Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17408 del 19/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/08/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 19/08/2011), n.17408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISAF COSTRUZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante, pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SANTA COSTANZA 27,

presso lo studio dell’avvocato SANDRO D’ALESSANDRO, rappresentata e

difesa dall’avvocato LENTINI GERLANDO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli avvocati RAFFONE FAUSTO e RAFFONE NINO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 757/2008 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 08/09/2008 r.g.n. 217/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato LENTINI GERLANDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per dichiarazione di

inammissibilità, in subordine, rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 90/2004 la Corte d’Appello di Torino respingeva la domanda di Z.P. svolta nei confronti della ISAF Costruzioni s.r.l. diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia e/o illegittimità, del licenziamento intimato nel gennaio 2000, con le pronunce consequenziali (licenziamento che, per l’attore, doveva considerarsi carente della forma scritta e comunque privo di giusta causa e/o giustificato motivo).

In particolare, mentre il giudice di primo grado aveva accolto la domanda dichiarando inefficace il licenziamento, perchè la comunicazione diretta ad un terzo (Sezione Circoscrizionale del Lavoro) non costituiva licenziamento intimato per iscritto al lavoratore, la Corte torinese, tra l’altro, rilevava:

che la società si era costituita tardivamente in primo grado ed era decaduta dalle prove e non poteva riproporle in appello;

che il licenziamento era stato intimato per iscritto e l’attore ne aveva avuto copia via fax in data 23-2-2000 (per cui sussisteva la forma scritta ai fini dell’efficacia dell’atto);

che lo Z. aveva l’onere di proporre appello incidentale ovvero “eccezione riconvenzionale subordinata” per dedurre l’illegittimità del licenziamento in relazione alla carenza di giusta causa e/o di giustificato motivo.

Su ricorso del lavoratore, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 12722/2006, accogliendo il motivo rivolto contro tale ultima statuizione, cassava con rinvio la pronuncia della Corte torinese, rilevando che lo Z. che era risultato vittorioso in primo grado non aveva l’onere di impugnare la sentenza, essendo sufficiente la riproposizione della questione (nella specie la mancanza di giusta causa e/o giustificato motivo) nella memoria di costituzione in appello. Inoltre “l’attore non aveva alcun onere di dedurre e provare le dimensioni dell’impresa o dell’unità produttiva, mentre tale onere faceva carico alla convenuta”.

Lo Z. riassumeva la causa dinanzi al giudice di rinvio e la ISAF s.r.l. resisteva chiedendo il rigetto delle domande di controparte.

La Corte d’Appello di Genova, con sentenza depositata l’8-9-2008, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava la ISAF costruzioni s.r.l. a reintegrare lo Z. nel posto di lavoro e a corrispondergli a titolo di risarcimento del danno un’indennità pari all’ultima retribuzione globale di fatto dal di del licenziamento a quello dell’effettiva reintegra, oltre rivalutazione e interessi dalle singole scadenze al saldo.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che la società, che, in base al dictum della sentenza rescindente, aveva l’onere di provare la giusta causa e/o il giustificato motivo del recesso, nonchè il requisito dimensionale, essendosi costituita tardivamente, era decaduta da qualsiasi prova e comunque non aveva articolato prove in proposito (v. memoria di costituzione).

Peraltro, a parte la inammissibilità per tardività della relativa produzione, la documentazione prodotta dalla ISAF (in ordine all’asserito factum principis costituito dall’ordine, dato dagli enti locali, di sospensione dei lavori per avversità atmosferiche nei cantieri di (OMISSIS)) non era al riguardo sufficiente di per sè a sostenere la causa del recesso perchè la società “anche in presenza di un ordine di sospensione dei lavoro, doveva articolare prova del repechage” (onere probatorio che nel caso in esame non risultava neppure allegato).

Quanto, poi, alla tutela da applicarsi, la Corte di Genova rilevava che, mentre incombeva il relativo onere probatorio sulla società, dalle prove assunte era risultato che tra i cantieri di (OMISSIS), che pacificamente occupavano più di quindici dipendenti, vi era unità dal punto di vista organizzativo ed operativo, per cui andava applicata la tutela reale.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi.

