Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17403 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2010, (ud. 24/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6164-2006 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA TIGRE’ 37,

presso lo studio dell’avvocato CAFFARELLI FRANCESCO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VINCENZI ANTONIO,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 103/2 004 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata l’08/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/06/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DIDOMENICO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAFFARELLI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Regionale della Emilia Romagna dep. il 08/01/2005 che aveva rigettato l’appello del medesimo avverso la sentenza della CTP di Ravenna del 19/11/2001.

La CTR aveva confermato la sentenza della CTP di Ravenna che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento per IRPEF e S.S.N. per l’anno 1995.

La CTR ha ritenuto fondato l’accertamento dell’Ufficio basato su costi orari inferiori alle tariffe, su 241 giornate lavorative e sull’acquisto di merce in nero. La ricorrente pone a fondamento del ricorso su tre motivi fondati su violazione e falsa applicazione di legge e vizio motivazionale e vizio motivazionale.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso. La causa è stata rimessa alla decisione in pubblica udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere rilevata la inammissibilità del ricorso proposto contro il Ministero, che non era parte nel giudizio di appello dal quale doveva comunque intendersi tacitamente estromesso perchè iniziato dopo il 01/01/2001, e, pertanto, dopo l’entrata in funzione delle Agenzie delle Entrate (Cass. SS.UU. n. 3116/2006, n. 3118/2006).

Per quanto concerne il ricorso contro l’Agenzia, col primo motivo il ricorrente deduce falsa applicazione del D.P.R. n. 60 del 1973, art. 39 e contraddittoria motivazione in quanto l’Ufficio si era avvalso di parametri di redditività generici e prive di riscontri con la realtà concreta.

Questa Corte (Cass. n. 07914/2007) ha ritenuto che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo all’accertamento induttivo del reddito d’impresa, ai fini della determinazione della percentuale di ricarico, i valori percentuali medi del settore non rappresentano un fatto noto storicamente provato, ma costituiscono il risultato di una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei: essi, pertanto, non integrano presunzioni gravi, precise e concordanti, ma una semplice regola di esperienza, che se non consente, in mancanza di ulteriori elementi, di presumere l’esistenza di attività non dichiarate, può tuttavia essere utilizzata per determinare il reddito nell’ipotesi di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41, comma 2, che, derogando alle disposizioni di cui al comma 1, permette all’Ufficio di ricostruire il reddito anche sulla base di presunzioni prive degli anzidetti caratteri.

Col secondo motivo deduce erronea e contraddittoria motivazione per avere ritenuto n. 241 giornate lavorative senza riscontro concreto.

Col terzo motivo deduce analogo vizio motivazionale per avere ritenuto effettuati acquisti in nero.

I motivi per la stretta connessione logica e giuridica devono essere trattati unitamente. I motivi sono infondati.

Questa Corte (Sent. n. 2272 del 02/02/2007) ha ritenuto che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la proposizione del ricorso per cassazione per il motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

Orbene le censure relative alla durata della prestazione lavorativa e sugli acquisti in nero attengono questioni di fatto, in ordine ai quali le affermazioni del contribuente circa la provenienza della merce non risultata acquistata ma utilizzata ovvero l’impiego della merce acquistata regolarmente ma non indicata nelle rimanenze(poste, a legger bene, in termini di mere possibilità, e cioè che poteva trattarsi solo di omessa fatturazione o di riciclo di materiali prelevati da precedenti interventi) risultano disattese, seppur con sintetica motivazione che appare immune da vizi logici, dai giudici di merito.

Il ricorso contro l’Agenzia deve essere, pertanto, rigettato, con ogni conseguenza in tema di spese. Possono, invece giustamente compensarsi le spese col Ministero, atteso il consolidarsi successivo della superiore giurisprudenza delle SS.UU..

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso contro il Ministero e compensa le relative spese. Rigetta il ricorso contro l’Agenzia e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 1100,00 di cui 100,00 per spese, oltre c.u. e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 24 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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