Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17404 del 29/08/2016


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Cassazione civile sez. lav., 29/08/2016, (ud. 10/06/2016, dep. 29/08/2016), n.17404

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22002/2010 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, EMANUELE DE ROSE, VINCENZO STUMPO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

B.G. C.F. (OMISSIS);

Nonchè da:

B.G. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA TRIONFALE 81, presso lo studio dell’avvocato MARIO DE CAPRIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI PAGANUZZI, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati

ANTONIETTA CORETTI, EMANUELE DE ROSE, VINCENZO STUMPO, giusta delega

in calce al controricorso e ricorso incidentale notificato;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 541/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/07/2010 R.G.N. 1015/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato STUMPO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso principale e rigetto ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. B.G. chiese al Tribunale di Lodi che l’Inps fosse condannato a pagargli l’indennità di mobilità dal 1 gennaio 2006, ingiustamente negatagli in sede amministrativa.

2. Il Tribunale ritenne la domanda fondata solo in parte, a far tempo dal 10 aprile 2006, sul rilievo che il ricorrente aveva presentato la domanda oltre il termine di legge, così incorrendo nella decadenza la quale tuttavia non involgeva il diritto alla prestazione ma solo quello al pagamento dei ratei maturati dalla data del licenziamento fino alla domanda.

3. La sentenza fu impugnata dall’Inps e, in via incidentale, anche dal B. e la Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 5 luglio 2010, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, – dopo aver rigettato l’eccezione di improcedibilità dell’appello per il mancato rispetto del termine di dieci previsto dall’art. 435 c.p.c., comma 2, per la notifica del ricorso In appello e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione -, ha riconosciuto il diritto del lavoratore di percepire, così come richiesto, l’indennità di mobilità dal 1/1/2006 e ha condannato l’Inps al pagamento dei ratei arretrati, oltre agli interessi dalle singole scadenze al saldo.

4. A fondamento del decisum – e per quanto qui ancora rileva – la Corte territoriale ha ritenuto che la decorrenza del termine per proporre la domanda di corresponsione dell’indennità di disoccupazione (di sessanta giorni dall’inizio della disoccupazione indennizzabile, ovvero dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto) dovesse ritenersi differita alla fine dello stato di malattia del lavoratore, comprovato in giudizio dalla documentazione sanitaria, stato che aveva impedito al lavoratore di provvedere ai propri interessi, impedendo altresì il decorso della decadenza, con la conseguenza che la domanda amministrativa proposta il 10 aprile 2006 doveva ritenersi tempestiva.

5. Avverso l’anzidetta sentenza, l’Inps ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo, illustrato da memoria. L’intimato ha resistito con controricorso e ha spiegato ricorso Incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1827 del 1935, convertito con modificazioni nella L. n. 1155 del 1936, artt. 73 e 77, art. 129, comma 5, art. 2964 c.c., e L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 12. Assume l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il termine per la presentazione della domanda di indennità di mobilità non avrebbe iniziato a decorrere dopo l’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro a causa dello stato di salute del lavoratore, tale da provocare “difficoltà di rilievo sul piano comportamentale e delle normali abilità, tali da impedirgli di provvedere ai propri interessi”. Ribadisce che in relazione alla natura di decadenza del termine previsto dall’art. 129 del R.D.L. citato, In caso di tardiva presentazione della domanda in esame il cattivo stato di salute del lavoratore non può costituire una giustificazione per una rimessione in termini nè può costituire un impedimento al compimento dell’atto.

2. Il ricorso incidentale del B. è fondato su due motivi. Con il primo si censura la sentenza per violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 2, assumendo l’improcedibilità dell’appello in quanto notificato oltre il termine di 10 giorni dal deposito del decreto di fissazione dell’udienza dl discussione; con il secondo motivo, in via subordinata, richiede la conferma della sentenza del Tribunale di Lodi che aveva ritenuto sussistente la decadenza limitatamente ai ratei di indennità di mobilità fino alla data della presentazione tardiva della domanda, riconoscendo invece la prestazione a decorrere dal 10/4/2006.

