Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17408 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 17/06/2021, (ud. 16/03/2021, dep. 17/06/2021), n.17408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19861/2018 proposto da:

F.M., nato a (OMISSIS), e residente in (OMISSIS), loc.

(OMISSIS) snc, (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza

di procura speciale rilasciata in calce al ricorso, dall’Avv. Marina

Martinelli del Foro di Lucca (C.F.: MRTMRC72M11E7150);

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CAPOLIVERI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2638/2017 emessa dalla CTR Toscana in data

20/12/2017 e non notificata;

udita la relazione della causa svota dal Consigliere Dott. Andrea

Penta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

F.M. ricorreva contro avvisi di accertamento ICI ed IMU emessi dal Comune di Capoliveri per gli esercizi 2011-2012-2013-2014 per infedele dichiarazione e omesso/insufficiente versamento, scaturito dal disconoscimento delle agevolazioni abitazione principale per l’unità immobiliare di sua proprietà dove egli aveva la residenza, in virtù del fatto che il coniuge non separato e le figlie del contribuente dimoravano ed avevano residenza altrove.

Il ricorrente eccepiva che:

– nel 2012 egli aveva stabilito la propria residenza nell’immobile e i consumi di energia elettrica provavano l’utilizzo come dimora abituale;

– la separazione dal coniuge non era stata formalizzata solo per motivazioni riconducibili alla serenità dei rapporti con le figlie;

– in ogni caso il versamento di quanto dovuto per il 2011 era stato regolarmente effettuato come quietanze F24 prodotte agli atti.

Il Comune di Capoliveri non si costituiva in giudizio.

La CTR, con sentenza n. 416/2016, accoglieva il ricorso limitatamente alla pretesa ICI per l’anno 2011, annullata in considerazione dell’avvenuto pagamento dell’imposta dovuta, e rigettava, invece, il ricorso per IMU 2012-2013-2014, ritenendolo non meritevole di accoglimento nel merito della spettanza dell’agevolazione abitazione principale. Più precisamente, il giudice di primo grado escludeva la spettanza del diritto all’agevolazione in virtù della circostanza che il coniuge non legalmente separato e/o divorziato e gli altri componenti del nucleo avevano la loro dimora abituale e risiedevano anagraficamente altrove.

Il contribuente proponeva appello, ritenendo la sentenza illegittima. In particolare, oltre a ribadire quanto espresso nel ricorso iniziale, lamentava soprattutto la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, e artt. 143,144 e 147 c.c., vista:

da una parte, la dimostrazione della frattura del rapporto coniugale e della convivenza familiare, a prescindere dalla sua formalizzazione legale; dall’altra, l’illegittimo disconoscimento della facoltà, attribuita dalla legge, di richiedere l’agevolazione per l’abitazione principale anche ai coniugi che risiedono in due immobili diversi situati distinti.

Il Comune di Capoliveri si costituiva in giudizio deducendo l’infondatezza ed illegittimità dell’appello.

Con sentenza del 20.12.2017, la CTR Toscana rigettava l’appello sulla

base delle seguenti considerazioni:

1) il principio espresso a partire dal D.L. n. 504 del 1992, art. 8, e poi dal D.L. n. 201 del 2011, art. 13, stabilisce che, ai fini della spettanza e della fruizione delle agevolazioni IMU per l’abitazione principale, vi debba essere nell’unità immobiliare non solo la dimora abituale del contribuente, ma anche quella dei suoi familiari;

2) la legge pone poi la presunzione secondo cui la dimora abituale coincide con la residenza anagrafica, fermo restando tuttavia che è ammessa la prova contraria, dimostrando che la dimora abituale è collocata in immobile diverso da quello di residenza;

3) in ogni caso, ad ogni nucleo familiare spetta una sola agevolazione abitazione principale, in considerazione dell’unica dimora dello stesso;

4) il legislatore ha previsto che solo in caso di separazione o divorzio i familiari del contribuente possano dimorare in un diverso immobile senza che ciò pregiudichi la spettanza delle agevolazioni IMU sull’abitazione principale del contribuente, ma ciò purchè la separazione o il divorzio siano comprovati legalmente.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso F.M., sulla base di un unico motivo.

