorso la documentazione comprovante l’effettiva occupazione dell’immobile da parte del marito e la sua natura abusiva.

A tale proposito è appena il caso di rammentare che questa Corte ha in ripetute circostanze affermato che in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza – prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione: ne deriva che il ricorrente ha l’onere di operare una chiara funzionale alla piena valutazione di detti motivi in base alla sola lettura del ricorso, al fine di consentire alla Corte di cassazione (che non è tenuta a ricercare gli atti o a stabilire essa stessa se ed in quali parti rilevino) di verificare se quanto lo stesso afferma trovi effettivo riscontro, anche sulla base degli atti o documenti prodotti sui quali il ricorso si fonda, la cui testuale riproduzione, in tutto o in parte, è invece richiesta quando la sentenza è censurata per non averne tenuto conto.(da ultimo Cass. n. 24340/18).

Alla luce delle pregresse considerazioni il ricorso va dichiarato inammissibile.

Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 1400,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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