Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17409 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/08/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 20/08/2020), n.17409

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

Sul ricorso 27093-2018 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO, 9, presso lo studio dell’avvocato MARCO CIPOLLONI,

rappresentato e difedo dall’avvocato BIAGIO PIGNATELLI;

– ricorrente –

contro

B.S.J., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ELENA DONZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 322/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata l’08/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO C

AMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Venezia, con sentenza dell’8 febbraio 2018. n. 322, respinse il gravame proposto da V.A. avverso la decisione del Tribunale di Padova che, in relazione alla ivi dichiarata cessazione degli effetti civili del matrimonio tra quest’ultimo e J.B.S., e per quanto qui ancora di interesse, pose a carico del primo un assegno divorzile, in favore della ex moglie, nella misura di Euro 350,00 mensili, altresì disponendo che il loro figlio, maggiorenne ma economicamente non autosufficiente, e residente con il padre, fosse da lui mantenuto, onerando la madre della partecipazione al pagamento delle spese straordinarie in ragione del 50%.

1.1. In particolare, la corte distrettuale: ritenne adeguatamente motivata, alla stregua delle plurime ed univoche circostanze evidenziate dal tribunale suddetto, la valutazione espressa da quel giudice circa l’effettiva condizione patrimoniale e reddituale dell’appellante; ii) confermò, poi, l’entità (dimezzata rispetto al contributo stabilito in sede di separazione coniugale) dell’assegno sancita in prime cure, considerandola “congrua e consona alla firn. zione dell’assegno divorzile”. Più specificamente, disattese l’assunto del V. secondo cui la B. godesse di un reddito sufficiente a garantirle l’indipendenza economica e che la stessa non si attivasse per reperire un’occupazione, e, sul presupposto che “la somma di Euro 350,000 (mensili. Ndr) non è certo sufficiente a far, fonte neppure alle esigenze primarie della vita”, rimarcò come il tribunale avesse quantificato quell’importo “proprio tenendo conto dell’età della signora, che ancora le consente di reperire un’occupazione, nonchè della mancanza di oneri abitativi”; iii) evidenziò, infine, che il tribunale non aveva affatto esonerato la madre dal contribuire al mantenimento del figlio maggiorenne, convivente con il padre, ma aveva disposto la sua partecipazione paritaria alle spese straordinarie, con decisione del tutto coerente con le rispettive capacità reddituali.

2. Per la cassazione della descritta sentenza ha proposto ricorso il V., affidato a tre motivi, resistiti, con controricorso, dalla B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE.

1. Le formulate censure denunciano, rispettivamente:

I) “La questione della effettiva capacità reddituale del ricorrente: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione delle parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e/o violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”. Si sostiene che il ragionamento seguito dalla corte distrettuale, quanto alla valutazione dell’effettiva capacità reddituale del V., sarebbe fondato non solo su “un fraintendimento del fitto discusso e dedotto dalle parti del giudizio, fatto che, quindi, non è estato concretamente esaminato dal Giudice di provenienza, ma anche sull’omesso esame di circostanze dedotte e provate dall’odierno ricorrente già avanti al Tribunale di Padova e analiticamente riproposte dal V. all’attenzione della Corte di appello di Venezia”. Si assume, inoltre, che la sentenza impugnata, motivando la propria decisione, sul punto, “attraverso un generico rinvio alla ricostruzione in fatto ed in diritto del Tribunale di Padova, senza neppure citare le fonti istruttorie del proprio convincimento, ma limitandosi, appunto, ad operare un mero rinvio a quelle affermazioni del Tribunale di Padova che, in virtù delle analitiche censure operate in sede di impugnazione dal V., non potevano più considerarsi adeguate”, si rivela essere un “provvedimento dotato di motivazione meramente apparente”, e, come tale, nullo;