3. Appare preliminare, per il suo carattere potenzialmente assorbente, l’esame del primo motivo del ricorso incidentale. Esso è infondato alla luce del principio pacificamente posto da questa Corte secondo cui l’inosservanza del termine di dieci giorni dal deposito del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza di discussione, entro il quale l’appellante deve provvedere, nel rito del lavoro, a notificare il ricorso e il decreto stesso all’appellato, ai sensi dell’art. 435 c.p.c., comma 2, non è causa d’improcedibilità dell’appello, purchè sia rispettato il termine dilatorio tra la detta notificazione e l’udienza di discussione, prescritto dal comma successivo. Infatti, la detta inosservanza non lede alcun interesse di ordine pubblico processuale, nè alcun interesse dell’appellato (Cass., ord., 16 ottobre 2013, n. 23426; Cass., 29 febbraio 2016, n. 3959; v. pure Corte Cost. che, con ordinanza n. 60 del 24 febbraio 2010, ha dichiarato manifestamente Infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c., comma 2, sollevata con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost.).

4. E’ pacifico tra le parti ed è comunque dato per Incontestato nei giudizi di merito che: a) il rapporto di lavoro del B. è cessato il 31/12/2005; b) la documentazione sanitaria riguarda il periodo che va dal febbraio 2006 fino al 9/4/2006; d) la domanda amministrativa relativa all’indennità di disoccupazione è stata presentata il 10/4/2006.

5. Le disposizioni normative rilevanti ai fini del decidere dispongono quanto segue: il R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 73, comma 2, convertito con modificazioni nella L. n. 1155 del 1936, prevede che “L’indennità di disoccupazione è corrisposta a decorrere dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione dal lavoro”.

Il successivo art. 77, comma 1, dispone che “Per conseguire il diritto all’indennità di disoccupazione, il disoccupato deve farne domanda nei modi e termini stabiliti dal regolamento”; il successivo art. 129, comma 5, prevede che “Cessa il diritto nell’assicurato di essere ammesso al godimento dell’indennità di disoccupazione (…) qualora siano decorsi sessanta giorni da quello d’inizio della disoccupazione indennizzabile (…) senza che l’assicurato medesimo abbia avanzata domanda di ammissione al pagamento dell’indennità”.

6. Le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 17389 del 06/12/2002, hanno affermato che “L’indennità di mobilità, di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, costituisce un trattamento di disoccupazione che ha la sua fonte nella legge, ma non sorge nel lavoratore in via automatica, presupponendo, come tutti i trattamenti previdenziali, la presentazione di una domanda all’INPS – che non potrebbe altrimenti attivarsi non conoscendo le relative condizioni entro i termini di decadenza stabiliti dalla normativa in materia di disoccupazione involontaria, applicabile per l’indennità di mobilità in virtù dello specifico richiamo operato nel comma dodicesimo del citato art. 7 (sì che tale normativa deve considerarsi inserita a tutti gli effetti formali e sostanziali nella nuova norma istitutiva dell’indennità di mobilità), cosi com’è dimostrato, d’altra parte, dalla disposizione di cui alla L. 23 maggio 1997, n. 135, art. 20 ter, che ha introdotto una sanatoria per le domande di concessione dell’indennità presentate anteriormente al 31 marzo 1992, per le quali si fosse già avverata la decadenza dal relativo diritto”. (in tal senso v. Cass., 9 settembre 2011, n. 17389, che ha ritenuto corretta la statuizione della sentenza impugnata per cui la indennità di mobilità non spettava per mancanza della domanda proposta nel termine di legge, seguita da Cass., 24 giugno 2013, n. 15770).

7. Si è peraltro precisato che la decadenza dal diritto all’indennità suddetta, ove l’assicurato non abbia tempestivamente presentato la domanda di ammissione al beneficio (entro 60 giorni dall’inizio del periodo di disoccupazione), ha carattere generale perchè soddisfa l’esigenza di assicurare all’INPS la possibilità di effettuare tempestivi controlli in ordine alla effettiva sussistenza dello stato di disoccupazione di tutti l lavoratori in genere (in tal senso, v. Cass., 19 dicembre 1985, n. 6503).

8. Alla luce di questi principi deve affermarsi che la decorrenza del termine di sessanta giorni per la presentazione della domanda di indennità di mobilità comporta la decadenza del diritto alla prestazione, e non invece – come sostiene il controricorrente nel ricorso incidentale – ai soli ratei di indennità già scaduti prima della presentazione della domanda. In tal senso depone il chiaro dettato normativo dell’art. 129, comma 5, nella parte in cui prevede la “cessazione” del diritto dell’assicurato di essere ammesso al godimento dell’Indennità di disoccupazione, senz’alcun riferimento ai ratei maturati.

