Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17403 del 19/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/08/2011, (ud. 10/06/2011, dep. 19/08/2011), n.17403

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IL MATTINO S.P.A., (già EDIME S.P.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE N. 21/23, presso la studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO

MARCELLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

E.G.;

– intimato –

sul ricorso 17699-2007 proposto da:

E.G., domiciliato in ROMA, VIA CESI 72, presso lo

studio dell’avvocato GAVA GABRIELE, rappresentata e difesa

dall’avvocato CUOMO NICOLA, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

IL MATTINO S.P.A., (già EDIME S.P.A.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE N. 21/23, presso la studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO

MARCELLO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1051/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/05/2006 r.g.n. 872/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/06/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato ARMENTANO ANTONIO per delega MARCELLO DEJUCA TAMAJO;

udito l’Avvocato CUOMO NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Napoli, E.G., iscritto all’albo dei giornalisti come pubblicista dal 26.3.1988, esponeva di aver iniziato a collaborare col quotidiano “Il Mattino” presso la redazione decentrata di (OMISSIS) sin dal gennaio del 1986, percependo compensi largamente inferiori a quelli previsti dalle tariffe professionali dei collaboratori, e di aver poi svolto di fatto le mansioni di redattore dall’aprile del 1991 presso la stessa redazione; chiedeva quindi il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la qualifica di redattore e la condanna della EDI.ME s.p.a al pagamento della dovuta integrazione dei compensi di collaboratore con riferimento al primo periodo (fino all’1.4.1991), nella misura di L. 89.696.450, e delle retribuzioni relative alla qualifica di redattore, in L. 350.163.683, per il periodo successivo fino al 31.1.1995, data di chiusura della redazione distaccata.

In via subordinata, il ricorrente chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della somma di L. 660.847.650 a titolo di compenso, ex art. 2222 c.c., per i pezzi giornalistici pubblicati dal 26 marzo 1988 (data di iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti) al novembre del 1995.

Costituitosi il contraddittorio, la resistente eccepiva l’infondatezza della domanda rilevando che il ricorrente era stato sempre libero di organizzare il proprio lavoro senza alcun vincolo e senza alcuna formalità di controllo.

Il Tribunale rigettava la domanda e compensava le spese, ritenendo che non era stata provata l’esistenza del dedotto vincolo della subordinazione.

A seguito di appello dell’ E., la Corte d’appello di Napoli accoglieva parzialmente le domande del medesimo, accertando la esistenza nel periodo all’1.4.1991 al 31.1.1995 di un rapporto di lavoro subordinato di collaboratore fisso ex art. 2 del CCNL giornalistico e condannando la società convenuta a pagare al ricorrente la somma di Euro 46.278,98, oltre accessori per il ritardo, a titolo di integrazione dei compensi dovuti per il suindicato periodo.

Quanto al primo periodo, la Corte riteneva, in ciò concordando con il giudice di primo grado, che fosse provato un accordo tra le parti per fatti concludenti, desumibile dal percepimento per un lungo periodo da parte del collaboratore, senza contestazioni, dei compensi corrispostigli dalla editrice del quotidiano, circa il sistema di pagamento delle prestazioni in base ai “pezzi” prodotti, e che tale circostanza rendesse superfluo il ricorso alle tariffe stabilite dalle associazioni professionali, in quanto a norma dell’art. 2233 c.c. la volontà delle parti rappresenta il criterio primario per la determinazione dei compensi spettanti ai prestatori d’opera professionale.

Per il periodo successivo, decorrente dall’1.4.1991, per il quale l’ E. aveva con il ricorso introduttivo dedotto di avere svolto di fatto mansioni di redattore, la Corte rilevava che non costituiva domanda nuova la prospettazione in via subordinata, compiuta in appello, della configurabilità del rapporto come di collaborazione fissa a norma dell’art. 2 del contratto collettivo, in quanto secondo tale ipotesi alternativa rimaneva praticamente inalterato il presupposto di fatto posto a base della stessa, e cioè la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato di giornalista, mentre la più esatta qualificazione del rapporto doveva essere compiuta anche d’ufficio nell’ambito delle concrete modalità di esercizio dell’attività lavorativa, come dedotte dallo stesso lavoratore e ritualmente acquisite al giudizio.

