Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17400 del 20/08/2020

Cassazione civile sez. VI, 20/08/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 20/08/2020), n.17400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19507-2018 proposto da:

ARCA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MAURIZIO GIORGIO SILIMBANI;

– ricorrente –

contro

BANCO DI NAPOLI SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 73,

presso lo studio dell’avvocato ARNALDO DEL VECCHIO, rappresentata e

difesa dall’avvocato GENNARO IOLLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3077/2018 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 28/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 28 marzo 2018, n. 3077, respinse il gravame proposto da ARCA Assicurazioni s.p.a., nei confronti del Banco di Napoli s.p.a., avverso la decisione del Giudice di Pace di quella stessa città reiettiva della domanda della prima volta ad ottenere la condanna del menzionato Istituto di credito al risarcimento, in suo favore, di Euro 3.600,00 per aver pagato l’assegno bancario di traenza n. 6001341569 del 4 novembre 2011, di pari importo e munito di clausola di intrasferibilità, a soggetto (tale S.N.) diverso dal suo effettivo beneficiario ( C.E.).

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, dando ampiamente atto del contrasto giurisprudenziale allora esistente in ordine alla qualificazione della responsabilità della banca (oggettiva o colposa) ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, (cd. legge assegni), e della pendenza della relativa questione innanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ha comunque ritenuto: i) di condividere l’indirizzo interpretativo che considerava detta responsabilità come colposa; a) che la condotta della banca doveva valutarsi alla stregua dell’art. 1218 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1992 c.c., comma 2; iii) che, nella specie, il “…Banco di Napoli s.p.a., nell’esaminare il titolo e nell’identificare il prenditore, abbia adoperato la diligenza richiesta, con conseguente esclusione di ogni responsabilità, anche concorsuale, rispetto al pagamento (indebito) dell’assegno emesso…” (cfr. pag. 22 della decisione impugnata).

2. Per la cassazione della descritta sentenza ha proposto ricorso la ARCA Assicurazioni s.p.a., affidato a quattro motivi, l’ultimo dei quali è seguito, poi, dalle ulteriori argomentazioni sviluppate, nel medesimo atto, nei paragrafi contraddistinti, rispettivamente, dalle lettere A) e B). Resiste, con controricorso, il Banco di Napoli s.p.a., preliminarmente eccependo l’inammissibilità dell’avversa impugnazione per violazione dei necessari principi di chiarezza e sinteticità dei motivi che devono consentire ai contraddittori ed ai giudicanti di individuare, con immediatezza, i temi controversi. La ricorrente ha depositato memoria e./- art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE.

1. Con le formulate censure si assume, rispettivamente:

I) che la sentenza impugnata “è confusa e contraddittorio”, violativa di plurime disposizioni normative, “inesistente dal punto di vista grafico, ovvero meramente apparente”, ovvero ancora nulla in quanto emessa in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4. L’unico richiamo normativo, in questo motivo, è quello all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

II) circa il rinvio al “caso fortuito”, asseritamente invocato dalla sentenza predetta quale causa di esonero dalla responsabilità derivante dalla violazione dell’art. 43 legge assegni, che il richiamo a tale principio “per un verso, viola l’art. 1218 c.c. (che non lo prevede) sotto il profilo di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., e, per altro verso, viola l’art. 132 c.p.c., comma 4, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, non fosse altro perchè richiamare alla stregua di caso fortuito una situazione notoriamente di più che frequente ricorrenza elide, in radice, la possibilità di individuare una qualsivoglia fortuità nell’evento che si assume liberatorio” pag. 12 del ricorso);