Il Comune di (OMISSIS) non ha svolto difese.

In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione ed errata applicazione del D.L. n. 201 del 2011, art. 13, e artt. 143,144 e 147 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per non aver la CTR considerato che, nel caso in cui gli immobili siano situati in comuni diversi, i coniugi possono usufruire della detrazione prevista per l’abitazione principale.

1.1. Il motivo è infondato, pur rendendosi necessaria la correzione della motivazione della sentenza impugnata.

Ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 2, così come modificato della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 173, lett. b), con decorrenza dal 1 gennaio 2007, perchè potesse farsi luogo alla detrazione d’imposta, occorreva che l’unità immobiliare fosse adibita ad abitazione principale del soggetto passivo “intendendosi per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica”. Si precisava, nell’ultimo periodo del citato art. 8, che “per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente (…) e i suoi familiari dimorano abitualmente”.

In base al D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, (applicabile, nel caso di specie, alle annualità 2012, 2013 e 2014), “L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. (…) L’imposta municipale propria ha per presupposto il possesso di immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, ivi comprese l’abitazione principale e le pertinenze della stessa. Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. (la sottolineatura è dello scrivente) (…)”.

Ciò comporta la necessità che, in riferimento alla stessa unità immobiliare, tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare dimorino ivi stabilmente e vi risiedano anagraficamente.

Con il D.L. n. 16 del 2012, art. 4, comma 5, (applicabile, nel caso di specie, alle annualità 2013 e 2014), al comma 2, secondo periodo,

dell’art. 13, le parole: “dimora abitualmente e risiede anagraficamente” sono state sostituite dalle seguenti: “e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile” (la sottolineatura è dello scrivente).

1.2. Dalla lettura delle norme emerge, innanzitutto, che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto, a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto. In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita. Pertanto, il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni IMU per questa previste; le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale, con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati.

Il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.

L’altro aspetto di novità consiste nel fatto che per abitazione principale si deve intendere l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. In altri termini, il legislatore ha innanzitutto voluto collegare i benefici dell’abitazione principale e delle sue pertinenze al possessore e al suo nucleo familiare e, in secondo luogo, ha voluto unificare il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale, individuando come abitazione principale solo l’immobile in cui le condizioni previste dalla norma sussistono contemporaneamente, ponendo fine alle problematiche applicative che sulla questione avevano interessato l’ICI.

Su una questione simile si è già pronunciata questa Sezione (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 4166 del 19/02/2020; conf. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20130 del 2020, non massimata), affermando il principio per cui, in tema di IMU, l’esenzione prevista per la casa principale dal D.L. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, richiede non soltanto che il possessore e il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma altresì che vi risiedano anagraficamente. In quest’ottica, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che l’immobile della ricorrente potesse ritenersi abitazione principale, dato che il marito, non legalmente separato, aveva la residenza e la dimora abituale in un altro Comune.

Ciò comporta, la necessità che, in riferimento alla stessa unità immobiliare, tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente, ma vi risiedano anche anagraficamente (come definitivamente chiarito dalla L. n. 160 del 2019, art. 1, comma 741, lett. b), primo e secondo periodo).

Si è assistito, pertanto, sul punto, ad un chiaro cambiamento di rotta rispetto al passato, tenuto conto che in precedenza, nel caso in cui il soggetto passivo dell’ICI fosse coniugato, ai fini della spettanza delle detrazioni e riduzioni dell’imposta previste per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, non bastava (e, al tempo stesso, non era necessario) che il coniuge avesse trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile era situato, ma occorreva (e, al tempo stesso, era sufficiente) che in tale immobile si fosse realizzata la coabitazione dei coniugi, atteso che, considerato che l’art. 144 c.c., prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assumeva rilevanza, per beneficiare delle dette agevolazioni, non era la residenza dei singoli coniugi, bensì quella della famiglia (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18096 del 05/07/2019).

