Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17408 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/08/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 20/08/2020), n.17408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26410-2018 proposto da:

R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RIMINI 14,

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO LORENTI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

E.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIO FASCETTI 5,

presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA CAPOROSSI, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIULIO NEVI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1650/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 18 giugno 2018, n. 1650, la Corte di appello di Bologna ha respinto il gravame di R.F. contro la decisione del ‘Tribunale di Modena che, nel pronunciarne la separazione personale dalla coniuge P.E., aveva rigettato la richiesta di addebito formulata dal primo, ponendo, altresì, a suo carico, l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e del figlio minorenne S., in misura, rispettivamente, di Euro 200,00 mensili e di Euro, 450,00 mensili, oltre il 60% delle spese straordinarie per il figlio, ed affidando quest’ultimo ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, contestualmente regolando il periodo di sua frequentazione da parte del padre.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, negata qualsivoglia ragione di nullità della sentenza impugnata per il solo fatto che il presidente della II sezione civile di quel tribunale, dopo aver trattato la fase presidenziale (a tanto delegato dal Presidente del Tribunale), aveva assegnato a se stesso l’istruzione della causa, ha ritenuto, sostanzialmente condividendo le conclusioni del giudice di prime cure, che le risultanze dell’istruttoria svolta nel precedente grado escludevano che potesse ritenersi provata l’invocata ragione di addebito della separazione alla E.. In particolare, ha osservato, tra l’altro, che, “…In definitiva, il lamentato allontanamento effettivo e fisico della moglie – che peraltro questa afferma essere stato reciproco – non è provato che abbia costituito la causa della crisi familiare, nè Iciò1 potrebbe essere provato con le inidonee prove testimoniali richieste dall’appellante”: prove valutate da quella corte come “inconveniente ai fini della decisione” perchè solo parte di esse erano relative alla questione dell’addebito (le altre riguardando la gestione del figlio minore e l’attività lavorativa della E.), e, in detta parte, comunque inidonee “a provare la condotta contestata e soprattutto la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza”. La corte distrettuale, inoltre, ha confermato i provvedimenti di natura economica, a suo dire giustificabili alla luce delle ivi descritte condizioni economiche di entrambi i coniugi, nonchè quelli afferenti l’affido del figlio minorenne.

2. Avverso detta sentenza, il R. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, cui resiste, con controricorso, la E.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 158 e 708 c.p.c., nonchè R.D. n. 12 del 1941, art. 104, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”. Si insiste nell’asserita nullità del procedimento di primo grado, e della sentenza che lo aveva concluso, per il solo fatto che il presidente della II sezione civile del tribunale modenese, dopo aver trattato la fase presidenziale (a tanto delegato dal Presidente del Tribunale), aveva assegnato a se stesso così eccedendo nella delega rilasciatagli ed emettendo un provvedimento extra ordinem, da considerarsi affetto da nullità assoluta perchè inosservante del principio della regolare costituzione del giudice (art. 158 c.p.c.), che, a sua volta, richiama quello di cui all’art. 25 Cost. – anche l’istruzione della causa;

II) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare degli artt. 143,151,156 e 2697 c.c., nonchè 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si contestano le argomentazioni utilizzate dalla corte di merito per escludere l’addebito della separazione a carico della E. e ci si duole della mancata ammissione della prova testimoniale in proposito invocata anche in quella sede dall’odierno ricorrente. Si aggiunge che, come conseguenza dell’addebito della separazione alla moglie, quest’ultima perderebbe il diritto al mantenimento, a nulla rilevando il suo presunto stato di disoccupazione non avendo ella chiesto la corresponsione di alimenti;

III) “Violazione o falsa applicazione dell’art. 147 c.p.c. e art. 337-ter c.p.c., comma 4, nonchè degli artt., 155 e 156 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si censurano le affermazioni con cui la corte felsinea ha domiciliato il figlio minorenne della coppia presso la madre e previsto un contributo mensili, a carico del padre, per il mantenimento dello stesso, di Euro, 450,00 mensili, oltre il 60% delle spese straordinarie.

2. Il primo motivo è infondato.

2.1. Ha affermato la corte di appello (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) che, “come già rilevato dal Presidente del Tribunale, non esiste alcuna norma del codice di rito o ordinamentale che vieti che il Presidente – nella specie delegato – che ha svolto la fase presidenziale del giudizio di separazione, nomini se stesso giudice istruttore”, e che “risulta assorbente il rilievo che l’asserita violazione non potrebbe comunque costituire motivo di nullità della sentenza”.