III) che, attraverso il richiamo della impossibilità sopravvenuta, si perviene alla violazione dell’art. 1218 c.c., “in riferimento all’art. 1256 c.c., ovvero in riferimento all’art. 1436 c.c., quanto alle conseguenze, rilevante sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 3, giacchè, nel caso che ci occupa, non si possono applicare i principi dettati in tema di impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore, non fosse altro perchè la prestazione (pagamento del titolo pur intrasferibile) è stata eseguita, sia pure ad altri che non al creditore. E comunque, al minimo, l’affermazione della impossibilità sopravvenuta costituisce vizio deducibile ex art. 360 c.p.c., n. 5, a causa della mancata specificazione di qualunque aspetto dell’impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile, sostanzialmente sussunta nel Atto del terzo (mentre la prestazione ricade sotto l’esclusivo controllo della banca), senza alcuna specifica giustificazione al riguardo, cosa che rende nulla la sentenza per difetto di motivazione ex art. 132 c.p.c., n. 4” (cfr. pag. 12-13 del ricorso);

IV) un “contrasto irriducibile” tra le affermazioni contenute nella motivazione della decisione impugnata o, comunque, una difficile individuazione, tra le varie, di quella posta a base della decisione. Ciò “concretizza la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e rende nulla la sentenza in riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4, violazione già dedotta con il primo motivo di ricorso” (cfr. pag. 13 del ricorso). In ogni caso, sarebbe chiara la violazione contemporanea dell’art. 43 della legge assegni (sotto il duplice profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), nonchè degli artt. 1218 (ovvero dei principi stabiliti in materia di responsabilità contrattuale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), art. 1992 c.c., comma 2, e art. 1189 c.c. (entrambi dedotti sotto il profilo concomitante, ovvero esclusivo, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5). A questa doglianza segue l’affermazione che “la censura si dirige ad ogni riflessione effettuata dal Tribunale, che verrà vagliata in prosieguo in base alla successione di ogni argomento addotto in sentenza”, successivamente alla quale vengono sviluppate le ulteriori argomentazioni nei paragrafi contraddistinti, rispettivamente, dalle lettere A) e B).

2. Va immediatamente ed opportunamente precisato che la pregiudiziale eccezione di inammissibilità prospettata dalla controricorrente sarà esaminata con riferimento alle singole doglianze prospettate dalla ricorrente.

3. Fermo quanto precede, il primo motivo è palesemente inammissibile, posto che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 28 marzo 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).

3.1. La descritta novella, dunque, esclude la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione, essendosi introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione (con l’osservanza, peraltro, degli oneri di allegazione puntualmente sanciti da Cass., SU. n. 8053 del 2014), relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha precisato che non costituiscono “fattì, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (0-. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); ii) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti Cass., SU, n. 8053 del 2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” Cass. n. 21439 del 2015)

3.2. Nella specie, la decisione impugnata, dopo aver dato ampiamente atto del contrasto giurisprudenziale allora esistente in ordine alla qualificazione della responsabilità della banca (oggettiva o colposa) ai sensi del R.D. n. 1736 del 1933, art. 43, comma 2, (cd. legge assegni), e della pendenza della relativa questione innanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ha ritenuto: r) di condividere l’indirizzo interpretativo che considerava detta responsabilità come colposa; a) che la condotta della banca doveva valutarsi alla stregua dell’art. 1218 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1992 c.c., comma 2; iii) che, nella specie, il “… Banco di Napoli s.p.a., nell’esaminare il titolo e nell’identificare il prenditore, abbia adoperato la diligenza richiesta, con conseguente esclusione di ogni responsabilità, anche concorsuale, rispetto al pagamento (indebito) dell’assegno emesso…” (cfr. pag. 22 della decisione impugnata). Risulta, dunque, esaustivamente soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è appena detto, nè il motivo reca la chiara indicazione di eventuali `fatti storia”, controversi e decisivi, il cui esame sarebbe stato omesso dal tribunale.

4. Per le medesime considerazioni, deve considerarsi inammissibile il quarto motivo, almeno nella parte in cui, assumendosi un “contrasto irriducibile” tra le affermazioni contenute nella motivazione della decisione impugnata o, comunque, una difficile individuazione, tra le varie, dell’affermazione posta a base della decisione, si afferma che ciò “concretizza la violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, e rende nulla la sentenza in riferimento all’art. 132 c.p.c., n. 4″ violazione già dedotta con il primo motivo di ricorso”.

