Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17396 del 19/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/08/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 19/08/2011), n.17396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA “G MARTINO”, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, (Ostia

Lido), VIA CARLO DEL GRECO 59, presso lo studio dell’avvocato LA

MOTTA DORA, rappresentata e difesa dall’avvocato TOMMASINI RAFFAELE,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALARIA 227, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA JASONNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato TORTORIELLO RAFFAELE, giusta

procura notarile ad litem e memoria di costituzione in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 916/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 06/10/2006 r.g.n. 1398/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato TORTORIELLO RAFFAELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1- La sentenza attualmente impugnata rigetta gli appelli proposti rispettivamente, in via principale e in via incidentale, dall’Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Marino” e da T.M. avverso la sentenza del Tribunale di Messina n. 2912/04 del 4 ottobre 2004, dichiarativa dell’illegittimità del provvedimento di trasferimento del T. dal Laboratorio specialistico di Clinica pediatrica del locale Policlinico al Servizio accettazione del Laboratorio centralizzato dell’Azienda medesima, con esclusiva funzione di “medico prelevatore”, con condanna della datrice di lavoro all’adibizione del dipendente a mansioni equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dalla contrattazione collettiva, nonchè al risarcimento del danno subito dal T., con gli accessori di legge e le spese processuali.

La Corte d’appello di Messina, correggendo sul punto la decisione di primo grado, effettua il giudizio di equivalenza tra le mansioni prendendo come punto di riferimento quelle della classificazione professionale prevista dalla contrattazione collettiva (anzichè quelle in concreto svolte da ultimo) e quelle di destinazione (ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52).

Peraltro, l’applicazione di tale diverso sistema porta alla medesima conclusione del Tribunale nel senso dell’avvenuto demansionamento, visto che le mansioni assegnate al profilo professionale di inquadramento dei T. – di funzionario tecnico dell’area funzionale tecnico-scientifica e socio-sanitaria – sono, all’evidenza, molto più complesse di quelle di “medico prelevatore” attribuitegli per effetto dell’impugnato trasferimento.

La Corte messinese ritiene inoltre ineccepibili le argomentazioni del primo giudice in merito alla quantificazione del risarcimento del danno subito dal T..

2- Il ricorso dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “G Marino” domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste con controricorso T.M..

Le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi del ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 23 del 1986, artt. 12 e 14; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, difetto di motivazione, omessa e/o errata valutazione di circostanza decisiva ai fini della pronuncia, illogicità manifesta della motivazione.

Si sottolinea che la Corte d’appello – pur avendo rilevato l’errore commesso dal Tribunale, consistente nell’aver effettuato il giudizio di equivalenza delle mansioni prendendo come riferimento quelle svolte prima del trasferimento anzichè quelle corrispondenti alla qualifica come risultante dalla contrattazione collettiva – tuttavia è pervenuto ugualmente alla conclusione del demansionamento.

Secondo la ricorrente, ciò sarebbe accaduto perchè la Corte messinese pur richiamando la L. n. 23 del 1986, art. 12 – erroneamente indicata come L. n. 23 del 1989 – non si è resa conto della assoluta ultroneità di tale legge rispetto all’inquadramento del T..

Conseguentemente, la Corte, da un lato, ha seguito l’impostazione (sbagliata) del lavoratore relativamente alla necessarietà dei compiti di coordinamento e controllo di altro personale, che invece la suddetta norma prevede solo come eventuali per il coordinatore tecnico, e, dall’altro lato, non ha avuto modo di accorgersi che il T. non appartiene al ruolo speciale del personale tecnico- scientifico (cui si riferiscono il suddetto art. 12 e il successivo art. 14), ma al ruolo dei meri funzionari tecnici.

Del resto, dalle stesse ammissioni rese in giudizio dall’interessato è agevole desumere che egli non ha avuto nè mai avrebbe potuto avere, non avendo mai partecipato al relativo concorso, i compiti che la Corte messinese gli ha inspiegabilmente riconosciuto, così ritenendo essersi verificato un demansionamento, nei fatti insussistente data l’assimilabilità delle nuove mansioni rispetto a quelle di competenza, posto che l’attività di “prelevatore” sarebbe stata solo una delle diverse attività da svolgere nella nuova sede di lavoro.

