Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17409 del 30/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 30/08/2016, (ud. 07/07/2016, dep. 30/08/2016), n.17409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9040-2015 proposto da:

ANAS SPA, (OMISSIS), in persona del Direttore Centrale, elettivamente

domiciliata in ROMA, LARGO LEOPOLDO FREGOLI 8, presso lo studio

dell’avvocato FABIO MASSIMO COZZOLINO, che la rappresenta e difende

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati GRAZIA ANNA RIZZI,

SAVINA BOMBOI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 814/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 09/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Fabio Massimo Cozzolino difensore della ricorrente

che si riporta ai motivi scritti;

uditi gli Avvocati Bruno Cossu e Luigi Napolitano (delega verbale)

difensori del controricorrente che si riportano al controricorso ed

insistono per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 9.10.2014, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento del gravame di P.N. e, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità dell’apposizione dei termini ai contratti di lavoro stipulati tra il predetto e PANAS spa e disponeva la conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato fin dal 3.12.2003; condannava la società alla riammissione in servizio del lavoratore ed al risarcimento del danno, in favore di quest’ultimo, nella misura di otto mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Rilevava la Corte che l’appellante aveva lavorato alle dipendenze dell’Anas con la qualifica di operatore specializzato, posizione organizzativa B1, con mansioni di addetto alla guida di mezzi speciali e macchine operatrici, in virtù di una serie di contratti a termine, a decorrere dal 3.12.2003, e che nella specie era rinvenibile una violazione dell’onere di specificazione della causale, non potendo tale onere ritenersi assolto, da parte dell’azienda, con l’indicazione di un “picco di lavoro riguardo alle attività di pronto intervento, sgombero neve, manutenzione, cura e ripristino delle adeguate condizioni del manto e delle pertinenze stradali, in relazione alla particolare esigenza di garantire la circolazione di autoveicoli e la sicurezza degli utenti della strada”, in quanto in tal modo ci si riferiva allo scopo perseguito dall’ANAS e non al fatto oggettivo-ragione legittimante che giustificava il ricorso al contratto a termine, con impossibilità di sindacato giudiziale.

E ciò anche avuto riguardo alle ragioni di carattere produttivo indicate all’art. 13 del ccnl di settore (necessità di svolgere lavori temporanei;… per fattori di stagionalità legati ad eventi metereologici e di intensificazione del traffico veicolare; necessità di intensificare in particolari aree l’attività lavorativa, senza che sia possibile sopperire con il normale organico alle esigenze determinate dalla maggiore domanda).

Aggiungeva la Corte che l’ANAS aveva anche omesso ogni richiesta di prova in ordine all’impossibilità di far fronte agli eventi dedotti con le risorse umane normalmente impiegate e all’effettivo aumento del lavoro per i periodi cui si riferivano i singoli contratti e che neanche facendo riferimento all’art. 13 del contratto collettivo del settore poteva giustificarsi il ricorso alle prestazioni di lavoro a tempo determinato, non essendo stato allegato lo stretto nesso causale tra le esigenze dedotte e la specifica assunzione a termine. Tali rilievi inducevano a ritenere assorbito ogni altro profilo di illegittimità dell’apposizione del termine, ivi compreso quello del dedotto superamento della percentuale di assunzioni previsti dalla normativa di competenza.

Evidenziava, poi, la Corte che l’art. 2 dell’Allegato 3 al Protocollo d’intesa, sottoscritto dell’Anas e dalle OO.SS., aveva modificato in parte l’art. 13 del ccnl suddetto, tipizzando i casi di esigenze organizzative, tecniche, produttive e sostitutive e che nessuna di tali ipotesi ricorreva nella specie, dovendo ritenersi esclusa ogni ragione transitoria dalla considerevole durata del rapporto, in virtù di successivi contratti e proroghe.

La ritenuta nullità del termine apposto al primo contratto esonerava il giudice del gravame dall’esame dei contratti successivi.

Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ANAS spa, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resiste, con controricorso, il P..

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. L’Anas s.p.a ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Viene denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 nonchè dell’art. 13, comma 1, ccnl ANAS e D.P.R. n. 1525 del 1963, contestandosi la ritenuta mancanza di specificità della causale apposta ai contratti a termine, sull’assunto sia della ritenuta conformità della clausola appositiva del termine ai principi regolanti la materia sia della possibilità di specificazione delle esigenze dedotte con rinvio per relationem al contenuto di altri testi scritti accessibili alle parti, e quindi con rinvio a ulteriori accordi sindacali.

Quanto alla censura che investe più specificamente l’art. 13 del cenl di settore, denunciandosene la violazione e falsa applicazione, è sufficiente osservare, in conformità a quanto più volte ribadito da questa Corte, che l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella parte in cui onera il ricorrente (principale od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va interpretato nel senso che, ove il ricorrente denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (nel testo sostituito dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2), il deposito suddetto deve avere ad oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione della contrattazione collettiva di livello nazionale (cfr. Cass., s. u. 23 settembre 2010 n. 20075; conf. Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358). Più di recente, è stato, poi, osservato che, in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi. (cfr. Cass., s. u., 3.11.2011 n. 22726, nonchè Cass. 761/14; 24448/13; 22517/13).

Tali ultime prescrizioni non risultano soddisfatte nella specie, non risultando in ricorso precisato in quale sede della produzione di parte sia reperibile il contratto collettivo invocato ed essendone depositato soltanto uno stralcio riferito all’art. 13.

In ogni caso, la censura non è idonea, quanto alle ulteriori doglianze, a scalfire i passaggi argomentativi della decisione, in cui si chiarisce che neanche il riferimento alla clausola del CCNL invocato e la tipizzazione delle esigenze organizzative tecniche, produttive, organizzative e sostitutive operata dal richiamato allegato al Protocollo d’intesa Anas OO.SS. esoneravano la società dall’indicare specificamente le ragioni che avevano determinato il ricorso al contratto a termine, non potendo la mera enunciazione di ragioni generiche, ovvero la indicazione di esigenze di tipo comune (attività di pronto intervento, sgombero neve, cura e ripristino delle condizioni della strada, al fine di garantire la circolazione stradale in condizioni di sicurezza per gli utenti), sopperire all’esigenza normativamente posta (D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1), di indicare il fatto effettivo eziologicamente collegato alla stipulazione a termine e alla durata del rapporto lavorativo. Peraltro, è stato bene evidenziato che anche le allegazioni dell’ANAS riguardavano la situazione generale dell’azienda, non afferendo in alcun modo alla posizione lavorativa del lavoratore in ordine al luogo, tempo e mansioni ed alla natura transitoria delle ragioni legittimanti.

Inconferente ai fini voluti è, poi, il richiamo alla sentenza di questa Corte n. 1576/2010 per sostenere che il concetto di specificità debba essere valutato con un grado di elasticità e secondo criteri di congruità e ragionevolezza, riferendosi tale pronuncia ad ipotesi particolare, differente da quella esaminata, di ricorso al contratto a termine per esigenze sostitutive in realtà aziendali complesse, e prendendo in esame la possibilità che l’enunciazione dell’esigenza di sopperire all’assenza momentanea di lavoratori a tempo indeterminato sia accompagnata dall’indicazione, in luogo del nominativo dei dipendenti sostituiti, di elementi differenti, quali l’ambito territoriale dell’assunzione, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni e il diritto alla conservazione del posto dei dipendenti da sostituire, che permettano ugualmente di verificare l’effettiva sussistenza della ragione dedotta.

