Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17406 del 28/06/2019

Cassazione civile sez. III, 28/06/2019, (ud. 13/02/2019, dep. 28/06/2019), n.17406

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19106-2017 proposto da:

GE.MED. SRL, in persona dell’amministratore p.t. Dott.

P.C., domiciliata ex lege in ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato CONCETTA SAETTA giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S.L. NAPOLI (OMISSIS) CENTRO, in persona del Direttore Generale

Legale Rappresentante p.t. Dott. F.M., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA AMITERNO 3, presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNA BATTISTA BUONAVOGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato

AUGUSTO CHIOSI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2606/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/02/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato 116/10/017 per via telematica GE.MED s.r.l. ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 2606/2016 pubblicata il 28/06/2016 dalla Corte d’appello di Napoli, affidato a due motivi. La parte intimata, ASL Napoli (OMISSIS) Centro, ha notificato controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Considerato che:

1. Con il primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la società ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697 e 1326 c.c.; violazione dell’art. 112,115,116 c.p.c., D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 e art. 132 c.p.c., n. 3 e art. 118 disp. att. c.p.c., per dedurre che la Corte d’appello, nel ritenere mancante la prova del contratto stipulato con la ASL, non ha valutato adeguatamente che la società era stata accreditata e vi era in atti la ricevuta di sottoscrizione del contratto a firma del referente dell’unità operativa dell’Assistenza sanitaria e che il contratto era stato stipulato per adesione, in quanto il proponente non consente che il destinatario della proposta suggerisca modifiche.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Nell’occuparsi del nuovo regime dell’accreditamento, di cui al D.Lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, come integrato dalla L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 6, e successive modificazioni, sia pure ai fini della soluzione di una questione di giurisdizione, le sezioni unite di questa Corte hanno escluso che il passaggio dal regime di convenzionamento esterno a quello basato sull’accreditamento abbia modificato la natura del rapporto esistente tra l’amministrazione e le strutture private, segnatamente evidenziando che esso era e resta di natura sostanzialmente concessoria, con l’unica particolarità che nel nuovo assetto si è in presenza di concessioni ex lege di attività di servizio pubblico, fermo e incondizionato, peraltro, sia il potere di programmazione delle regioni, sia il potere di vigilanza e di controllo delle stesse sull’espletamento delle attività oggetto di concessione da parte delle istituzioni sanitarie private (cfr. Cass. civ.. Sez. Un., 8 luglio 2005, n. 14335). E’ altrettanto significativo che la L. 22 dicembre 1994, n. 724, art. 6,comma 6, riconosca alle strutture in possesso dei requisiti previsti dalla normativa vigente e che accettino il sistema della remunerazione a prestazione, il diritto all’accreditamento, con ciò stesso escludendo che questo possa ritenersi operante tout court, al di fuori di qualsivoglia atto amministrativo. In realtà, la scelta dei destinatari dei provvedimenti di accreditamento deve avvenire previa verifica della rispondenza delle strutture che ne facciano domanda ai requisiti qualitativi previamente stabiliti dalle Regioni, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8,commi 4 e 7, e successive modificazioni ed integrazioni, nonchè nel rispetto dei limiti quantitativi determinati sulla base delle risorse finanziarie e del fabbisogno territoriale di assistenza sanitaria. L’esigenza di contemperare gli obiettivi di liberalizzazione con la necessità di blindare la spesa pubblica nel settore sanitario, che è alla base delle perduranti rigidità del sistema, trova peraltro un’ulteriore conferma nel disposto del D.P.R. 14 gennaio 1997, n. 37, art. 2, comma 7, a tenore del quale la qualità di soggetto accreditato non costituisce vincolo per le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale a corrispondere la remunerazione delle prestazioni erogate, al di fuori degli appositi rapporti di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, commi 5 e 7 e successive modificazioni ed integrazioni, nell’ambito del livello di spesa annualmente definito.

1.3. In definitiva, nessuna erogazione di prestazione sanitaria, pur se finanziariamente coperta dalla mano pubblica, è possibile non solo ove non sussista un provvedimento amministrativo di competenza regionale che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato, ma anche qualora il rapporto con i soggetti privati accreditati non si basi su specifici rapporti contrattuali stipulati dalla pubblica amministrazione. Tali requisiti operano congiuntamente, e la mancanza dell’uno o dell’altro è in grado di inficiare il rapporto intervenuto con la pubblica amministrazione.

1.4. Nel caso in esame la Corte ha ritenuto che sia mancata la prova, non tanto dell’accreditamento, ma del contratto – in forma di convenzione stipulato dalla società con la pubblica amministrazione, e ciò in ragione del fatto che grava sul creditore, ai sensi dell’art. 2697 c.c., l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa. All’uopo, non è sufficiente che la ricevuta di ritiro della copia del contratto non sia stata adeguatamente contestata dalla parte in sede di opposizione a decreto ingiuntivo. Il principio, sancito dall’art. 115 c.p.c., comma 1, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam”, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto per via documentale, non risultando sufficienti nè la prova testimoniale o per presunzioni, nè la stessa confessione della controparte (Sez. 1 – , Ordinanza n. 25999 del 17/10/2018; Sez. U, Sentenza n. 14335 del 08/07/2005).

1.5. Più in generale, la prova della stipula della convenzione con un ente pubblico non può essere desunta da atti diversi da quello previsto o equipollenti. La ragione sottostante all’obbligo di forma prescritto dalla legge per i contratti con la pubblica amministrazione è che esso vale come strumento di garanzia nell’interesse del cittadino, costituendo remora ad arbitrii, ed agevola l’espletamento della funzione di controllo (Sez. 1, Sentenza n. 24679 del 04/11/2013). La convenzione de qua, pertanto, deve tradursi, a pena di nullità, in un apposito documento, recante la sottoscrizione del soggetto privato e dell’organo titolare del potere di trasferire sul privato accreditato la rappresentanza dell’ente nei confronti dei terzi, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo, altresì, escludersi la possibilità di conclusione per corrispondenza, occorrendo che la pattuizione sia versata in un unico atto contestuale, anche se non sottoscritto contemporaneamente dalle parti (Sez. 1, Sentenza n. 1614 del 22/01/2009; Sez. 1, Sentenza n. 24679 del 04/11/2013; Sez. 1, Sentenza n. 13506 del 13/06/2014). Peraltro, la questione è stata posta nei suddetti termini a motivo dell’impugnazione della ASL, convenuta sostanziale del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, e pertanto non sussiste neanche il vizio di extra petita o motivazionale dedotto dalla ricorrente.

2. Con il secondo motivo si denuncia ex art. 360 c.p.c., n. 3 violazione del principio della regressione tariffaria del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 8 quater e quinquies in relazione all’art. 2967 c.c. e dell’art. 132 c.p.c. in quanto la Corte d’appello avrebbe altresì ritenuto che la pretesa superasse il tetto di spesa, nonostante tale determinazione fosse stata comunicata tardivamente, a prestazioni già rese.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. La Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto assorbiti i motivi di appello che concernono il merito del rapporto intercorso tra le parti e presuppongono l’esistenza di una valida convenzione scritta, ritenuta invece non provata, spingendosi poi a considerarne anche l’infondatezza. Quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni poste a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; Sez. 3, Sentenza n. 12372 del 2006).

3. Conclusivamente il ricorso va rigettato, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5.200,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato paria quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2019

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