Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17400 del 29/08/2016

Cassazione civile sez. lav., 29/08/2016, (ud. 24/05/2016, dep. 29/08/2016), n.17400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20032-2010 proposto da:

P.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato MARIO

ANTONINI, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO BARRELLA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ALESSANDRO RICCIO, MAURO RICCI e GIUSEPPINA GIANNICO,

giusta delega in atti;

– controricorrente-

nonchè contro

MINISTERO ECONOMIA E DELLE FINANZE C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 370/2009 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 30/07/2009, R.G. N. 651/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/05/2016 dal Consigliere Dott. DORONZO ADRIANA;

udito l’Avvocato GIUSEPPINA GIANNICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’appello di Cagliari, con sentenza depositata il 30 luglio 2009, ha rigettato l’appello proposto da P.P. contro la sentenza resa dal Tribunale di Cagliari tra l’appellante, l’INPS e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con cui in parziale accoglimento della domanda l’INPS era stato condannato al pagamento dell’indennità speciale prevista per i ciechi parziali ventesimisti con decorrenza dalla data della domanda amministrativa del 20/9/2004 fino al mese di novembre 2004. Le spese di lite erano state poi compensate.

2. La Corte territoriale, dopo aver disposto il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio già disposta e rinnovata in prime cure, ha accertato che il P. era stato affetto da una encefalite virale che aveva determinato, durante la fase acuta della malattia, una compromissione della funzione visiva con residuo inferiore a 1/10 in entrambi gli occhi fino al 19/11/2004. Ha pertanto rigettato, condividendo il giudizio del primo giudice, la domanda volta ad ottenere la pensione, nonchè la detta indennità per un periodo superiore a quello riconosciuto in prime cure. Nessun provvedimento sulle spese ha poi adottato non ravvisando la manifesta infondatezza e temerarietà della lite.

3. Contro la sentenza, il P. propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi, cul resiste con controricorso l’INPS. Il Ministero della Economia e delle finanze non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio lamentando il mancato esame, da parte della Corte territoriale della certificazione rilasciata in data 19/11/2004 dalla Clinica oculistica dell’Università degli Studi di Cagliari, in cui si dà atto che il ricorrente era nelle(condizione di cieco, avendo un visus pari ad 1/30 nell’occhio destro e ad 1/60 nell’occhio sinistro. Aggiunge che la Corte territoriale, così come il giudice di primo grado, non aveva considerato sia il certificato medico del (OMISSIS), rilasciato dall’ambulatorio di oculistica del Poliambulatorio di (OMISSIS), sia la certificazione del (OMISSIS), da cui risultava un visus in entrambi gli occhi di 1/20, e il successivo certificato del 19/11/2004, rilasciato dal centro immunologico del policlinico Universitario di Cagliari, da cui risultava che nel novembre 2004 il ricorrente presentava un’infezione classificabile nello stadio C1 (AIDS conclamato).

1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, perchè la parte non trascrive, ma solo riassume, il contenuto delle certificazioni mediche che assume non essere state valutate dalla Corte territoriale, non le deposita unitamente al ricorso per cassazione nè fornisce precise indicazioni per un loro facile reperimento in questa fase del giudizio. Con ciò la parte non rispetta il duplice onere imposto, a pena di inammissibilità del ricorso, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (v. Cass., 12 dicembre 2014, n. 26174; Cass., 7 febbraio 2011, n. 2966).

2. Il secondo motivo è incentrato sulla nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione alla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 3, e alla L. 10 febbraio 1962, n. 66, art. 8. Si assume che la Corte non avrebbe esaminato lo specifico motivo di doglianza, volto ad ottenere il riconoscimento della pensione, oltre all’indennità speciale, che era stato respinto dal tribunale sulla base della considerazione della non permanenza dello stato di cecità, venuto meno a partire dal mese di dicembre del 2004 e non più verificatosi. Secondo il ricorrente dalla documentazione risultava che il P. era cieco ventesimista fin dal marzo 2004 e tale era ancora alla data di presentazione della domanda amministrativa; che nessuna norma esclude il diritto alla pensione laddove il requisito sanitario risulta al momento della domanda ma venga poi meno successivamente; che le due previdenze (indennità speciale e pensione) sono compatibili tra di loro, sicchè sussisteva il suo diritto ad una pronuncia sul punto, omessa dalla Corte d’appello.

2.1. Questo motivo è infondato. Se è pur vero che la corte d’appello non ha espressamente motivato In ordine al motivo di doglianza, puntualmente trascritto dalla parte nel ricorso per cassazione, è altrettanto vero che attraverso il richiamo alla sentenza del primo giudice e alla consulenza tecnica d’ufficio disposta in grado d’appello, che aveva confermato le conclusioni dei consulenti nominati in primo grado, ha fatto proprie, rispettivamente, la motivazione della sentenza e le risultanze delle CTU: sono pertanto chiaramente enucleabili le ragioni che hanno indotto la Corte ad escludere il diritto alla pensione, in ragione della transitorietà della patologia visiva, secondaria ad altra malattia durante la sua acuzie e non più ripresentatasi.

2.2. La nozione di cecità da porre a fondamento del riconoscimento del diritto a pensione di invalidità per i soggetti privi di vista va desunta dalla L. n. 66 del 1962, art. 8 e della L. n. 382 del 1970, art. 1, secondo i quali possono beneficiare della suddetta provvidenza i ciechi assoluti e coloro che hanno un residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione (da ultimo, Cass., 18954 del 16/09/2011; 4450 del 08/04/2000). La legge riconnette alla cecità assoluta o al residuo visivo non superiore ad 1/20 il diritto alla pensione, senz’altra specificazione ma la finalità della provvidenza e le esigenze di armonia del sistema Impongono di interpretare tale nozione alla luce di quanto è desumibile dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12, che, non diversamente dall’inabilità prevista dalla L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 2, suppone una condizione di “permanenza” dello stato invalidante.