E concretamente la Corte d’appello riteneva che nella specie, dalla istruttoria compiuta, fosse risultata per il periodo in questione la ricorrenza dei presupposti non della figura del redattore ordinario, ma di quelli del collaboratore fisso. Al riguardo si ricordava che i tratti differenziali tra le due figure erano rappresentati dalla quotidianità delle prestazioni e dall’osservanza di un orario di lavoro (nei limiti resi compatibili dalla specialità del rapporto), presupponendo la collaborazione fissa, oltre al vincolo di dipendenza e alla responsabilità di un servizio, la sola mera continuità della prestazione, caratteristica di un giornalista che mette a disposizione le proprie energie lavorative per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento di tali obiettivi sulla piena disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. La Corte rilevava anche che normalmente l’attività del redattore si caratterizza per il suo apporto alla c.d. attività di cucina giornalistica.

Dalla prova testimoniale, secondo il giudice di appello, emergeva in maniera inequivocabile che l’appellante era uno dei collaboratori esterni alla redazione che in via continuativa si occupava del settore sportivo, in prevalenza di quello locale, e che proponeva i suoi “pezzi” al caposervizio, il quale provvedeva a farli pubblicare, previa intitolazione e assemblaggio degli stessi. Egli non partecipava alle riunioni di redazione, nè correggeva le bozze di altri redattori o aveva l’obbligo di osservare un orario di lavoro o di garantire la sua presenza in redazione. In definitiva erano ravvisabili gli aspetti qualificanti del lavoro svolto dal collaboratore esterno, cioè della continuità del servizio, della responsabilità dello stesso e della messa a disposizione dell’editore della proprie prestazioni, che consentivano di ritenere provata, seppure nella forma particolare propria di un’attività intellettuale caratterizzata da creatività ed autonomia, l’esistenza del dedotto rapporto lavorativo subordinato.

Relativamente alla determinazione dei compensi spettanti per il periodo del rapporto di collaborazione fissa, la Corte richiamava preliminarmente la relativa disposizione dell’art. 2 del CCNL, secondo cui: “Il collaboratore fisso ha diritto ad una retribuzione mensile proporzionata all’impegno di frequenza della collaborazione ed alla natura ed importanza delle materie trattate ed al numero mensile delle collaborazioni. Tale retribuzione, ivi comprese in quanto di ragione le quote di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione medesima, non potrà comunque essere inferiore a quella fissata nella tabella allegata al presente contratto rispettivamente per almeno 408 collaborazioni al mese.” Ricordava anche che nel tariffario erano contenute le definizioni della “notizia”, dell'”articolo” e del “servizio”. Per notizia era inteso un sommario e conciso ragguaglio scritto od orale, non una semplice informazione, fornito dal giornalista su fatti o situazioni; per articolo un testo su fatti, temi e problemi in cui prevale l’elemento critico e/o concettuale, mentre il servizio era individuato come un elaborato fornito dal giornalista su situazioni, fatti o problemi di attualità, sviluppato con indagine diretta e con eventuale osservazione critica. Secondo il giudice di appello la misura minima di 4 o 8 compensi mensili non doveva ritenersi riferita al tipo minimo di prestazione (la “notizia”), ma era da interpretare, piuttosto, come compenso di tipo medio, rispetto alle tre ipotesi di notizia, articolo e servizio. Nella fattispecie vi era una preponderanza notevole di articoli interessanti un ambito strettamente locale dell’informazione sportiva, per cui il dato minimo del compenso si adattava in maniera più che adeguata al tipo di prestazioni svolte in massima parte dall’appellante.

Il collegio riteneva, quindi, di condividere il metodo di calcolo fatto proprio dal CTU, vale a dire quello di dividere per 8 il valore minimo di cui alla tabella allegata al CCNL, in modo da ottenere il valore della singola collaborazione, per poi moltiplicare quest’ultimo valore per l’effettivo numero delle prestazioni rese, ottenendo, in tal modo, la retribuzione mensile da corrispondere all’appellante. Inoltre, bene aveva fatto il CTU a non calcolare le indennità per mancato godimento di ferie e di festività infrasettimanali, non avendo l’appellante, sul quale gravava il relativo onere, fornito la prova di aver lavorato anche durante i periodi feriali e festivi infrasettimanali, mentre esattamente il CTU aveva, invece, calcolato la tredicesima e il T.F.R. Il Mattino s.p.a. (già Edime s.p.a.) propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

E.G. resiste con controricorso, contestualmente proponendo sei motivi di ricorso incidentale, di cui alcuni in via condizionata o subordinata.