Lo Z. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente, denuncia “violazione ed erronea applicazione dei principi disposti dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12722/06” in quanto la Corte d’Appello di Genova avrebbe “deciso in conformità a quanto dedotto dal tribunale di Torino, senza operare un esame obbiettivo delle prove documentali addotte dalle parti, e facendo propri gli argomenti addotti da tale giudicante che, sul punto, come già dedotto, risultava privo di motivi”.

La ricorrente formula, quindi, il seguente quesito di diritto: “dica la Corte se la sentenza del Giudice d’Appello sia o meno uniformata al principio enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza di rinvio?”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando “violazione ed errata applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5”, lamenta che la Corte d’Appello di Genova avrebbe “errato nel considerare applicabile, nella fattispecie in giudizio, la L. n. 30 del 1970, art. 18 senza il preventivo esame della documentazione prodotta dalla società ricorrente, che, con l’unico mezzo a sua disposizione”, avrebbe “dimostrato sia la legittimità del licenziamento, avvenuto in conseguenza all’emesso provvedimento della P.A. di sospensione dei lavori del cantiere per un tempo indeterminato, sia le ridotte dimensioni dell’impresa anche nell’unità produttiva dove risultava assunto lo Z., dimostrando, altresì la autonoma produttività di tale cantiere, rispetto ad altro e diverso cantiere operante in un paese vicino”.

La ricorrente al riguardo formula quindi il seguente quesito: “dica la Corte se la sentenza del Tribunale di Torino, prima, e quella della Corte d’Appello di Genova, dopo, siano incorse nella dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per l’omessa, od in ogni caso insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio?”.

Premesso che nella fattispecie va applicato l’art. 366 bis c.p.c., ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2010 n. 7119, Cass. 16-12-2009 n. 26364), osserva il Collegio che entrambi i motivi di ricorso risultano inammissibili per mancanza dei requisiti imposti dalla detta norma processuale.

L’art. 366 bis c.p.c., infatti, “nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo “iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione” (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto “deve comprendere l’indicazione sia della “regola iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile” (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339). Peraltro “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie” (v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Pertanto è inammissibile non solo il motivo nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale “sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice” o sia formulato in modo del tutto generico (cfr.. Cass. S.U. 28-9-2007 n. 20360, Cass. S.U.5-2-2008 n. 2658). In particolare parimenti è inammissibile il motivo “contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla Suprema Corte puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge” (v. Cass. 17-7-2008 n. 19769).

Nell’ipotesi, poi, prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5, “l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione” e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità” (v. Cass. S.U. 1- 10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008 4309).

Orbene, nella fattispecie, in sostanza, in relazione al primo motivo, la ricorrente si limita a chiedere del tutto genericamente a questa Corte di accertare se la sentenza impugnata si sia uniformata al dictum di Cass. n. 12722/2006. Peraltro anche l’esposizione del motivo risulta assolutamente generica e priva di autosufficienza nonchè inconferente rispetto al decisum della Corte genovese, in quanto la società, da un lato, lamenta un mancato esame della prove documentali addotte senza specificarne e, tanto meno, riportarne, il contenuto e, dall’altro, non considera affatto la specifica decisione dei giudici di rinvio, come sopra evidenziata.

Parimenti, poi, con riferimento al secondo motivo, la ricorrente si limita a chiedere genericamente a questa Corte di accertare se vi sia stata omessa o insufficiente motivazione, senza specificare in alcun modo gli elementi di fatto che sarebbero stati trascurati, del pari, peraltro, richiamando semplicemente una non meglio precisata “documentazione prodotta”.

Il ricorso va, pertanto dichiarato inammissibile e la ricorrente, in ragione della soccombenza va condannata al pagamento delle spese, in favore dello Z..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare al controricorrente le spese liquidate in Euro 20,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2011

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