Come questa Corte ha avuto più volte modo di sottolineare (cfr. Cass., 9 agosto 2002, n. 12125; Cass., 18 novembre 1997, n. 11483; Cass. 24 luglio 1990 n. 7480), in tema di riduzione della capacità di lavoro, ai fini del diritto alla pensione dl invalidità, il carattere della permanenza non si identifica con la definitività e immutabilità dello stato invalidante, in quanto anche un’infermità emendabile e guaribile può far luogo ad Incapacità di lavoro pensionabile e non viene meno per l’eventualità di una riduzione o eliminazione dello stato invalidante a seguito di cure medico – chirurgiche (o con l’uso di adeguati apparecchi di protesi).

Tuttavia, è necessario che la situazione patologica sia connotata da una certa perduranza significativa nel tempo, sì da determinare una reale situazione di bisogno: il requisito della permanenza ricorre ogni qualvolta la condizione d’invalidità (nel caso di specie la cecità assoluta o ridotta ad 1/20 per ciascun occhio) sia riferibile ad un’infermità di durata incerta ed indeterminata e deve pertanto essere escluso nel caso in cui la previsione di guarigione dell’assicurato, per effetto di adeguate e tempestive cure, sia affermata non in base ad una mera prospettazione ipotetica bensì, con riferimento al caso concreto, in base ad un ragionevole giudizio prognostico (Cass., 15 maggio 1984, n. 2967).

Di tale principio hanno fatto corretta applicazione i giudici di merito, avendo sostanzialmente accertato che, a fronte di una domanda amministrativa del settembre 2004, al novembre del 2004 il deficit visivo causato dalla malattia da cui era affetto il ricorrente era regredito e non si era più manifestato.

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.c., in relazione dell’art. 92 c.p.c., e assume che la Corte territoriale non avrebbe esaminato il terzo motivo di appello, con il quale aveva lamentato l’erroneità della decisione del giudice di primo grado di compensare le spese del relativo giudizio.

3.1. Sul punto, il ricorso per cassazione soddisfa il requisito di autosufficienza, avendo la parte riportato integralmente il motivo di appello sottoposto alla Corte territoriale e riguardante la decisione del Tribunale di compensare le spese, in ragione del “limitato periodo individuato dal consulente e (del) solo parziale accoglimento del ricorso”. E’ indubbio che la Corte territoriale ha omesso una qualsivoglia pronuncia sul punto, limitandosi a regolamentare le spese del suo grado.

3.2. Il riscontro della denunciata omissione di pronunzia consente nel contempo di delibare, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2 u.p., (come modificato dalla L. n. 40 del 2006, art. 12) anche la questione con esso introdotta, la quale è di puro diritto, non comportando accertamenti di fatto. Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111 Cost., comma 2, ed in base a lettura dell’art. 384 c.p.c., conforme a tali principi, la Corte di legittimità (investita, dalla citata novella procedimentale, di più estese funzioni rescissorie), può invero, una volta verificata l’omessa pronuncia su di un motivo di appello, omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, sempre che la questione di diritto Introdotta dal motivo non richieda ulteriori accertamenti in fatto (v. Cass, 28 ottobre 2015, n. 21968, che rinvia a Cass. ord. 8 ottobre 2014, n. 21257, nonchè a Cass. 15112/13, 18915/12, 8622/12, 5139/11, 2313/10).

Al riguardo deve rilevarsi che il ricorso introduttivo del giudizio, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, è stato depositato in data 17/6/2005. Esso è dunque precedente all’entrata in vigore della Legge di riforma del 28 dicembre 2005, n. 263, che con l’art. 2, comma 1, lett. a), ha modificato l’art. 92, comma 2, a norma del quale, nel testo successivo la riforma, se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.

La norma applicabile è pertanto, stante il disposto dello stesso art. 2, comma 4, L. cit. (che ha previsto l’applicazione del nuovo testo dell’art. 92 ai procedimenti instaurati dopo il 1 marzo 2006), l’art. 92 nel testo precedente alla riforma, a tenore del quale erano sufficienti per la compensazione delle spese i giusti motivi, anche non esplicitati.

Emerge invece che il giudice di primo grado ha puntualmente esplicitato le ragioni che le hanno indotto la compensazione delle spese e tali ragioni, in quanto fondate sul parziale accoglimento della domanda sia sotto il profilo dell’esclusione del diritto a pensione sia sotto quello del limitato riconoscimento del diritto all’indennità, sono congrue, logiche e rispondenti a diritto. La motivazione pertanto si sottrae ad ogni sindacato, non riscontrandosi alcuna violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le spese fossero state poste a carico della parte totalmente vittoriosa. La valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale rientra, invece, nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella (ricorrente nella fattispecie) della sussistenza di giusti motivi, e il giudice può compensare le spese processuali per giusti motivi (Cass., 17 novembre 2006, n. 24495).

4. In definitiva il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del controricorrente, in mancanza della certificazione prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c., ai fini dell’esenzione dal pagamento delle spese del giudizio. Nessun provvedimento sulle spese deve invece adottarsi nei confronti della parte rimasta intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1600,00, di cui Euro 1500,00 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali e accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti della parte rimasta intimata.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 29 agosto 2016

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