Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17401 del 13/07/2017


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Cassazione civile, sez. II, 13/07/2017, (ud. 16/05/2017, dep.13/07/2017),  n. 17401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso R.G.N. 2483/2013 proposto da:

S.M.A., rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dall’avvocato Giuseppe Rino Visalli,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Erasmo Gattamelata 128,

presso lo studio dell’avvocato Carmelo Scalfari;

– ricorrente –

contro

C.S. e CA.RO., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale in calce al controricorso, dall’avvocato Antonino

Dalmazio, elettivamente domiciliati in Roma, Via dei SS. Pietro e

Paolo 27, presso lo studio dell’avvocato Angelo Tuzza;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 73/2012 della Corte d’appello di Messina,

depositata il 13 febbraio 2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16 maggio 2017 dal Consigliere Dott. Gianluca Grasso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1993 S.M.A. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Messina, i coniugi C.S. e Ca.Ro. – proprietari confinanti col suo fabbricato con annesso terreno, sito in (OMISSIS) – chiedendo la condanna dei convenuti alla demolizione della nuova costruzione realizzata sul loro fondo in violazione delle norme sulle distanze e al risarcimento dei danni, oltre al pagamento delle spese processuali;

che i convenuti, nel costituirsi in giudizio, eccepivano il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, nel merito, contestavano le domande, di cui chiedevano il rigetto;

che, espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza depositata il 29 gennaio 2004, il Tribunale di Messina, ritenuto che l’opera eretta fosse una nuova costruzione e non una ristrutturazione, condannava i convenuti alla sua demolizione, in quanto realizzata in violazione delle distanze prescritte, nonchè al risarcimento dei danni;

che la Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 13 febbraio 2012, accoglieva parzialmente il gravame proposto dai coniugi C. e Ca., condannando questi ultimi ad arretrare la nuova costruzione fino alla distanza di metri 3 dalla frontistante parete cieca del fabbricato S. a partire dallo spigolo del vano preesistente (lato ovest) prospettante su (OMISSIS) e dalla quota del terreno in altezza, rideterminando il credito risarcitorio dovuto a S.M.A. in Euro 2.500,00 comprensivi di rivalutazione ed interessi maturati fino alla data della pronuncia e con interessi legali fino al soddisfo, ponendo le spese del gravame a carico degli appellanti;

che contro la sentenza della Corte d’appello di Messina, S.M.A. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su due motivi;

che C.S. e Ca.Ro. resistono con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con il primo motivo di ricorso si denuncia l’illogica e/o errata motivazione in relazione al fatto decisivo per il giudizio afferente alla chiesta demolizione del fabbricato degli appellanti. La corte d’appello, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, ha considerato l’intervento edilizio dagli stessi effettuato quale nuova costruzione e che la distanza tra il loro fabbricato e quello della attuale ricorrente risultava inferiore alla distanza minima indicata dal codice civile (art. 873). Unica e logica soluzione, secondo parte ricorrente, sarebbe stata l’immediata demolizione della nuova costruzione, così come richiesto. La corte d’appello, tuttavia, in parziale accoglimento del terzo motivo di gravame, ha ritenuto di disporre l’arretramento della nuova costruzione fino alla distanza di metri 3 dall’edificio confinante. Parimenti illogico sarebbe il rilievo del giudice d’appello secondo cui la S. non avrebbe dedotto la violazione dell’osservanza di una maggiore distanza, atteso che proprio su richiesta da lei avanzata con l’atto di citazione – e reiterata con le controdeduzioni dell’11.11.1993 dinanzi al Tribunale di Messina – il G.I. aveva disposto una consulenza d’ufficio al fine di accertare se con le nuove opere realizzate vi fosse stata violazione delle norme in materia di distanze legali;

che con il secondo motivo di ricorso si deduce l’erroneità della pronuncia nella parte in cui, per effetto del disposto arretramento, ha rideterminato il credito risarcitorio;

che il primo motivo di ricorso è inammissibile in relazione al vizio di motivazione sulla mancata deduzione della violazione dell’osservanza di una maggiore distanza rispetto a quella minima indicata dal codice civile e infondato riguardo alla mancata riduzione in ripristino;

che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede la “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita a “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate, come nel caso di specie (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21152);

che le prescrizioni dei piani regolatori generali e degli annessi regolamenti comunali edilizi che disciplinano le distanze nelle costruzioni, anche con riguardo ai confini, sono integrative del codice civile e hanno, pertanto, valore di norme giuridiche (anche se di natura secondaria), sicchè il giudice, in virtù del principio iura novit curia, deve acquisirne diretta conoscenza d’ufficio, quando la violazione di queste sia dedotta dalla parte (Cass. 15 giugno 2010, n. 14446).

che il principio iura novit curia, tuttavia, non esonera la parte dall’onere di indicare le norme regolamentari, preesistenti o sopravvenute, di cui chiede l’applicazione (Cass. 2 dicembre 2014, n. 25501; Cass. 15 giugno 2010, n. 14446);

che nel caso di specie, con riferimento alla violazione dell’osservanza di una maggiore distanza, parte ricorrente non ha provveduto a indicare in ricorso le norme urbanistiche che sarebbero state violate;

che infondata è la deduzione della mancata riduzione in ripristino poichè, in tema di violazione delle distanze legali, non incorre in ultrapetizione il giudice che, richiesto dell’ordine di demolizione della costruzione, ne ordini il semplice arretramento, essendo la decisione contenuta nei limiti della più ampia domanda di parte, senza esulare dalla causa petendi (Cass. 3 aprile 2014, n. 7809);

che inammissibile risulta la censura riguardante la rideterminazione del risarcimento del danno, in quanto priva di effettivi motivi di doglianza, se non quelli relativi all’accoglimento parziale della domanda, che di per sè danno luogo a una diversa valutazione del pregiudizio subito, così come determinato dalla corte d’appello;

che le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che si liquidano in complessivi Euro 3.700, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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