2.- Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione erronea per mancanza dei presupposti.

In conseguenza dell’auspicato accoglimento del primo motivo, con correlativa dichiarazione della legittimità del provvedimento del 25 marzo 1999, n. 1664 di trasferimento del T., si chiede di annullare la sentenza impugnata anche nella parte relativa alla condanna al risarcimento dei danni subiti dal T..

3 – Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. Si sostiene che la palese erroneità della sentenza impugnata comporta l’annullamento anche della parte in cui le spese di entrambi i gradi del giudizio sono state poste a carico della attuale ricorrente.

2 – Esame dei motivi del ricorso.

4- Il primo motivo non è fondato.

In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte, ai fini della verifica de legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, deve essere valutata, dal giudice di merito – con giudizio di fatto incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato – la omogeneità tra le mansioni successivamente attribuite e quelle di originaria appartenenza, sotto il profilo della loro equivalenza in concreto rispetto alla competenza richiesta, al livello professionale raggiunto ed alla utilizzazione del patrimonio professionale acquisito dal dipendente (vedi per tutte: Cass. SU 24 novembre 2006, n. 25033; Cass. 8 giugno 2009, n. 13173).

Per quel che riguarda l’impiego contrattualizzato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, nell’ipotesi in cui le mansioni attribuite ad un dipendente pubblico siano modificate come conseguenza di un atto amministrativo che incide sulle linee fondamentali e di organizzazione dell’ente, compete al giudice del merito, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A, la interpretazione dell’atto amministrativo, e la relativa valutazione è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata ed immune dalla violazione delle norme che, dettate per la interpretazione dei contratti, sono applicabili anche agli atti amministrativi (Cass. 11 settembre 2007, n. 19025).

Peraltro, nel suddetto settore, se il lavoratore agisce per il riconoscimento del diritto all’assegnazione di mansioni equivalenti alle ultime esercitate, resta esclusa la possibilità della disapplicazione di un atto amministrativo organizzativo in base al quale è stata disposta la variazione di mansioni, qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, restando la materia della mansioni del pubblico dipendente disciplinata compiutamente dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62, comma 1), che assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale in riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa aversi riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 cod. civ. e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. 5 agosto 2010, n. 18283).

Ciò in quanto in tema di pubblico impiego privatizzato, il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 1, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito – attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell’organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse – un concetto di equivalenza “formale”, ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice. Conseguentemente, condizione necessaria e sufficiente affinchè le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita (Cass. 11 maggio 2010, n. 11405) e non sindacabile dal giudice.

Ove, tuttavia, vi sia stato, con la destinazione ad altre mansioni, il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa, la vicenda esula dall’ambito delle problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressochè integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego (Cass. 21 maggio 2009, n. 11835).

Nella specie, la Corte d’appello di Messina si è attenuta ai suddetti principi in quanto, attraverso l’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 ha confrontato le mansioni corrispondenti alla qualifica di appartenenza – desunta dalle risultanze processuali (in particolare: decreto rettorale 5 novembre 1992) lette alla luce della normativa legale e contrattuale applicabili -con quelle di destinazione ed è giunta, con motivazione congrua e logica, alla conclusione della sussistenza del lamentato demansionamento, reso evidente dall’assegnazione della esclusiva attività materiale di prelievo di campioni ematici, a fronte delle ben più complesse attività di competenza (che, in base ai su riportati principi, può configurare la specifica ipotesi di “sottrazione pressochè totale delle funzioni da svolgere”, vietata in quanto tale nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato).

6 – Alla infondatezza del primo motivo consegue quella del secondo e del terzo formulati -senza specifica argomentazione e, nel caso del terzo, anche senza il prescritto quesito di diritto -sul presupposto della fondatezza del primo motivo.

3 – Conclusioni.

7 – In sintesi il ricorso deve essere respinto e la ricorrente Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Marino” va condannata alle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 30,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2011

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