Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17401 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/08/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 20/08/2020), n.17401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESI Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19805-2018 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GILBERTO MERCURI;

– ricorrente –

contro

F.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato RAUL PELLEGRINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 624/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI

depositata il 19/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 19 maggio 2017, n. 624, la Corte di appello di Bari ha respinto il gravame di M.G. contro la decisione del Tribunale di Foggia che ne aveva pronunciato la separazione personale dalla coniuge F.A.M. ed accolto la richiesta di addebito formulata da quest’ultima, ponendo a carico del primo l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e della figlia, in misura, rispettivamente, di Euro 1.500,00 mensili e di Euro 1.300,00 mensili, oltre il 60% delle spese straordinarie per la figlia, e condannando il M. al risarcimento dei danni arrecati alla F., da liquidarsi in separata sede.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte ha ritenuto, sostanzialmente condividendo le conclusioni del giudice di prime cure, che le risultanze dell’istruttoria orale e documentale svolta nel precedente grado consentivano chiaramente di ritenere dimostrata la violazione, da parte del M., degli obblighi di fedeltà coniugale e di coabitazione tra i coniugi, senza che l’appellante avesse, per contro, adeguatamente provato che, ancor prima della scoperta, ad opera della F., della relazione del marito con tale A.E., fosse già riscontrabile una intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi medesimi: affatto correttamente, dunque, il tribunale foggiano aveva posto la violazione di quegli obblighi a fondamento della pronuncia di addebito della separazione a carico del M.. La corte distrettuale, inoltre, ha confermato i provvedimenti di natura economica, a suo dire giustificabili alla luce delle descritte condizioni economiche di entrambi i coniugi.

2. Avverso detta sentenza, il M. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis c.p.c.. Resiste, con controricorso, la F..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto; art. 360 c.p.c., n. 5: omesso e/o errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Questione addebito – erroneo esame delle prove testimoniali. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza”. Si contestano le argomentazioni utilizzate dalla corte di merito e la sua valutazione delle risultanze istruttorie con riferimento alla confermata pronuncia di addebito della separazione a carico dell’odierno ricorrente;

II) “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto; art. 360 c.p.c., n. 5: omesso e/o errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Questione assegno di mantenimento erroneo esame delle prove testimoniali. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza. Omesso ed erroneo esame di prove documentali e testimoniali”. Si contestano le argomentazioni utilizzate dalla corte di merito e la sua valutazione delle risultanze istruttorie con riferimento alla confermata entità dell’assegno di mantenimento, a carico del M., in favore della F. e della figlia.

2. I descritti motivi possono esaminarsi congiuntamente perchè accomunati dalla medesima ragione di inammissibilità.

2.1. E’ utile premettere che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 19 maggio 2017), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per la mancanza della motivazione.”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

2.1.1. La descritta novella, dunque, esclude la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione, essendosi introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione – con l’osservanza, peraltro, degli oneri di allegazione puntualmente sanciti da Cass., SU. n. 8053 del 2014 relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe certamente determinato un esito diverso della controversia. La Suprema Corte, peraltro, ha precisato che non costituiscono “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015).

2.2. Giova rimarcare, poi, che la giurisprudenza di legittimità ha, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 27686 del 2018), chiarito che: a) il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perchè, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua pur corretta interpretazione. Cfr. Cass. n. 8782 del 2005); b) non integra, invece, violazione di legge, nè falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; c) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (0-. Cass., Sez. U., n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); d) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito (cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).

2.3. Le censure formulate oggi dal M. si risolvono, invece, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale o violazione di legge, una diversa valutazione, totalmente obliterando, però, da un lato, che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – come si è appena detto – non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; dall’altro, che il vizio motivazionale rileva esclusivamente nei ristretti e già descritti limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5

2.3.1. In applicazione dei suesposti principi, allora, va rimarcato che la corte distrettuale – con una motivazione ampiamente in linea con il dovuto minimo costituzionale sancito da Cass., SU, n. 8053 del 2014, e che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova, oltre che scevra da vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – è giunta alla conclusione che, nella specie, il quadro istruttorio desumibile dalla espletata prova orale e dalla documentazione prodotta in atti, valutato in ciascun elemento e nel suo complesso, fosse assolutamente idoneo: i) a far ritenere dimostrata la violazione, da parte del M., degli obblighi di fedeltà coniugale e di coabitazione tra i coniugi, senza che l’appellante avesse, per contro, adeguatamente provato che, già da prima della scoperta, ad opera della F., della relazione del marito con tale A.E., fosse già riscontrabile una intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi medesimi; ii) a giustificare la conferma dell’entità dell’assegno di mantenimento, in favore della F. e della figlia, posto a carico dell’odierno ricorrente dalla decisione di prime cure. Nè potrebbe sostenersi, fondatamente, che l’argomentare del giudice di appello abbia trascurato alcuni dati dedotti dal M. per la semplice ragione di averli ritenuti, esplicitamente o implicitamente, irrilevanti.

2.3.2. Il ricorrente, infine, nemmeno ha puntualmente indicato, nel rispetto dei precisi oneri di allegazione sanciti da Cass. SU, n. 8053 del 2014, fatti storici, controversi e decisivi, il cui esame sarebbe stato omesso dalla corte di merito, mentre è inammissibile, in questa sede, l’assunto secondo cui, proprio con riferimento ai descritti provvedimenti economici, la corte di merito non avrebbe tenuto conto della successiva nascita di un figlio del M., con ulteriori oneri a suo carico in ragione della costituzione di un nuovo nucleo familiare (cfr. pag. 19 del ricorso). Dalla sentenza impugnata, invero, non emerge (cfr. pag. 7) che, in relazione a questo specifico profilo, era stato prospettato un puntuale motivo di gravame ad opera dell’appellante, il quale, peraltro, nemmeno indica in questa sede, come sarebbe stato suo preciso onere, l’avvenuta sua deduzione dinanzi al giudice di merito, indicandone lo specifico atto del giudizio precedente in virtù del principio di autosufficienza del ricorso (ricordandosi che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio, – cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 7981 del 2007; Cass. n. 16632 del 2010 – sicchè, in quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado. Cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000).

2.4. In definitiva, la corte barese ha esaustivamente spiegato (cfr. amplius, pag. 3-8 dell’impugnata sentenza) le ragioni che l’hanno indotta alle sopra indicate conclusioni, ed il corrispondente accertamento integra una valutazione fattuale, al quale il M., con i motivi in esame, sebbene sotto la formale rubrica del vizio motivazionale o di violazione di legge, tenta di opporre una propria alternativa interpretazione dei medesimi elementi istruttori utilizzati dalla prima, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

3. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

4. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

PQ.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna M.G. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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