Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17405 del 19/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/08/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 19/08/2011), n.17405

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAURA

MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE LAURETIS VINCENZO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 515/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/08/2006 R.G.N 540/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato DE LAURETIS VINCENZO;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega GENTILE GIOVANNI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata, accogliendo parzialmente l’appello di O.E. avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. 1740 del 25 marzo 2003, condanna Poste Italiane s.p.a. a corrispondere all’appellante la retribuzione maturata sino al 26 novembre 2002, con gli accessori di legge e per il resto conferma la sentenza di primo grado.

La Corte d’appello dell’Aquila precisa che:

a) si controverte di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e la società datrice di lavoro ha assolto l’onere probatorio a suo carico, ai sensi della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5 di dimostrare la sussistenza di un giustificato motivo di licenziamento;

b) invero, il lavoratore non contesta che il licenziamento è stato irrogato per “comportamenti aggressivi fino al limite dell’ingiuria” posti in essere nei confronti di superiori e colleghi di lavoro;

c) neppure contesta che tale condotta astrattamente è idonea a giustificare il licenziamento;

d) il lavoratore deduce soltanto che quando ha commesso i suddetti comportamenti si trovava, senza colpa, in una condizione patologica di “abnorme reattività nei confronti di situazioni e sollecitazioni idonee a provocare le sue reazioni ansiose”;

e) conseguentemente, non essendovi colpa, non poteva parlarsi di giustificato motivo soggettivo e, pertanto, il licenziamento è illegittimo perchè mal motivato;

1) tale assunto non è condivisibile in quanto, pur potendosi definire “soggettivo” il suddetto motivo per il fatto di essere inerente alle condizioni di salute psichica del lavoratore, tuttavia poichè lo stesso O. deduce di essersi trovato, all’epoca, in una condizione patologica grave e cronica, deve ritenersi sussistente non un motivo soggettivo, ma un motivo oggettivo. essendo oggettiva la condizione di malattia;

g) comunque, ciò che conta non è la definizione, ma la situazione accertata che è quella di essere affetto da una grave malattia psichica di durata indefinita con manifestazioni tali da rendere impossibile lo svolgimento “al livello accettabile dal datore di lavoro” delle mansioni del dipendente, per periodi prolungati “vicini al limite del comporto” e senza previsione di miglioramenti in tempi ragionevoli;

h) l’unico profilo idoneo a dare supporto alla tesi del lavoratore è rappresentato dall’assunto secondo cui il “disagio psichico” sarebbe stato aggravato dai provvedimenti disciplinari adottati nei suoi confronti che integrerebbero un “atteggiamento persecutorio” del datore di lavoro;

i) tuttavia, non vi sono elementi da cui desumere che le reazioni del datore di lavoro siano state causa sufficiente della malattia del dipendente, anzichè effetto della stessa e neppure per escludere che l’oggettiva inidoneità allo svolgimento dell’attività lavorativa sia addebitabile anzichè alla malattia ad un illegittimo comportamento del datore di lavoro;

j) conseguentemente, non assume rilievo l’esistenza di profili di illegittimità nella condotta datoriale, visto che deve comunque ritenersi sussistere un giustificato motivo di licenziamento, da riferire alla condizione patologica del lavoratore;

k) infatti, si deve sottolineare che “il licenziamento non deve essere valutato come una sanzione, meritata o immeritata del lavoratore”, nè ha rilievo la sussistenza o meno della capacità di intendere e di volere e della colpa, ciò che conta è esclusivamente la sussistenza delle condizioni che all’epoca giustificassero la risoluzione del rapporto di lavoro;

l) nel caso in esame la giustificazione sussisteva e quindi il licenziamento è legittimo;

m) peraltro, non essendo stato il licenziamento irrogato “per giusta causa” e quindi “in tronco”, ma per giustificato motivo, i relativi effetti decorrono dal termine del periodo di sospensione del rapporto per malattia e, quindi, sul punto l’appello va accolto.

2.- Il ricorso di O.E. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi; resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a.

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi del ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o, in subordine, falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 428 e 2697 cod. civ. nonchè della L. n. 604 del 1966, art. 5.

Si sottolinea che la Corte d’appello ha ex officio operato il mutamento del titolo del licenziamento da giustificato motivo soggettivo a giustificato motivo oggettivo e quindi ha ritenuto erroneamente soddisfatto l’onere della prova relativo alla legittimità del recesso, incombente sulla datrice di lavoro, senza dare rilievo la situazione di incapacità naturale in cui si trovava il lavoratore, pur riconosciuta dalla stessa Corte d’appello.

Tale riconoscimento avrebbe dovuto indurre a porre a carico dell’azienda – che ha contestato un licenziamento disciplinare – l’onere di provare che i comportamenti addebitati all’ O. sono stati posti in essere in momenti di “lucido intervallo” e quindi consapevolmente.

2- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3:

a) falsa applicazione o, in subordine, violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3;

b) falsa applicazione o, in subordine, violazione degli artt. 52, 54, 68, lettera e, e 69 del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 per i dipendenti di Poste Italiane s.p.a.;

c) violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè dell’art. 112 cod. proc. civ. Si rileva al riguardo (attraverso la formulazione di plurimi quesiti) che:

a) rappresenta violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 convenire ex officio un licenziamento irrogato per giustificato motivo soggettivo, a seguito di procedimento disciplinare nel quale sono state ritualmente contestate mancanze rilevanti sotto il profilo dell’elemento intenzionale, in un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, i cui presupposti non sono mai stati dedotti dal datore di lavoro nè nel procedimento disciplinare nè nel corso del giudizio;

b) costituisce violazione dell’art. 68, lett. e, e dell’art. 69 del suindicato contratto collettivo applicare l’istituto del licenziamento per giustificato motivo soggettivo anche all’ipotesi di malattia che renda impossibile al dipendente di eseguire la prestazione lavorativa, visto che a tale ipotesi deve, invece, applicarsi la disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, di cui alla seconda parte della L. n. 604 del 1966, art. 3;

c) si pone in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., con la L. n. 300 del 1970, art. 7 e con l’art. 112 cod. proc. civ. effettuare ex officio il suddetto mutamento del titolo del licenziamento, senza che l’interessato abbia avuto modo di articolare le sue difese al riguardo (nè in sede disciplinare nè in sede giudiziaria).