Memoria dell’ E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I due ricorsi devono essere riuniti (art. 335 c.p.c.).

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale, deducendosi violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101, 112 e 416 c.p.c., si lamenta la violazione dei principi della domanda, del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per il riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso, oggetto di una domanda proposta per la prima volta in appello e da ritenersi nuova stante la differenza oggettiva e qualitativa tra la qualifica di redattore, dedotta in primo grado, e quella di collaboratore fisso.

2.2. Con il secondo motivo, denunciandosi violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. nonchè dell’art. 2 del CCNL giornalistico del 30.7.1991, si lamenta che si sia dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato senza l’accertamento circa la ricorrenza del relativo elemento essenziale costituito dall’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e di conformazione del datore di lavoro. Al riguardo si osserva anche che i requisiti della continuità e della responsabilità del servizio non sono di per sè idonei ad integrare la subordinazione giornalistica e che le norme della contrattazione collettiva possono precisare la norma di legge ma non sostituirsi ad essa ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro subordinato.

2.3. Il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del CCNLG del 30.7.1991, censura l’interpretazione data dal giudice di appello alla norma contrattuale sulla misura dei compensi da corrispondere al collaboratore fisso. Si sostiene che i minimi previsti per le ipotesi di almeno quattro o otto collaborazioni al mese potevano ritenersi elevabili solo valutando congiuntamente e complessivamente gli elementi dell’impegno e frequenza (cioè dell’entità della disponibilità richiesta al collaboratore fisso), la natura e importanza delle materie trattate e il numero mensile delle collaborazioni. Nel caso in esame l’ E., che aveva formulato la propria domanda ad altri fini, non aveva indicato e provato il quantum della disponibilità richiestagli e la natura e l’importanza delle materie trattate.

Inoltre il metodo seguito dal c.t.u. e dalla Corte era basato sulla valorizzazione del solo elemento del dato numerico delle collaborazioni mensili e su una arbitraria e illogica utilizzazione come dividendo del numero 8 della quantità di collaborazioni utilizzata dalla disposizione contrattuale per l’individuazione di una soglia minima del compenso.

3.1. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia, riguardo al mancato riconoscimento della qualifica di giornalista redattore ex art. 1 CCNL dall’1.4.1991, violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 5 e 6 del CCNL giornalistico, dell’art. 2099 c.c., dell’art. 36 Cost., dell’art. 2126 c.c., degli artt. 115, 116 e 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 111 cost., comma 6, unitamente a vizi di motivazione su fatti decisivi e omessa valutazione di risultanze processuali.

3.2. Con il secondo motivo, condizionato all’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e funzionale al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato come collaboratore fisso dall’1.4.1991, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del CCNL giornalistico, dell’art. 2099 c.c., delle ulteriori norme già indicate a proposito del primo motivo, nonchè analoghi vizi di motivazione. Infatti si richiamano le censure articolate con il primo motivo, osservando che le medesime, se non idonee a confortare l’accertamento di un rapporto di redattore ex art. 1, sono certamente sufficienti per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato ex art. 2 CCNL. 3.3. Il terzo motivo, deducendo violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta l’omessa pronuncia sulla reintegra dell’ E. nelle mansioni di lavoratore subordinato di collaboratore fisso, come da richiesta formulata già nelle conclusioni del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

3.4. Il quarto motivo del ricorso incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del CCNL giornalistico del 30.7.1991 e contraddittorietà e insufficienza di motivazione, lamenta che nella determinazione dei compensi dovuti per l’attività di collaboratore fìsso non si sia tenuta in debito conto la qualità, cioè la natura e l’importanza delle collaborazioni e al riguardo si sostiene che il minimo tabellare previsto dall’art. 2 è riferibile alle sole “notizie”, mentre è necessario procedere ad una maggiorazione di tale minimo per la produzione di articoli e servizi.