II) “La questione dell’impossibilità oggettiva per la resistente di procurarsi adeguati mezzi di sostentamento: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione delle parti, ex. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6; nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e/o violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”. Si contestano, invocandosi i principi sanciti da Cass. n. 11504 del 2017 e lamentandosi l’omesso esame di fatti asseritamente risultanti dall’istruttoria, anche orale, svolta dai giudici di merito, le argomentazioni con cui le corte distrettuale ha confermato il riconoscimento, in favore della B., dell’assegno divorzile. Si ritiene, inoltre, che, anche in parte qua, il provvedimento impugnato rechi una motivazione meramente apparente per le medesime ragioni esposte nel primo motivo in relazione all’analogo vizio ivi denunciato;

III) “La questione dell’esonero di controparte dal mantenimento del figlio non economicamente autosufficiente: omesso esame di fatti decisivi e discussi, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 6; nullità della sentenza e/o del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e/o violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”. Si censura la sentenza impugnata laddove ha confermato l’obbligo della B. di corrispondere solo il rimborso di parte delle spese straordinarie sostenute dal V. per il mantenimento del loro figlio maggiorenne ma economicamente non autosufficiente, invocandosi, peraltro, anche in relazione a questo ulteriore profilo, la mera apparenza della sua motivazione.

2. Rileva, preliminarmente, il Collegio che tutte le descritte censure prospettano vizi motivazionali e di violazione di legge, nonchè la pretesa nullità della decisione impugnata per asserita apparenza della sua motivazione. E’, dunque, opportuno ribadire i principi in forza dei quali dette doglianze saranno scrutinate.

2.1. Va, allora, subito ricordato che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa l’8 febbraio 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017). La descritta novella, dunque, esclude la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione, essendosi introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione (con l’osservanza, peraltro, degli oneri di allegazione puntualmente sanciti da Cass., SU. n. 8053 del 2014), relativo all'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Deve trattarsi, cioè, di un vero e proprio ‘fatto”, in senso storico e normativo, oppure di un preciso accadimento o di una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico, ovvero di un dato materiale, di un episodio fenomenico rilevante, e delle relative ricadute di esso in termini di diritto, o, ancora, di una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali. Non è tale, viceversa, l’argomentazione o deduzione difensiva (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), nè lo sono gli elementi istruttori, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (tik Cass., SU, n. 8053 del 2014). Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, favorevole al ricorrente rimasto soccombente (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).

2.2. Quanto, invece, al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, questa Corte ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) esso può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto, intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente (perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro) ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua (pur corretta) interpretazione (cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra invece violazione, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; i) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3. Tanto premesso, i primi due motivi, scrutinabili congiuntamente perchè connessi, riguardando le reciproche condizioni reddituali e patrimoniali del V. e della B. al fine del riconoscimento, in favore di quest’ultima ed a carico del primo, dell’assegno divorzile, impongono, innanzitutto di ricordare che, per quasi trent’anni, la giurisprudenza ha interpretato la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, della ritenendo che l’assegno divorzile dovesse consentire all’avente diritto di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio.

3.1. Sulla scia delle critiche di vasti settori dottrinari, che ravvisavano in tale indirizzo interpretativo il rischio di garantire ingiustificate rendite di posizione, questa Corte, con la sentenza n. 11504 del 2017 (e quella, in senso sostanzialmente conforme, n. 23602 del 2017), ebbe a ribaltare l’orientamento in questione, negando il riconoscimento dell’assegno di divorzio tutte le volte che il richiedente dovesse considerarsi economicamente autosufficiente.

3.2. Il descritto revirement suscitò un acceso dibattito, tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza, che inevitabilmente è sfociato nell’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite di questa Corte, la cui recente sentenza dell’11 luglio 2018, n. 18287, può essere condensata nelle seguenti asserzioni: a) abbandono dei vecchi automatismi che avevano dato vita ai due orientamenti contrapposti: da un lato il tenore di vita (fr. Cass., SU, n. 11490 del 1990), dall’altro il criterio dell’autosufficienza Cass. n. 11504 del 2017); b) abbandono della concezione bifasica del procedimento di determinazione dell’assegno divorzile, fondata sulla distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi; (c) abbandono della concezione che riconosce la natura meramente assistenziale dell’assegno di divorzio a favore di quella che gli attribuisce natura composita (assistenziale e perequativa/compensativa); equiordinazione dei criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6; e) abbandono di una concezione assolutistica ed astratta del criterio “adeguatezza/ inadeguatezza dei mezzi” a favore di una visione che propende per la causa concreta e lo contestualizza nella specifica vicenda coniugale; necessità della valutazione dell’intera storia coniugale e di una prognosi futura che tenga conto delle condizioni dell’avente diritto all’assegno (età, salute, etc.) e della durata del matrimonio; g) importanza del profilo perequativo-compensativo dell’assegno e necessità di un accertamento rigoroso del nesso di causalità tra scelte endofamiliari e situazione dell’avente diritto al momento dello scioglimento del vincolo coniugale.