3.- Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione o, in subordine, falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 112, 116 e 416 cod. proc. civ. nonchè art. 2697 cod. civ. Si sostiene che la Corte d’appello dell’Aquila, operando la conversione del licenziamento in oggetto, ha attribuito al provvedimento espulsivo un contenuto e una natura diversi rispetto a quelli sui quali le parti si erano confrontate e così ha violato il principio dispositivo e i termini di preclusione previsti dalle suindicate disposizioni al fine di impedire la modifica del thema decidendum e, conseguentemente, del thema probandum.

4.- Con il quarto motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia.

Si sottolinea che la Corte d’appello, con una motivazione contraddittoria, ha esordito affermando la natura disciplinare del licenziamento, ha dato poi atto della natura della malattia dell’ O., ma poi ha soggiunto che il licenziamento non deve essere valutato come sanzione ed è quindi pervenuta ad affermare la legittimità del licenziamento stesso, attraverso un procedimento logico-giuridico poco comprensibile.

Inoltre, la Corte stessa ha del tutto omesso di considerare l’aspetto della persecuzione come fonte di provocazione del disagio e causa scatenante delle patologie sofferte dal lavoratore, nonostante le numerose dichiarazioni testimoniali dei colleghi dell’ O. e l’articolata relazione medica presente in atti.

5.- Da ultimo il ricorrente precisa che, pur essendo andato in pensione dal 1 aprile 2004, continua ad avere interesse al ricorso per la parte riguardante l’illegittimità del licenziamento e il conseguente risarcimento del danno commisurato alle mensilità maturate dalla data di cessazione della malattia (26 novembre 2002), cui la sentenza di appello ha ricondotto la decorrenza del provvedimento espulsivo, fino alla suindicata data di decorrenza del trattamento pensionistico, con i ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità e il ricalcolo del TFR. Nella memoria il ricorrente fa presente di non potersi più avvalere del beneficio del patrocinio a spese dello Stato e chiede, pertanto, la revoca del provvedimento di preventiva ammissione.

2 – Esame dei motivi del ricorso.

6.- Le censure – da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione – sono fondate.

6.1.- In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) in linea generale, in materia di licenziamento vige il principio dell’immutabilità della causa del licenziamento, che preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati;

b) il suddetto principio comporta che il recesso del datore di lavoro non possa fondarsi su fatti diversi da quelli addotti a motivazione del licenziamento stesso, quale enunciata all’atto della sua intimazione, ancorchè sia consentita la sostituzione dell’intimazione originaria con un’altra successiva fondata su una diversa causa, nonchè la diversa qualificazione giuridica della prima. Consegue che il licenziamento, intimato per eccessiva morbilità, non può essere giudizialmente dichiarato legittimo per la sopravvenuta inidoneità fisico-psichica del lavoratore a svolgere le sue mansioni, che non sia stata enunciata nell’intimazione del licenziamento, nè in altra successiva vedi, per tutte: Cass. 30 maggio 1989, n. 2590 e Cass. 19 gennaio 2011, n. 1145);

c) il principio dell’immutabilità della causa di licenziamento comporta che il recesso del datore di lavoro non possa fondarsi su fatti diversi da quelli addotti a motivazione del licenziamento stesso; ne consegue che un licenziamento intimato (esclusivamente) per superamento del periodo di comporto non può essere giudizialmente dichiarato legittimo in relazione ad una ipotizzabile (o anche effettivamente sopravvenuta) inidoneità psico-fisica del lavoratore a svolgere le mansioni affidategli (vedi, per tutte: 18 febbraio 1997, n. 1458);

d) la sopravvenuta inidoneità fisica o psichica del lavoratore, a causa di malattia, anche se non è stato superato il periodo di comporto, giustifica la risoluzione del rapporto di lavoro, costituendo un caso di giustificato motivo oggettivo di licenziamento, purchè la sopravvenuta incapacità fisica abbia carattere definitivo e manchi un apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future prestazioni lavorative (ridotte) del dipendente,senza che necessitino modifiche dell’assetto aziendale (Cass. 14 dicembre 1999, n. 14065; Cass. 7 gennaio 2005, n. 239;

Cass. 20 aprile 1998, n. 4012; Cass. 28 marzo 2003, n. 4774).

6.2.- Nella specie, la sentenza impugnata si è del tutto discostata dai suddetti principi, in particolare confondendo tra licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo (entrambi rientranti nella categoria del licenziamento disciplinare, sia pure a diverso titolo) e quello per giustificato motivo oggettivo, invece assimilabile al licenziamento per superamento del periodo di comporto e, come tale, di natura profondamente diversa rispetto al licenziamento disciplinare (arg. ex Cass. 25 novembre 2010, n. 23920).

Tale osservazione è assorbente rispetto a tutte le censure avanzate dal ricorrente, visto che l’intero ragionamento sviluppato nella sentenza stessa muove dalla erronea premessa della possibilità per il giudice di qualificare in termini di licenziamento per giustificato motivo oggettivo un recesso contestato come recesso disciplinare.

Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per un nuovo esame della causa, alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche alle spese del presente giudizio di legittimità e ad esaminare la richiesta di revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio, avanzata dal ricorrente.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2011

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