Alla carenza connessa alla omessa produzione del testo integrale del CCNL deve, pertanto, aggiungersi il rilievo della correttezza dell’osservazione secondo cui tutte le ragioni poste a fondamento dei contratti sono riconducibili a necessità di carattere astratto connesse al tipo di attività e funzioni svolte dall’ANAS, coessenziali alla natura e alle finalità dell’azienda, suscettibili di ulteriori specificazioni necessarie per legittimare la stipulazione a termine ed il rapporto a tempo determinato instaurato con il P..

Ed invero, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” del termine finale, il che comporta che le stesse debbano essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1931). Tale scelta è, invero, in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine (ossia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi) ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8, n. 3 (cosiddetta clausola “di non regresso”) dell’accordo quadro prevede – allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori – che l’applicazione della direttiva “non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo” (cfr., in tali termini, Cass. 1931/2011 cit.).

A tanto consegue che i rilievi sulla avvenuta specificazione dell’ambito territoriale di riferimento, del luogo della prestazione lavorativa e delle mansioni del lavoratore (elementi circostanziali indicati come sufficienti dalla giurisprudenza di legittimità a fini di specificazione delle esigenze sostitutive nei contratti intercorsi con la spa Poste Italiane, in ipotesi di realtà aziendali complesse – in particolare da ultimo Cass. 11867/2016 richiamata nella memoria dell’Anas -), non assumono uguale valore dirimente ai fini dell’individuazione delle ragioni tecnico organizzative poste a fondamento della assunzione a tempo determinato del P..

Ed invero, i compiti istituzionali dell’azienda, di manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le strade di competenza a fini di sicurezza e regolare circolazione dei veicoli, sono normalmente assolti anche attraverso le attività cui si riferiscono le mansioni del controricorrente, addetto alla conduzione e manutenzione dei autocarri, mezzi speciali autoarticolati, macchine operatrici sgombraneve in dotazione dell’azienda, sicchè la causale dell’assunzione a termine del predetto non poteva essere ricondotta al tipo di mansioni svolte, ovvero all’ambito territoriale di adibizione, in mancanza di idonea individuazione di ragioni ulteriori che rendessero evidente e giustificassero la necessità di stipulazione a tempo determinato per sopperire a necessità non fronteggiabili con il normale organico, e consentissero il successivo controllo di effettività, in sede giudiziale, della ragione dedotta.

Lungi dal corroborare la ragione giustificativa dedotta, lo svolgimento di lavori di sgombero neve rientra, come evidenziato dal giudice del gravame, tra le normali attribuzioni di operatori specializzati, adibiti, come il P., a conduzione di mezzi di vario tipo, tra i quali anche macchine operatrici sgombraneve normalmente utilizzate in periodo invernale, per cui deve ritenersi generica l’indicazione di causale che rapporta alla temporaneità dell’esigenza specifica particolare l’assunzione a termine. Non coglie nel segno, pertanto, il riferimento alla qualificazione di attività stagionale attribuita dal D.P.R. n. 1525 del 1963 all’attività di “spalatura di neve”, nell’ambito dell’elencazione ivi contenuta, mentre deve condividersi quanto affermato nella sentenza impugnata con riguardo alla inidoneità della indicazione di un fatto aleatorio ed astratto (rischio di forti precipitazioni nevose e piovose nonchè di alluvioni…) a sopperire all’esigenza normativamente posta, di indicare il fatto effettivo eziologicamente collegato alla stipulazione termine e alla durata del rapporto lavorativo.

Alla stregua di tutte tali osservazioni, deve pervenirsi al rigetto del ricorso, non essendo i rilievi formulati nella memoria dell’Anas idonei ad evidenziare principi in diritto che siano stati disattesi dalla Corte territoriale.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della società ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione agli avvocati Grazia Anna Rizzi, Bruno Cossu e Savina Bomboi, difensori del P., dichiaratisene antistatari.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione sia principale che incidentale, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori comeper legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%, con attribuzione agli avv. Grazia Anna Rizzi, Bruno Cossu e Savina Bomboi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2016

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