Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1740 del 27/01/2010

Cassazione civile sez. II, 27/01/2010, (ud. 20/10/2009, dep. 27/01/2010), n.1740

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. ATRIPALDI Umberto – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A.M., titolare della ditta individuale SINDONI

COSTRUZIONI DI SINDONI ANNA MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio dell’avvocato DI

PIETRO UGO, rappresentata e difesa dall’avvocato CALPONA BENEDETTO;

– ricorrente –

contro

ASSESS. REG. IND. REG. SICILIA CORPO REG. MINIERE DISTRETTO MINERARIO

CATANIA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

CORPO REG. MINIERE DISTRETTO MINERARIO CATANIA in persona del legale

rappresentante pro tempore, L.F.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1297/2004 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata

il 05/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

20/10/2009 dal Consigliere Dott. PARZIALE Ippolisto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

S.A.M., titolare della ditta individuale Sindoni Costruzioni, impugna la sentenza n. 1297 del 2004, depositata il 5 maggio 2004, non notificata, con la quale il tribunale di Messina respingeva la sua opposizione all’ordinanza ingiunzione n. 16 del 2002, emessa dall’ingegnere capo del distretto minerario di Catania in data 6 novembre 2002 e a lei notificata il 2 dicembre 2002 con la quale le veniva ingiunto il pagamento della complessiva somma di Euro 20.740,00 come sanzione amministrativa per la violazione della L.R. Sicilia n. 127 del 1980, art. 9 avendo abusivamente esercitato una cava di argilla in contrada (OMISSIS) in assenza della prescritta autorizzazione.

Il giudice di primo grado rigettava l’opposizione, rilevando l’inapplicabilita’ al procedimento del quo della L. n. 241 del 1990, art. 2 nonche’ l’inapplicabilita’ della L. n. 689 del 1981, art. 9 poiche’ l’esercizio abusivo della cava in assenza di autorizzazione mineraria costituiva illecito amministrativo autonomamente punibile a prescindere dall’eventuale commissione di reati. In ogni caso la sentenza penale del tribunale di Messina del 5 febbraio – 17 marzo 2003 con la quale la ricorrente era stata assolta dal reato di furto aggravato in relazione alla sottrazione di materiale argilloso di scavo prelevato dal terreno in questione, non poteva esplicare alcuna efficacia nel giudizio amministrativo non essendo stata l’amministrazione parte del procedimento penale. Infine il giudice del tribunale di Messina riteneva insussistente la causa di giustificazione dedotta dalla ricorrente secondo la quale i lavori erano stati compiuti in esecuzione di un ordine del sindaco del Comune di (OMISSIS), che, con provvedimento contingibile ed urgente numero 16 del 4 marzo 1999, aveva ordinato di eseguire i lavori di cui al progetto per la realizzazione di una discarica RSU, approvato con Delib. giunta municipale 25 febbraio 1999, n. 55. Osservava al riguardo il giudice che la realizzazione della discarica avrebbe dovuto essere effettuata nel rispetto delle norme di polizia mineraria e in ogni caso senza asportazione di argilla, come peraltro indicato nel progetto (il giudicante richiama la nota n. 2828 del dirigente tecnico del comune di Vcnatico in data 5 maggio 1999).

Osservava ancora il giudice che l’utilizzazione del materiale scavato al di fuori della discarica era comportamento idoneo a configurare un’attivita’ di cava “camuffata”. Afferma il giudicante che nel caso in esame “risulta ampiamente accertato che la Sindoni Costruzioni non si limito’ a realizzare la discarica, ma trasporto’ altrove il materiale estratto per un’utilizzazione che certamente non rispondeva alle esigenze della suddetta discarica”. A sostegno di tale affermazione il giudicante richiamava le dichiarazioni rese agli ispettori del distretto minerario di Catania da M.S. che si trovava sul posto alla guida di un escavatore, il quale aveva affermato che l’argilla estratta veniva trasportata in uno stabilimento di laterizi di proprieta’ della ditta L.F.. In relazione a tale quadro probatorio il giudice riteneva infine superflua la prova testimoniale richiesta.