5. Il secondo ed il terzo motivo, nonchè la residua parte del quarto, anche laddove afferma che “la censura si dirige ad ogni riflessione effettuata dal Tribunale, che verrà vagliata in prosieguo in base alla successione di ogni argomento addotto in sentenza”, successivamente alla quale vengono sviluppate le ulteriori argomentazioni nei paragrafi contraddistinti, rispettivamente, dalle lettere A) e B), sono suscettibili di esame congiunto stante l’evidente connessione tra gli stessi esistente. Essi, peraltro, si rivelano complessivamente inammissibili alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.

5.1. In primo luogo, va subito osservato che tali censure investono, cumulativamente, la pretesa violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme in materia di: a) responsabilità della banca per l’avvenuto pagamento di un assegno bancario di traenza, munito di clausola di intrasferibilità, a soggetto diverso dal suo effettivo beneficiario; b) inadempimento contrattuale; c) esonero del debitore da responsabilità per caso fortuito; d) onere e di valutazione delle prove; c) esecuzione del contratto. Peraltro, la stessa prospettazione dei motivi è caratterizzata dalla continua mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, mentre, in tema di ricorso per cassazione, non è consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse gr. Cass. n. 26874 del 2018)

5.1.1. Infine, le argomentazioni sviluppate nei paragrafi A) e B) che fanno seguito alla descrizione del quarto motivo spesso riguardano passi motivazionali della sentenza impugnata che, lungi dal potersi tacciare di contraddittorietà, altro non sono che ipotesi descritte dal tribunale al chiaro scopo di indicare una casistica dei variegati indirizzi giurisprudenziali circa il grado di colpa ed il criterio di affermazione della responsabilità di cui all’art. 43 della c.d. legge assegni.

5.2. Tanto premesso, va osservato che, come questa Corte ha già ripetutamente chiarito (cfr. amplius, Cass. n. 8009 del 2019; Cass. n. 9570 del 2017; Cass. n. 5048 del 2016; Cass. n. 21297 del 2016), in tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 2 – cd. codice del processo amministrativo – (secondo cui “il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica”), esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’intera impugnazione o del singolo motivo di ricorso. E ciò, non già per l’irragionevole estensione dell’atto o del motivo (la quale non è normativa sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 (“e3posi.zione sommaria dei fatti della causa”) e 4 (“motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”) dell’art. 366 c.p.c., assistite – queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità.

5.2.1. Il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva collide, invero, con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, ed in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonchè di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui (cfr. Cass. n. 17698 del 2014), ricordandosi, peraltro, che, secondo la Corte EDU, il diritto di accedere al giudice di ultima istanza non è assoluto e, sulle condizioni di ricevibilità dei ricorsi, gli Stati hanno un sicuro margine di apprezzamento, potendo prevedere restrizioni a seconda del ruolo svolto dai vari organi giurisdizionali e dell’insieme delle regole che governano il processo (cfr. Corte EDU, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia; Cass., SU. n. 30996 del 2017, 5 2.3; Cass. n. 23018 del 2019).

5.3. Ebbene, è evidente che, nel caso di specie, la deduzione cumulativa – in ognuna delle predette censure – di profili concernenti, sotto molteplici aspetti della vicenda processuale, il giudi7io di diritto operato dal giudice di seconde cure, confusi e mescolati, peraltro, a diversi profili concernenti il giudizio di fatto, rende certamente confusa e scarsamente intellegibile, se non l’esposizione dei fatti di causa rilevanti per la decisione, certamente le doglianze stesse mosse avverso la sentenza gravata.