Quanto al mancato riconoscimento di compensi per ferie e festività non godute si lamenta la mancata considerazione degli articoli in atti, dimostranti che il giornalista aveva lavorato quotidianamente e anche nelle festività infrasettimanali.

3.5. Il quinto motivo, riguardo al mancato accoglimento della domanda di compenso dei pezzi giornalistici (per il primo periodo) secondo le tariffe professionali dell’ordine dei giornalisti, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2967 e 2222 c.c. e segg.

e vizi di motivazione. Si lamenta, che sebbene con il motivo di appello respinto dalla Corte d’appello si fosse osservato che la Società convenuta si era ben guardata dall’esplicitare il contenuto dell’asserito accordo e i tempi e i modi di conclusione dello stesso, la Corte aveva affermato che certamente esistevano patti variabili per la determinazione del corrispettivo, senza però indicare gli elementi essenziali e il contenuto degli stessi. In effetti sussistevano solo pagamenti effettuati, senza una cadenza periodica, con assegni incassati dal ricorrente per “tirare avanti” e nella speranza di una regolarizzazione del rapporto.

3.6. Il sesto motivo, denunciando violazione dell’art. 91 c.p.c. e contraddittorietà della sentenza, lamenta che la Corte d’appello, pur avendo condannato la appellata a rimborsare le spese del primo e del secondo grado, aveva omesso, probabilmente per dimenticanza, di riconoscere il diritto dell’ E. al rimborso della metà della compenso corrisposto al c.t.u., da lui anticipata nella misura di Euro 187,20.

4. Con riferimento al primo motivo del ricorso principale è opportuno ricordare che in più di un caso questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il giudice, adito per il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato giornalistico relativo alla qualifica di redattore, ben può, anche d’ufficio, sulla base delle circostanze di fatto acquisite al giudizio in esito a un regolare contraddittorio, accertare la sussistenza della qualifica (meno elevata) di collaboratore fisso, senza che sia configurabile la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (Cass. n. 3168/1990 e 7931/2000). Si tratta senza dubbio di principio che si attaglia perfettamente alla fattispecie in esame, nè si ravvisano valide giustificazioni per un mutamento di giurisprudenza. In particolare il rilievo, secondo cui sussistono differenze qualitative e non meramente quantitative tra i due tipi di qualifiche o giornalistiche, non può ritenersi decisivo, in quanto tali genere di differenze – in effetti sempre in qualche misura ravvisabili tra le diverse qualifiche, anche quando le stesse sono collocate in una sorta di progressione gerarchica nelle classificazioni legali o contrattuali – non incide sul dato sostanziale della maggiore tutela in genere e complessivamente assicurata dalla qualifica di redattore rispetto a quella di collaboratore fisso e della prevalente omogeneità delle varie figure del lavoro giornalistico, cioè sul dato della esistenza di un quadro sostanziale e processuale nell’ambito del quale può dispiegarsi, senza lesioni del diritto di difesa delle parti, il potere dovere del giudice di procedere alla esatta qualificazione del rapporto giuridico in contestazione. Il motivo deve quindi essere rigettato.

5. Il secondo motivo sembra adombrare, in sostanza, che gli elementi correntemente ritenuti, sulla base dell’art. 2 del CCNL giornalistico e della relativa elaborazione giurisprudenziale, costitutivi del rapporto di lavoro subordinato giornalistico del collaboratore fisso richiedano di essere integrati da elementi dimostrativi della ricorrenza di un più concreto e intenso vincolo di subordinazione.

Anche al riguardo la Corte non ritiene che vi siano motivi per discostarsi dagli orientamenti consolidati in materia, il cui presupposto è la considerazione che nell’attività giornalistica gli elementi materiali del vincolo di subordinazione sono attenutati in considerazione della natura intellettuale delle prestazioni lavorative, di modo che è la prevista continuità dell’impegno del giornalista e l’affidamento dell’impresa giornalistica nella continuità del flusso di notizie ed elaborazioni assicurato dal giornalista in un determinato campo che distingue il rapporto del collaboratore fisso dal rapporto di collaborazione del giornalista che opera, sia pure assiduamente, sulla base di prestazioni singolarmente convenute (Cass. n. 13945/2000, 6727/2001, 16543/2004;

cfr. anche in particolare Cass. n. 8260/1995, che sottolinea come ai fini della valutazione in merito a tale vincolo di continuità giuridica può influire anche il dato quantitativo).