Avverso tale decisione propone ricorso parte ricorrente la quale articola tre motivi.

Resiste con controricorso l’Assessorato dell’Industria della Regione Siciliana. L.F.P. non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e’ infondato e va respinto.

Col primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto (L. n. 241 del 1990, artt. 1 e 2 nonche’ della L. n. 689 del 1981, art. 18) e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Lamenta che il giudice dell’opposizione aveva errato nel ritenere che nel procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative ex L. n. 689 del 1981 non trova applicazione la disposizione di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 2.

La censura e’ infondata. Il Tribunale ha affermato un principio prevalente nella giurisprudenza di questa Corte che ha trovato conferma nella sentenza n. 9591 del 2006 delle Sezioni Unite, che hanno affermato che “la disposizione di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 2, comma 3 tanto nella sua originaria formulazione applicabile “ratione temporis”, secondo cui il procedimento amministrativo deve essere concluso entro il termine di trenta giorni, quanto nella formulazione risultante dalla modificazione apportata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 36 bis convertito dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, secondo cui detto termine e’ di novanta giorni, nonostante la generalita’ del testo legislativo in cui e’ inserita, e’ incompatibile con i procedimenti regolati dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce un sistema di norme organico e compiuto e delinea un procedimento di carattere contenzioso scandito in fasi i cui tempi sono regolati in modo da non consentire, anche nell’interesse dell’incolpato, il rispetto di un termine cosi’ breve”. Da questo principio non vi e’ ragione di discostarsi, stante la sua coerenza con la lettera e lo scopo della norma da cui e’ stato desunto.

Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e della L. n. 689 del 1991, artt. 4 e 9 nonche’ omessa motivazione. Lamenta parte ricorrente l’erronea valutazione del materiale istruttorio acquisito in giudizio. Il giudice dell’opposizione non aveva tenuto conto dell’esito del giudizio penale che aveva escluso la sussistenza del fatto. Sussistevano i presupposti per l’applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 9 (stante l’identita’ del fatto) e all’amministrazione, pur non costituitasi parte civile, la sentenza penale in questione era opponibile perche’ aveva giudicato sugli stessi fatti. Inoltre l’esecuzione degli scavi era stata effettuata su ordine dell’autorita’ amministrativa. Il giudicante non aveva tenuto in considerazione, da un lato, che l’argilla asportata era stata momentaneamente collocata a ridosso dell’area limitrofa e che, dall’altro, i soggetti operanti erano entrambi dipendenti di ditte estranee alla ricorrente, sicche’ la loro attivita’ non le era riferibile.

Anche il secondo motivo e’ infondato. Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, infatti, il tribunale, nella sua ampia motivazione al riguardo, ha espressamente considerato la pronuncia del tribunale penale di Messina con la quale la signora S. era stata assolta dal reato di furto aggravato. Ha osservato che la sanzione amministrativa irrogata, riguardando la diversa fattispecie dell’esercizio abusivo della cava in assenza di autorizzazione mineraria, riguardava un fatto distinto che non costituiva elemento del fatto reato contestato, con la conseguenza che restava inapplicabile il principio di specialita’ di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9. Correttamente il tribunale ha rilevato che si trattava di due fatti distinti ed autonomi di comportamento tra i quali intercorrevano rapporto non d’identita’, ma soltanto di connessione teleologica con conseguente inapplicabilita’ della L. n. 689 del 1981, art. 9 (vedi al riguardo Cass. 2004 n. 6769 la quale ha affermato che: “la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9 il quale postula che la violazione amministrativa in astratto contestabile costituisca un elemento del fatto – reato, essendone parte integrante, non trova quindi applicazione allorche’ illecito amministrativo e illecito penale si riferiscano a due momenti distinti del comportamento del trasgressore e tra di essi intercorra, non un rapporto di identita’, ma soltanto di connessione teleologia”).