3.2.1. In definitiva, appare evidente la ratio ispiratrice della decisione, individuabile nell’abbandono della tesi individualista fatta propria da Cass. n. 11504 del 2017 per la vigorosa riaffermazione del principio di solidarietà postconiugale, agganciato ai parametri costituzionali ex artt. 2 e 29 Cost..

3.3. Muovendo da tali presupposti, dunque, le Sezioni Unite hanno sancito che, al fine di stabilire se, ed eventualmente in quale entità, debba essere riconoscersi l’invocato assegno divorzile, il giudice: a) procede, anche a mezzo dell’esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o, comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e, in particolare, se quella sperequazione sia, o meno, la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età dello stesso ed alla durata del matrimonio; (c) quantifica l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, nè al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato.

3.4. E’ innegabile, infine, quanto al problema riguardante le conseguenze di un siffatto intervento sui processi in corso (l’ipotesi specifica è quella della sopravvenienza, come nella specie, della pronuncia delle Sezioni Unite allorquando la statuizione della corte di appello sull’assegno di divorzio – quanto alla sua spettanza ed eventualmente alla sua concreta quantificazione – sia già stata resa ma sia ancora suscettibile di impugnazione in Cassazione, poi concretamente promossa), che la Suprema Corte, ove i motivi di ricorso la investano di censura di violazione o falsa applicazione di una norma di diritto con riguardo alla quale sia intervenuto un mutamento della giurisprudenza di legittimità, deve giudicare sulla base del nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, posto che il giudizio di cassazione ha ad oggetto non l’operato del giudice di merito, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico.

4. Fermo tutto quanto precede, le due censure in esame si rivelano, nel loro complesso, inammissibili.

4.1. In particolare, esse mirano, sostanzialmente, a rimettere in discussione l’accertamento fattuale e la ponderazione che la corte di merito ha svolto sulla concreta condizione reddituale e patrimoniale, rispettivamente, del V. e della B., giungendo a condividere le analoghe conclusioni del giudice di primo grado. Si tratta, invero, di valutazioni insindacabili in questa sede, se non sotto il profilo del vizio motivazionale, nei ristretti limiti stabiliti per quest’ultimo dalla già riportata nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e con l’osservanza dei relativi oneri di allegazione puntualmente sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

4.1.1. Il V., invece, da un lato, rinvia a circostanze, asseritamente oggetto di discussione tra le parti ma il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte veneziana, non individuandole specificamente ma, in evidente violazione del principio cd. di autosufficienza del ricorso: i) nel primo motivo, mediante il mero rinvio al suo ricorso di primo grado, alla sua comparsa conclusionale in primo grado, al suo ricorso in appello alla comparsa di appello della B. (cfr. pag. 9 dell’odierno ricorso); ii) nel secondo motivo, mediante il rinvio al suo ricorso in appello ed alla comparsa di appello della controparte gr. pag. 18 dell’odierno ricorso).