L’accertamento sul punto specificamente è stato compiuto con adeguata motivazione dal giudice di appello, sicchè anche il motivo in esame deve essere rigettato.

6. Il terzo motivo del ricorso principale sarà esaminato congiuntamente con il quarto motivo del ricorso incidentale, che censura, con finalità opposte, lo stesso capo della sentenza.

7. Il primo motivo del ricorso incidentale propone sottili questioni interpretative relativamente agli elementi costitutivi della qualifica di redattore.

Un esame particolarmente approfondito al riguardo è stato compiuto da un non recentissimo precedente di questa Corte, le cui analisi tuttavia sono ancora utilmente valorizzabili, data la sostanziale permanenza di un’analoga disciplina contrattuale. In sintesi, per quanto ora rileva, è stato osservato che il generico riferimento dell’art. 1 del CCNL giornalistico alla quotidianità della prestazione giornalistica (l’art. 1 del CCNL 30 luglio 1991 prevede l’applicazione del contratto ai “giornalisti che prestano attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza anche se svolgono all’estero la loro attività) deve essere integrato principalmente, da un lato, dalla considerazione delle condizioni previste dall’art. 5 per l’attribuzione della qualifica di redattore e, dall’altro, dal raffronto con le figure del corrispondente e del collaboratore fisso (Cass. n. 8260/1995). La sentenza ora in considerazione afferma che la complessiva disciplina contrattuale collettiva consente di ritenere che, nel quadro molto articolato dei diversi tipi di posizioni rivestibili dai giornalisti che concorrono alla produzione di un quotidiano (addetti alla redazione centrale, corrispondenti, addetti alle redazioni distaccate, inviati speciali, giornalisti parlamentari, ecc.) non può escludersi l’affidamento di un incarico che comporti una prestazione quotidiana senza il rispetto di un particolare orario di lavoro e dia diritto alla qualifica di redattore, ma non manca di menzionare anche il rispetto di un orario di lavoro quale elemento caratteristico delle prestazioni continuative nell’ambito delle redazioni in contrapposizione al diverso tipo di continuatività del collaboratore fisso.

Sulla base di tale chiave interpretativa, appare ragionevole e giustificato il criterio a cui si è attenuto il giudice di appello, al fine di distinguere la figura del collaboratore fisso dal quella del redattore, di tenere presente anche la assenza di un orario di lavoro e la non partecipazione alla ed. cucina redazionale, elementi tutti comprovanti il non inserimento nella vera e propria attività redazionale, pur in presenza di una assidua frequentazione della redazione, che, in tale contesto, può avere le più varie giustificazioni, tra cui profili di autonoma determinazione del giornalista e di facoltativa utilizzazione da parte sua di opportunità logistiche messe a disposizione dal giornale.

Circa la diversa “lettura” e valutazione della prova testimoniale proposta nel ricorso incidentale, deve rilevarsi che è compito del giudice di merito valutare l’attendibilità delle varie deposizioni e interpretarle; che, comunque, gli stralci di deposizione richiamati contengono spesso valutazioni dei testimoni o fanno riferimento ad elementi non decisivi (per esempio circa l’affidamento all’ E. del compito di seguire taluni argomenti sportivi importanti sul piano locale o la intensa frequentazione da parte sua dei locali della redazione). Infine neanche i dati quantitativi e statistici, che sarebbero ricavabili dalla documentazione di causa, sul numero dei “pezzi” compilati dall’ E., o sui pezzi presupponenti l’avere operato “fuori sede” – dati di cui si lamenta la mancata considerazione – di per sè possono considerarsi, così come sono invocati, sufficienti a dimostrare la quotidianità della prestazione requisito della funzione di redattore.

In conclusione il motivo non può ritenersi fondato.