5.4. A tanto deve poi aggiungersi, in ogni caso, che le Sezioni Unite di questa Corte, componendo il contrasto presentatosi fra le sezioni semplici (e di cui il tribunale partenopeo ha dato ampiamente conto), hanno interpretato, con funzione nomofilattica, l’art. 43, comma 2, legge assegni (“colui che paga un assegno non trai) ibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l’incasso, risponde del pagamento”). In particolare, le sentenze S.U., 21 maggio 2018, n. 12477 e 12478, hanno ribadito o pronunciato i seguenti principi di diritto: a) la norma predetta si applica anche all’assegno circolare, all’assegno bancario libero della Banca d’Italia ed all’assegno di traenza (usualmente utilizzato, in luogo del bonifico bancario, per il pagamento di un soggetto che non sia titolare di un conto corrente o di cui non si conoscono le coordinate bancarie) munito della clausola di intrasferibilità; b) l’espressione “colui che paga” adoperata dall’art. 43, comma 2, L. ass., si riferisce non solo alla banca trattaria (o all’emittente, nel caso di assegno circolare), ma anche alla banca negoziatrice, che è l’unica concretamente in grado di operare controlli sull’autenticità dell’assegno e sull’identità del soggetto che, girandolo per l’incasso, lo immette nel circuito di pagamento; ‘,) ha natura contrattuale la responsabilità cui si espone il banchiere che abbia negoziato un assegno munito della clausola di non trasferibilità in favore di persona non legittimata; d) specificamente: “ai sensi dell’art. 43, comma 2, legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176 c.c., comma 2.

5.4.1. La sentenza impugnata è, pertanto, assolutamente coerente con tali dicta (ribaditi anche da Cass. n. 25518 del 2018), avendo, come si è già detto, condiviso l’indirizzo interpretativo (ante pronuncia delle Sezioni Unite) che considerava la responsabilità de qua come colposa, assumendo, così, che la condotta della banca doveva valutarsi alla stregua dell’art. 1218 c.c., art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1992 c.c., comma 2, e concludendo, infine, all’esito di accertamenti fattuali – e con una motivazione che non integra affatto violazione dei principi dettati in tema di onere della prova e di prova presuntiva, oltre che priva di vizi logici, siccome basata sulla puntuale e dettagliata descrizione e ponderazione di indici concreti – nel senso, il “… Banco di Napoli s.p.a., nell’esaminare il titolo e nell’identificare il prenditore, abbia adoperato la diligenza richiesta, con conseguente esclusione di ogni responsabilità, anche concorsuale, rispetto al pagamento (indebito) dell’assegno emesso…” (cfr. pag. 22 della decisione impugnata).

5.4.2. Le argomentazioni della odierna ricorrente rinvenibili nelle censure in esame – pure a volerne sottacere i profili di inammissibilità già precedentemente descritti – si risolvono, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui la prima intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e/o di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

5.5. Va evidenziata, infine, l’inammissibilità della questione concernente l’asserito concorso di colpa del creditore, ex art. 1227 c.c., comma 1, adombrata alle pagine 28-29 del ricorso.

5.5.1. Non solo, infatti, dalla sentenza impugnata non emerge che, in relazione a questo specifico profilo, era stato prospettato un puntuale motivo di gravame ad opera di Arca Assicurazioni s.p.a., la quale, peraltro, nemmeno indica in questa sede, come sarebbe stato suo preciso onere, l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, indicandone lo specifico atto del giudizio precedente in virtù del principio di autosufficienza del ricorso (ricordandosi che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio, – cfr. Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 7981 del 2007; Cass. n. 16632 del 2010 – sicchè, in quest’ottica, il ricorrente ha l’onere di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado. Cfr. Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000), ma, in ogni caso, il tribunale partenopeo, alla stregua degli accertamenti fattuali svolti, e, qui, come si è detto, non ulteriormente sindacabili, ha espressamente escluso qualsivoglia responsabilità “anche concorsuale” (cfr. pag. 22 della sentenza impugnata) della banca ivi appellata.

6. Il ricorso va, in definitiva, dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017), e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 23535 del 2019 – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ARCA Assicurazioni s.p.a. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal Banco di Napoli s.p.a., liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2020

 

 

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