4.1.2. Ove, invece, si volessero individuare tali circostanze in quelle dal medesimo più compiutamente invocate, quanto alla prima doglianza, alle pagine da 9 a 14, sub) lett. da a) ad i), del suo ricorso, e, circa la seconda, nelle pagine da 18 a 20, sub lett. da a) a fi del medesimo atto, di altro non si tratterebbe che di fatti (cessazione, o meno, dell’attività di idraulico del ricorrente, o, comunque, diminuzione della stessa; disponibilità di un automezzo per il relativo svolgimento; attività lavorativa svolta dal V. in Africa; versamenti sul proprio conto corrente di circa Euro 1.000,00 mensili) chiaramente ponderati dalla corte predetta in sede di valutazione delle effettive condizioni patrimoniali del ricorrente (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata), oppure di circostanze (lo svolgere, o meno, in concreto, la B., attività lavorativa, o, comunque, il suo essere potenzialmente in grado di farlo ove si impegnasse nella corrispondente ricerca; l’essere, la stessa, proprietaria della casa coniugale, a lei assegnata e priva di oneri) che la medesima corte ha certamente tenuto presente allorquando ha confermato, in favore dell’appellata, l’entità dell’assegno divorzile riconosciutole in primo grado sul duplice presupposto che “la somma di Euro 350,000 mensili. Ndr. non è certo sufficiente a far fronte neppure alle esigenze primarie della vita”, e che detto importo era stato determinato “proprio tenendo conto dell’età della signora, che ancora le consente di reperire un’occupazione, nonchè della mancanza di oneri abitativi” (cfr. pag. 6-7 della menzionata sentenza). Risulta, dunque, in ogni caso, chiaramente ed esaustivamente soddisfatto l’onere minimo motivazionale oggi gravante sul giudice di merito alla stregua dei principi sanciti dalla già richiamata Cass., SU, n. 8053 del 2014.

4.2. E’ palese, allora, che laddove, sebbene sotto la formale rubrica di vizi motivazionali e/o di violazione di legge, il V. censura, oggi, gli esiti della complessiva comparazione effettuata dalla corte distrettuale circa le condizioni economico/patrimoniali/reddituali del primo e della B. e la ivi ritenuta inadeguatezza del mezzi economici di quest’ultima, le doglianze si rivelano inammissibili, alla stregua dei principi tutti già esposti nei precedenti paragrafi 2.1 e 2.2., risolvendosi in una critica al complessivo governo del materiale istruttorio operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre una diversa valutazione delle medesime risultanze istruttorie utilizzate dalla corte veneziana: ciò non è consentito, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non previsto, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017). In altri termini, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

4.3. Per mera completezza, poi, va rimarcato: i) da un lato, che la decisione della corte lagunare, in termini di spettanza dell’assegno divorzile in favore della odierna controricorrente, nemmeno si rivela in contrasto con i principi tutti sanciti dalla già menzionata statuizione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18287 del 2018. La prima, infatti, sebbene condividendo, dandone sufficientemente conto, l’analogo giudizio del giudice di prime cure, ha confermato l’entità, dimezzata rispetto al contributo stabilito in sede di separazione coniugale, dell’assegno predetto, considerandola “congrua e consona alla funione dell’assegno divorile”, dopo aver escluso che la B. godesse di un reddito sufficiente a garantirle l’indipendenza economica e che la stessa non si attivasse per reperire un’occupazione, e, sul presupposto che la somma di Euro 350,000 mensili – quantificata “proprio tenendo conto dell’età della signora, che ancora le consente di reperire un’occupazione, nonchè della mancana di oneri abitativi” – “non è certo sufficiente a far fronte neppure alle esigery.zy primarie della vita”. Nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare della corte distrettuale abbia trascurato alcuni dati dedotti dall’odierno ricorrente per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente, o implicitamente, irrilevanti; i) dall’altro, che, nel processo civile, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte, o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili – come innegabilmente accaduto nella odierna fattispecie – all’organo giudicante e risultino, in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sè, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità dei contenuti, nè delle modalità espositive Cass., SU, n. 642 del 2015; Cass. n. 9334 del 2015; Cass. n. 22562 del 2016).

5. Analoga inammissibilità caratterizza la censura complessivamente veicolata dal terzo motivo, e ciò per la decisiva (ed assorbente) considerazione che la corte veneziana, diversamente da quanto oggi preteso dal ricorrente, nel confermare i provvedimenti economici resi dalla statuizione di primo grado quanto al mantenimento del loro figlio maggiorenne, ma economicamente non autosufficiente, ha chiaramente ponderato le reciproche condizioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi, sicchè anche la doglianza in esame si risolve, sostanzialmente, in una richiesta di rivisitazione di quei giudizi che non può trovare seguito in questa sede.

6. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

7. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna Andrea V. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute da B.S.J., liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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