8. Il secondo motivo è assorbito dal rigetto del ricorso principale.

9. L’omessa pronuncia denunciata con il terzo motivo non è effettivamente ravvisabile, in quanto il giudice di appello, accordando il pagamento del trattamento di fine rapporto relativamente al rapporto di collaborazione fisso ha implicitamente accertato la conclusione del relativo rapporto.

10. Passando all’esame coordinato del terzo motivo del ricorso principale e del quarto motivo del ricorso incidentale, circa la retribuzione dovuta per il periodo per cui è stato accertato un rapporto di collaborazione fissa ex art. 2 del CCNL giornalistico, deve escludersi la loro fondatezza. Con riferimento alle censure formulate da entrambe le parti di mancata considerazione circa le materie trattate, il tipo e la qualità delle collaborazioni, deve ricordarsi che al contrario al riguardo il giudice di appello ha svolto valutazioni precise, che non hanno formato oggetto di censure puntuali. Inoltre, fornendo le disposizioni contrattuali la soglia minima relativa a collaborazioni di 4 o 8 pezzi al mese, rientrava nei poteri di apprezzamento discrezionale del giudice di merito individuare un logico criterio per il compenso di un numero maggiore di collaborazioni. E’ puramente apodittica, poi la tesi dell’ E. secondo cui il minimo tabellare si riferirebbe alla fornitura di semplici notizie, mentre risulta ragionevole la tesi del giudice di appello secondo cui il minimo tabellare era da considerare come un compenso di tipo medio riguardo alla classificazione delle prestazioni del collaboratore fisso in notizie, articoli e servizi.

Infine, la censura del ricorso incidentale sul mancato riconoscimento di speciali compensi per festività e ferie difetta di adeguato puntuale richiamo del contenuto delle risultanze istruttorie che la sorreggerebbero e la cui valutazione sarebbe stata immotivatamente pretermessa.

11. Si ritiene fondato, invece, il quinto motivo del ricorso incidentale, relativo ai compensi per il periodo di collaborazione nel quadro di un rapporto di lavoro autonomo (riguardo al quale l’eccezione di prescrizione non è stata esaminata dal giudice di appello perchè assorbita dal rigetto nel merito).

La Corte di merito, come già ricordato, in effetti ha rigettato la domanda, diretta al riconoscimento del diritto a compensi maggiori rispetto a quanto di fatto corrisposto, ritenendo che la determinazione consensuale del compenso rendeva superfluo, ex art. 2233 c.c., il riferimento al subordinato criterio dell’utilizzazione delle tariffe di categoria. Un accordo sulla misura dei compensi in base ai pezzi prodotti sarebbe stato concluso dalle parti per fatti concludenti, come evidenziato dal fatto che l’ E. aveva svolto una prestazione continuativa per un lungo periodo percependo compensi senza contestazione.

Tale conclusione non può ritenersi adeguatamente motivata.

Considerato anche che, come lamenta il ricorrente, dalla sentenza non sono stati evidenziati e precisati i criteri oggettivi a cui la liquidazione mensile dei compensi si sarebbe attenuta, non sono ravvisabili elementi sufficienti di un accordo, sia pure per fatti concludenti. Infatti in un rapporto di lavoro parasubordinato caratterizzato da una chiara posizione di debolezza del lavoratore rispetto al committente – posizione di debolezza oggettivamente attestata anche dalla previsione di tariffe professionali in un contratto collettivo di lavoro – non può essere valutata come espressione di accettazione della misura dei compensi la mera mancanza di immediate contestazioni e la prosecuzione dei rapporti tra le parti.

12. E’ fondato anche il sesto motivo, in quanto con il provvedimento di regolazione delle spese del giudizio avrebbe dovuto essere provveduto anche riguardo alle spese della c.t.u. anticipate in parte anche dalla parte in cui favore sono state regolate le spese stesse.

13. In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato, così come il ricorso principale, salvo che per il quinto e il sesto motivo, che vengono accolti e per il secondo che resta assorbito.

Consegue la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e il rinvio della causa ad altro giudice (stessa Corte in diversa composizione), che nel riesame di punti oggetto dell’annullamento, si atterra ai già indicati criteri. Allo stesso si demanda anche al regolazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, accoglie il quinto e il sesto motivo del ricorso incidentale, assorbito il secondo, e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per , le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2011

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