Ai fini della detrazione ICI prevista per l’abitazione principale (per tale intendendosi, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica) dal D.Lgs. n. 504 de 1992, art. 8, il contribuente, il quale avesse dimorato in un immobile di cui era proprietario (o titolare di altro diritto reale), doveva (e deve tuttora), quindi, provare che esso costituisse dimora abituale non solo propria, ma anche dei suoi familiari (Sez. 5, Ordinanza n. 15439 del 07/06/2019), non potendo sorgere il diritto alla detrazione ove tale requisito fosse stato riscontrabile solo per il medesimo (in applicazione di tale principio, Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15444 del 21/06/2017, ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la detrazione sulla base dell’accertamento che l’immobile de quo costituisse dimora abituale del solo ricorrente e non della di lui moglie) e invece fosse mancato nei familiari (Sez. 5, Sentenza n. 14389 del 15/06/2010).

A tal fine per “abitazione principale” non doveva, quindi, necessariamente intendersi quella di residenza anagrafica, atteso che la norma introduceva una presunzione relativa che poteva essere superata dal contribuente mediante la prova contraria circa l’effettivo utilizzo quale dimora abituale del nucleo familiare, anche per un periodo di tempo limitato, di altro immobile non coincidente con quello di residenza (Sez. 5, Ordinanza n. 13062 del 24/05/2017; coni. Sez. 5, Ordinanza n. 6845 del 08/03/2019). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa, ma sulla base di principi applicabili anche nel presente caso, il requisito della residenza nel comune in cui è ubicato l’immobile doveva, pertanto, essere riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rilevava era che l’immobile acquistato fosse destinato a residenza familiare, mentre non assumeva rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non avesse la residenza anagrafica in tale comune (cfr. Cass. n. 2109/2009; conf. Cass. n. 16355/2013, 25889/2015, 16604/2018). Non rilevava la diversa residenza di uno dei due coniugi che avessero acquistato in regime di comunione, essendo essi tenuti non ad una comune sede anagrafica, ma alla coabitazione (cfr. Cass. n. 13335/2016), e considerato che l’art. 144 c.c., prevede che i coniugi possano avere delle esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove la residenza della famiglia.

1.3. La disposizione in commento precisa, inoltre, che, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, l’aliquota e la detrazione per l’abitazione principale e per le relative pertinenze devono essere uniche per nucleo familiare, indipendentemente dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti (nel senso che solo uno degli immobili può beneficiare delle agevolazioni per l’abitazione principale). Lo scopo di tale norma è quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, e, quindi, la norma deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto per impedire che, nel caso in cui i coniugi stabiliscano la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale e per le relative pertinenze. In particolare, la ratio della previsione normativa è quella di impedire un uso strumentale, non essendo ipotizzabile che due coniugi, a meno che non siano separati di fatto, risiedano e dimorino abitualmente in due appartamenti situati nel medesimo comune. In simile evenienza solo uno dei due immobili beneficerà dell’esenzione e, precisamente, quello che rappresenterà l’abitazione principale del nucleo familiare. Se, ad esempio, nell’immobile in comproprietà fra i coniugi, destinato all’abitazione principale, risiede e dimora solo uno dei coniugi – non legalmente separati -, poichè l’altro risiede e dimora in un diverso immobile, situato nello stesso comune, l’agevolazione non viene totalmente persa, ma spetta solo ad uno dei due coniugi. Nell’ipotesi in cui sia un figlio a dimorare e risiedere anagraficamente in altro immobile ubicato nello stesso comune, e, quindi, costituisce un nuovo nucleo familiare, il genitore perde solo l’eventuale maggiorazione della detrazione.

1.4. Non risulta, invece, espressamente disciplinato il caso (che coincide con quello in esame) in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati in differenti comuni.