9. Peraltro, la Corte territoriale non ha contestato tale affermazione di principio, ma ha ritenuto che il documentato stato di malattia del lavoratore ha impedito il decorso del termine di decadenza. In particolare, sulla scorta della patologia (pericardite) attestata dal medico di famiglia del ricorrente sentito come testimone, e della certificazione del pronto soccorso del febbraio 2006, – da cui emergevano disagi psichici indotti dalla malattia, da una “difficile situazione familiare” e da “problemi economici” – ha ritenuto “sicuramente sussistenti difficoltà di rilievo sul piano comportamentale e delle normali abilità, tali da impedirgli (al lavoratore) di provvedere ai propri interessi”.

10. Ora la decadenza consiste nel fatto oggettivo del mancato esercizio del diritto entro un termine stabilito, nell’interesse generale o individuale, alla certezza di una determinata situazione giuridica, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione, se non nei casi eccezionali tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 9 giugno 2005, n. 12163): essa pertanto non può essere Impedita da una situazione di fatto di mera difficoltà, essendo invece necessario un Impedimento assoluto imputabile a causa ineluttabile. La nozione di “forza maggiore”, desumibile dall’art. 45 c.p., rimane invero integrata allorchè ricorra una forza esterna ostativa in modo assoluto (Cass. 24 ottobre 2008, n. 25737), caratterizzata dall’imprevedibilità ed inevitabilità, da accertare positivamente mediante specifica indagine (Cass., 29 aprile 2010, n. 10343).

11. La Corte territoriale, avendo accertato che la mancata presentazione della domanda è dipesa da una “difficoltà” che ha determinato l’impedimento del lavoratore a provvedere ai suoi interessi, e avendo ritenuto tale difficoltà sufficiente ad impedire il decorso del termine di decadenza, ha violato le norme citate in rubrica e disatteso il concetto normativo di “forza maggiore”.

12. Sintomatico del vizio di violazione di legge è il fatto che l’accertamento del giudice del merito non è stato condotto sugli elementi tipici della forza maggiore come sopra evidenziati, in particolare sull’assolutezza dell’impedimento e sulla sua incidenza sulla capacità decisionale del lavoratore, tale da escludere in toto la possibilità di presentare la domanda. Altrettanto sintomatico è il rilievo che nella sentenza non vi è alcun accenno al concetto di “forza maggiore”, discorrendosi Invece solo di “difficoltà”.

13 L’assunto del controricorrente, secondo cui l’accertamento della forza maggiore contenuto nella sentenza impugnata sarebbe passato in giudicato in mancanza di uno specifico motivo di impugnazione da parte dell’Inps, è smentito proprio dal tenore del ricorso per cassazione, in cui attraverso la deduzione del vizio di violazione di legge e la formulazione, quantunque non richiesta, del relativo quesito di diritto si contesta che le cattive condizioni di salute dell’assicurato, quali condizioni meramente soggettive, possano costituire fatto impeditivo della decadenza. Con ciò sostanzialmente negando che esse possono aver operato nel caso in esame come forza maggiore.

14. Infine, è manifestamente irrilevante la questione di legittimità costituzionale prospettata dal controricorrente per violazione dell’art. 38 Cost., alla luce dei principi più volte affermati dai giudici delle leggi secondo cui secondo cui la disposizione di cui all’art. 38 Cost., comma 2, attiene all’adeguamento dei mezzi di carattere previdenziale alle esigenze di vita dell’interessato, piuttosto che alle modalità necessarie a conseguirle, il che consente al legislatore di regolarne condizioni e modalità, mentre il termine di decadenza per conseguire un determinato trattamento è frutto di una scelta discrezionale del legislatore, coerente con il sistema previdenziale e giustificabile se non altro per ragioni di certezza della situazione finanziaria dell’Ente erogatore (v. su tale affermazione di principio, Corte Cost., 192/2005).

15.In definitiva, il ricorso principale deve essere accolto, mentre deve essere rigettato il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti Istruttori, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto della originaria domanda.

16. In ragione della controvertibilità della questione, attestata dagli esiti del giudizi di merito, favorevoli al ricorrente, si ritiene di compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale, rigettato l’Incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dall’originario ricorrente. Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2016

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