2.1.1. Trattasi di assunti pienamente condivisibili alla stregua dei principi già resi – in ambito di procedimento divorzile (cfr.. L. n. 898 del 1970, art. 4, commi 7, quarto e quinto periodo, e art. 8), ma chiaramente utilizzabili anche per quello di separazione (cfr. art. 708 c.p.c., commi 1, 2 e 3), attesa la sostanziale identità tra detti processi sotto il profilo dell’iter procedimentale riguardante la fase presidenziale ed i provvedimenti da adottarsi in quella sede anche per la successiva istruzione delle corrispondenti cause – da Cass. n. 22607 del 2004, alla cui stregua, essendo, oggi, incontroverso che la individuazione del magistrato che aveva tenuto l’udienza presidenziale e provveduto successivamente ad istruire la causa, assegnandosela, era avvenuta in base alla preventiva e consentita delega delle funzioni presidenziali a quel giudice, giusta decreto del Presidente del Tribunale di Modena, deve osservarsi che: i) la supplenza, in base alla designazione effettuata secondo il cd. criterio tabellare, deve ritenersi consentita anche nelle funzioni presidenziali relative ai procedimenti di separazione e divorzio, secondo le regole dettate dall’art. 104 dell’ordinamento giudiziario, che non prevede alcuna limitazione o eccezione in relazione alle funzioni esercitabili in via sostitutiva in caso di mancanza od impedimento del Presidente del Tribunale (cfr. Cass. n. 2085 del 1977); li) la sostituzione secondo il cennato criterio può

avvenire anche per mere esigenze d’ufficio Cass. n. 7764 del 2004) e nell’individuazione della persona del delegato il criterio dell’anzianità non è esaustivo (punto C.7.D della Circolare del C.S.M., n. 7704 del 2/5/1991, in tema di applicazioni e supplenze); /h) la delega attribuisce al magistrato delegato i medesimi poteri del delegante, ivi compreso, quindi, quello di presiedere ad entrambe le fasi in cui si articolano i procedimenti in questione, non risultando normativamente precluso al Presidente del Tribunale di svolgere la funzione istruttoria nella seconda fase del processo, assegnando a se stesso la causa; iv) le facoltà previste, rispettivamente nel processo di divorzio ed in quello di separazione personale dei coniugi, dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8, penultimo periodo, e dall’art. 709 c.p.c., comma 4, di revoca o modifica da parte del giudice istruttore dei provvedimenti eventualmente adottati nella fase presidenziale, configurano un ampliamento dei poteri istruttori e non un limite alle attribuzioni processuali connesso alle competenze funzionali presidenziali, limite non altrimenti desumibile od ontologicamente giustificato.

2.1.2. In definitiva, quindi, il nostro ordinamento giuridico è informato al principio generale che le funzioni giurisdizionali possano essere esercitate non solo dai soggetti che ne sono direttamente investiti ma, tenuto conto dell’esigenza di assicurare che le funzioni di cui il legislatore ha individuato la necessità di attuazione possano comunque trovare concreta realizzazione, anche da coloro che li sostituiscano nei casi e nei modi determinati dalla legge. Più precisamente, con riguardo ai presidenti del tribunale, tale principio trova specifica attuazione nella norma dell’art. 104 dell’Ordinamento giudiziario (che fissando le regole concernenti la sostituzione del presidente titolare in caso di sua mancanza o impedimento stabilisce che egli “è supplito dal più anziano dei presidenti di sezione, o, in mancanza di essi, dal più anziano dei giudici”), disposizione da interpretarsi nell’ambito del cd. diritto tabellare, ossia di quella parte dell’ordinamento giudiziario concernente l’esercizio delle funzioni giurisdizionali, al cui interno la stessa risulta assorbita (cfr. in motivazione, Cass. n. 13289 del 2007), dovendosi, peraltro, ricordare, da un lato, che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che nemmeno l’ipotesi della sostituzione dell’istruttore avvenuta al di fuori delle condizioni previste dall’art. 174 c.p.c., possa integrare il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., Cass. n. 8586 del 2013, in motivazione; Cass. n. 2745 del 2007; Cass. n. 20926 del 2004; Cass. n. 1197 del 1996; Cass. n. 11688 del 1993); dall’altro, che i presunti timori di una eventuale non serenità del presidente anche nella veste di istruttore (che, a dire del R., “difficilmente” avrebbe, nell’istruire il giudizio di separazione, modificato la propria ordinanza resi nelle vesti presidenziali), ben avrebbero potuto trovare tutela, – pure a volersi sottacere la reclamabilità dell’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c., comma 4 – se del caso, nell’istituto della ricusazione, di cui l’odierno ricorrente non risulta comunque essersi avvalso, rimanendo, così, esclusa qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della sua decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di fare valere il vizio in sede di impugnazione (cfr. Cass. n. 2270 del 2019; Cass. n. 7545 del 2011).

3. Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. Giova rimarcare, invero, che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua pur corretta interpretazione. Cf Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; t) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fr. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

3.2. E’ noto, poi, che la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito (cfr. Cass. n. 14840 del 2006; Cass. n. 12383 del 2005; Cass. n. 12130 del 2001. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche Cass. n. 25843 del 2013; Cass. n. 18074 del 2014. Sulla necessità di accertare l’efficacia causale della violazione dei doveri ex art. 143 c.c., nella determinazione della crisi coniugale vedasi pure Cass. n. 23071 del 2005).

3.2.1. Orbene, nella specie, la corte distrettuale, dopo aver dato atto che, secondo il giudice di prime cure, “alla crisi familiare non risulta oggettivamente estranea la diversità di orientamento culturale ed educativo e l’incompatibilità di carattere dei coniugi, concludendo per l’esclusione dell’addebito della separazione a E.P.”, e che “a tutto concedere la cessazione dei rapporti sessuali tra i coniugi è stata conseguenza, non causa, della progressiva compromissione della vita matrimoniale” cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), ha successivamente ribadito la inammissibilità della prova testimoniale articolata dal R. al fine di supportare la propria richiesta di addebito della separazione alla appellata, ed ha concluso nel senso che “il lamentato allontanamento alle /tiro e fisico della moglie – che peraltro questa afferma essere stato reciproco – non è provato che abbia costituito la causa della crisi familiare, nè potrebbe essere provato con le inidonea prove testimoniali richieste dall’appellante” (cfr. pag. 6 della medesima sentenza).

3.2.2. La corte bolognese ha esaustivamente spiegato (cfr. amplius, pag. 5-7 della sentenza citata) le ragioni che l’hanno indotta alle sopra indicate conclusioni, ed il corrispondente accertamento integra una valutazione fattuale, al quale il R., con il motivo in esame, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge, tenta di opporre una propria alternativa interpretazione dei medesimi elementi istruttori utilizzati dalla prima, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3.2.3. In altri termini, il ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 2697 c.c., o dell’art. 116 c.p.c., può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi, rispettivamente, che il giudice di merito: z) abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni; à) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinchè sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti, il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati (cfr. Cass. n. 11176 del 2017).

3.3. La censura in esame, inoltre, laddove contesta la mancata ammissione, anche in appello, della prova testimoniale articolata, già in primo grado, dal R., è chiaramente inammissibile per difetto di autosufficienza, perchè con essa ci si duole, in realtà, di una valutazione rimessa al giudice del merito, quale è quella di non pertinenza della denunciata mancata ammissione della prova orale rispetto ai fondamenti della decisione, senza peraltro, adempiere agli oneri di allegazione necessari ad individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto (0-. Cass. n. 8204 del 2018; Cass. n. 9748 del 2010), in proposito dovendo ricordarsi che ove con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonchè di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Cass. n. 23194 del 2017). Nella specie, invece, la censura in esame non riporta i capitoli di prova della cui mancata ammissione ci si duole, per cui questa corte non può comunque apprezzarne la loro asserita decisività.

4. Analoga sorte merita il terzo motivo.

4.1. Ribadito, invero, quanto si è già detto al p. 3.1. in ordine alle specifiche modalità di deduzione del vizio di violazione di legge, pure la doglianza in esame – anche a volersene sottacere la carenza di autosufficienza laddove richiama documentazione (riguardante le spese straordinarie) in nessun modo riprodotta in ricorso – si risolve, sostanzialmente, in una critica agli accertamenti fattuali (quanto alla capacità genitoriale di entrambi i coniugi, alle loro rispettive condizioni economiche ed alla presumibile entità delle spese straordinarie per il loro figlio minorenne) complessivamente operato dal giudice a quo (che, peraltro, ha anche precisato che “il collocamento prevalente del figlio minore S. presso il padre a Sorbara, richiesto dall’appellante solo in via subordinata, non è in alcun modo motivato. Quanto alla disciplina concreta dell’esenzione della responsabilità genitoriale e della gestione del minore l’appello contiene delle richieste di emissioni di prescrizioni inammissibili (ad esempio prescrivere alla madre di non dormire col figlio) o infondate (ad es. limitare il periodo di vacanza all’estero per un massimo di 15 giorni all’anno)”. Cfr. pag. 10 della sentenza impugnata) cui il R. intenderebbe opporre, nuovamente sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

5. Il ricorso deve, dunque, essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

6. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna R.F. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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