In base alla Circolare Ministeriale 3 D del 2012 (la quale, peraltro, in materia tributaria non costituisce fonte di diritti ed obblighi, non discendendo da essa alcun vincolo neanche per la stessa Amministrazione finanziaria che le ha emanate – cfr., in tal senso, Sez. 5, Sentenza n. 20819 del 30/09/2020 -, pur potendo contribuire, come dato fattuale concorrente con i dati linguistici del testo, ad orientarne l’esegesi nei limiti consentiti dal dettato normativo e dalle indicazioni della giurisprudenza – Sez. L, Sentenza n. 23960 del 24/11/2015 -), “Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poichè in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative”.

Orbene, occorre partire dalla premessa secondo cui, in ogni caso, la detrazione fiscale potrebbe riferirsi unicamente, e per intero, all’appartamento destinato in via principale a residenza familiare, non potendosi frazionare tra due appartamenti (che si troverebbero in rapporto di principalità/accessorietà-marginalità), uno dei quali, peraltro (quello sito nel Comune di (OMISSIS)), non viene neppure indicato come residenza familiare, sia pure a tempo parziale.

Invero, nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare. Ciò in applicazione della lettera e della ratio della norma, che è quella di impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale.

La nozione di abitazione principale postula, pertanto, l’unicità dell’immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicchè non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune o di Comuni diversi.

1.5. Tale fattispecie non va confusa con quella, del tutto differente, in cui, invece, vi sia stata la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto.

Pertanto occorre distinguere l’ipotesi in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, da quella in cui risulti accertato che il trasferimento della dimora abituale di uno dei coniugi sia avvenuto “per la frattura del rapporto di convivenza”, cioè di una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale (per la differenziazione di tali ipotesi vedi Cass., sez. 6-5, 17/5/2018, n. 12050).

Nel primo caso, infatti, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare.

Ciò per impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per la abitazione principale.

Nel secondo caso, invece, la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l’abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale (vedi da ultimo Cass., Sez. 5, n. 15439/19).

Tuttavia, nel caso analizzato da Cass. n. 24294 del 3.11.2020, invocata dal ricorrente nella memoria illustrativa, questa Corte ha sì cassato la sentenza emessa dalla CTR nella parte in cui aveva ritenuto tout court esclusa l’agevolazione ICI per il solo fatto che i due coniugi vivessero in due abitazioni diverse, ma considerando che l’altro coniuge (rispetto a quello che risultava residente presso l’immobile de quo) non aveva beneficiato di tale agevolazione (avendo provveduto al pagamento dell’Ici il proprietario dell’immobile concessole in comodato), che la frattura del rapporto coniugale era sfociata dopo poco in una separazione formale e che il contribuente aveva sul punto articolato mezzi istruttori finalizzati a dimostrare la precedente separazione di fatto. Nulla di tutto ciò è, invece, avvenuto nella fattispecie in esame, in cui il ricorrente invoca l’aliquota ridotta e la detrazione prevista per l’abitazione principale a favore di entrambi i coniugi, ragion per cui la stessa va analizzata e decisa in base alle regole generali.

1.6. Non si può, ovviamente, dimenticare che l’agevolazione prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 2, per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale del soggetto passivo, proprio perchè trattasi di agevolazione, ha natura eccezionale, di talchè si impone una interpretazione rigorosa; le norme agevolative fiscali, infatti, sono di stretta interpretazione e, quindi, non estensibili ai casi non espressamente previsti, perchè costituiscono comunque deroga al principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost. (ex pluribus, Cass. n. 695 del 16/01/2015). L’interpretazione rigorosa, dunque, deve sorreggere anche quella relativa all’ultimo inciso del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 8, comma 2. Tuttavia, qui non si tratta di ricorrere ad un’applicazione analogica (recte, ad una interpretazione estensiva, ai sensi dell’art. 12 disp. att. c.c., comma 2, prima parte), della previsione introdotta dal D.L. n. 16 dei 2012, art. 4, comma 5, secondo cui le agevolazioni per l’abitazione principale “in relazione al nucleo familiare” si applicano per un solo immobile, ma di applicare i principi generali in precedenza enunciati.