Quanto al contenuto della contestazione il tribunale ha ampiamente valutato le prove disponibili, concludendo che sul posto era stata realizzata una cava abusiva, al riguardo non avendo alcuna rilevanza il provvedimento contingibile ed urgente n. 16 del 1999 del Comune di (OMISSIS) con il quale si ordinava di “eseguire i lavori di cui al progetto per la realizzazione di una discarica, approvato con Delib.

G.M. n. 55 del 25 febbraio 1999”, in quanto in ogni caso la realizzazione della discarica avrebbe dovuto essere condotta nel rispetto delle norme di polizia mineraria e soprattutto senza l’asportazione dell’argilla, come risultava indicato lo stesso progetto richiamato dal Comune di (OMISSIS), dovendosi invece ritenere la utilizzazione del materiale scavato al di fuori della discarica come comportamento idoneo a configurare un’attivita’ di cava “camuffata”.

Infine, col terzo motivo si deducono vizi di motivazione in ordine all’esame dell’istanza istruttoria relativa all’ammissione della prova testimoniale. Al riguardo la sentenza impugnata analizza tutte le prove disponibili, in particolare le relazioni contenute nelle visite ispettive, anche con riferimento alle dichiarazioni rese da M.S., che si trovava sul posto di guida di un escavatore, il quale aveva affermato che l’argilla estratta veniva trasportata in uno stabilimento di laterizi di proprieta’ della ditta L.F.P.. Quanto poi alle prove testimoniali chieste dall’opponente, il giudice affermava quanto segue: “a fronte di tale quadro probatorio coerente ed omogeneo, la prova testimoniale chiesta dall’opponente appare, allora, superflua. Non pale, d’altronde, osservare che con nota pervenuta il 27 aprile 1999 il sindaco del Comune di Venefico abbia dichiarato che i materiali di risulta venivano depositati in un’area limitrofa onde consentirne il successivo riutilizzo per i procedimenti di costipamento e rinterro, in quanto tale asseritone risulta palesemente smentita, almeno sino alla data 19 aprile 1999, dagli esiti dell’accertamento ispettivo prima brevemente riassunti. Irrilevante risulta, inoltre, la circostante che lavori di scavo per la realizzazione della discarica siano stati eseguiti su ordine del sindaco del Comune di Messina, perche’ e’ evidente che questi si limito’ ad ingiungere la legittima esecuzione delle opere progettate non anche ulteriore attivita’ finalizzata ad una utilizzazione non consentita del materiale estratto. La successiva nota del 14 giugno 1998, con la quale il sindaco del Comune di (OMISSIS) ordinava alla ditta Sindoni Costruzioni di trasportare a rifiuto il materiale di scavo in un raggio non superiore ai km 1,5, non puo’, d’altronde, essere presa in considerazione perche’ successiva al comportamento illegittimo contestato e chiaramente riferibile a materiale derivante dagli ulteriori scavi, mentre per il periodo antecedente e’ certo che l’ente locale avesse, viceversa, ordinato la ditta Sindoni Costruzioni di non utilizzare materiale di risulta asportato, da utilizzarsi in seguito per rinterro dei rifiuti e di fornire indicazioni sulla collocazione del materiale accantonato (vedi nota n. 2826 di protocollo datata 5 maggio 1999)”.

Il giudice ha, quindi, ampiamente motivato sulle ragioni della mancata ammissione delle prove, ne’ al riguardo vi e’ specifica ed analitica censura al riguardo, avendo invece parte ricorrente argomentato sulla valutazione delle prove documentali, prospettando una diversa valutazione delle stesse. Le spese seguono la soccombenza.

P.T.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio in favore della parte intimata costituita, liquidate in complessivi Euro 3.000,00 per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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