Invero, non può escludersi che i due coniugi, ad esempio per motivi di lavoro, fissino in due differenti, e magari distanti, comuni la loro residenza e la loro dimora abituale. In siffatta evenienza (ed in assenza, ripetesi, di qualsivoglia deduzione e prova in ordine alla rottura del rapporto coniugale) dovrà accertarsi in quale di questi immobili si realizzi l’abitazione “principale” del nucleo familiare, riconoscendo l’esenzione solo allo stesso.

Non vanno, infatti, confusi i due concetti di “dimora abituale” e di “abitazione principale” (da individuarsi sulla base della coabitazione dei coniugi e della di loro famiglia), tenendo altresì presente che quest’ultimo sottintende una preponderanza della destinazione rispetto ad altre, pur possibili, soluzioni abitative. Ciò alla luce della regola di esperienza per cui per ogni nucleo familiare non può esservi che una sola abitazione principale.

Il concetto di “abitazione principale” resta quello consolidatosi all’esito dell’elaborazione giurisprudenziale (Cass. 24 aprile 2001, n. 6012, che richiama Cass. 5 maggio, 1999, n. 4492; 26 giugno 1992, n. 8019), secondo cui per residenza della famiglia deve intendersi il luogo (in relazione al quale, in particolare, deve realizzarsi, con gli adattamenti resi necessari dalle esigenze lavorative di ciascun coniuga, l’obbligo di convivenza posto dall’art. 143 c.c.), di ubicazione della casa coniugale, perchè questo luogo individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia.

Ovviamente, va ribadito che un’unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca la dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente ed invece difetti nei familiari (Cass., sez. 6-5, 21/06/2017, n. 15444, Rv. 645041-01; Cass., sez. 5, 15/06/2010, n. 14389, Rv. 613715 – 01).

In definitiva, l’abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato:

1) la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe);

2) la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell’anno).

La lettura offerta è anche costituzionalmente orientata, perchè, diversamente opinando, si realizzerebbe una frattura evidente dei principi costituzionali, sotto il profilo dell’uguaglianza e della capacità contributiva. Qualora, invece, come nel caso di specie, i coniugi non legalmente separati abbiano fissato la propria residenza anagrafica presso immobili localizzati in due comuni diversi, a voler aderire all’impostazione delle commissioni tributarie, nessuno dei due potrebbe fruire dell’esenzione IMU prevista per l’abitazione principale.

Sul punto va, pertanto, corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, la motivazione resa dalla CTR Toscana.

1.7. Peraltro, per quanto il MEF (con la circ. n. 3/df/2012), non escluda (con indicazione, ripetesi, non vincolante) che vi sia un’effettiva separazione della dimora (per cause reali, quali, ad es., motivi di lavoro), nel caso di specie, il ricorrente, sebbene abbia denunciato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non ha neppure indicato il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla CTR (si pensi ad una lettera del datore di lavoro di trasferimento della sede di lavoro).

Invero, il contribuente si è limitato a dedurre di risiedere anagraficamente nel Comune di (OMISSIS) (dato puramente formale) e di essere di fatto separato dal coniuge (situazione che in ogni momento può cessare senza formalità di sorta). Alcunchè ha, invece, allegato in ordine all’attività lavorativa esercitata nè in merito a qualche vincolo oggettivo che leghi uno dei coniugi ad un determinato luogo.

Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, – il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018).

Fermo restando che l’onere della prova dei presupposti della agevolazione è a carico del contribuente, non risulta dedotto il vizio di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo), non avendo parte ricorrente indicato – come era suo onere – il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” (testuale o extratestuale) da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti nonchè la sua “decisività”; senza tralasciare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.

Nessuna pronuncia va adottata in ordine alle spese del presente grado di giudizio, non avendo l’intimato svolto difese.

Ricorrono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, tenutasi con modalità da remoto, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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