Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17396 del 13/07/2017

Cassazione civile, sez. II, 13/07/2017, (ud. 04/04/2017, dep.13/07/2017),  n. 17396

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. CRICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1718/2013 proposto da:

A.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

PARIOLI 67, presso lo studio dell’avvocato FABIO D’ANIELLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANO SALAROLI;

– ricorrente –

contro

M.M. (OMISSIS), MA.MA. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato

ELISABETTA RAMPELLI, rappresentati e difesi dagli avvocati MILENA

POLETTI, GAETANO LONGO DORNI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 850/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 16/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANO SALAROLI, difensore del ricorrente, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ELISABETTA RAMPELLI, con delega orale dell’Avvocato

GAETANO LONGO DORNI difensore dei controricorrenti, che ha chiesto

il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Verbania, con ordinanza depositata l’1 agosto 2005, accolse in via d’urgenza la domanda di reintegra avanzata da M.M. e Ma., i quali avevano esposto di essere proprietari di una casa d’abitazione con giardino, per accedere alla quale utilizzavano anche un passaggio pedonale, che attraverso la proprietà contigua di A.S., consentiva loro di raggiungere la strada pubblica e che di recente l’ A. aveva occluso il passaggio.

A.S., costituitosi, aveva negato la pretesa sulla base di una ricostruzione fattuale contrapposta: le parti erano cugini e l’immobile pervenuto al convenuto si apparteneva in vita al di lui padre, E., il quale, a sua volta, l’aveva acquistato dal proprio padre, A.G., il quale aveva venduto alla figlia Antonietta l’immobile oggi di proprietà dei M. e poichè dopo la vendita della sua proprietà il capostipite G. aveva continuato ad abitare con la figlia nella porzione immobiliare che oggi si appartiene ai M., il padre del convenuto, cioè A.E., aveva aperto sul retro della sua proprietà un cancelletto, per potersi recare a far visita al di lui padre; nessuno aveva mai utilizzato quell’accesso per raggiungere la strada pubblica, l’uso comunque era stato sempre sporadico e rimesso al permesso degli A.; inoltre i due cancelli posti sulla via pubblica erano muniti di chiave, che non era nella disponibilità dei M..

Il medesimo Tribunale, in composizione collegiale, con ordinanza depositata l’1 settembre 2005, riformò la prima statuizione cautelare e, pertanto rigettò il ricorso di M.M. e Ma..

Esaurito il giudizio di merito di primo grado sempre il medesimo Tribunale di Verbania, con sentenza depositata il 3 ottobre 2008, disattese la domanda possessoria.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 16 maggio 2012, in riforma della statuizione di primo grado, accordò la invocata tutela possessoria.

L’alternarsi di giudizi contrapposti rende necessario, pur nel perimetro decisorio di legittimità, riprendere, in sintesi, gli argomenti salienti utilizzati dai giudici del merito.

Il Tribunale aveva fondato il proprio convincimento ritenendo che il passaggio sul fondo del convenuto, a cagione della sua sporadicità, non aveva dato luogo a un esercizio di fatto assimilabile ad una servitù di passaggio, cosicchè gli attori avevano fallito nell’assolvere all’onere di fornire la prova del loro assunto.

Per contro la Corte d’appello, dopo aver analiticamente preso in considerazione le dichiarazioni testimoniali acquisite, ritenute per la gran parte inattendibili, per ambo le parti, aveva giudicato, invece, fondamentale la deposizione di tale B., conducente di scuolabus. Costui aveva dichiarato, in particolare, di aver visto le figlie di Ma.Ma. utilizzare i cancelli che davano sulla pubblica via, collocati a margine della proprietà A., per raggiungere i quali era evidentemente necessario entrare nella proprietà di quest’ultimi attraverso l’accesso interno.

Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione A.S., illustrando sei motivi di censura. Resistono con controricorso M.M. e Ma.. L’ A. all’approssimarsi dell’udienza ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 1168 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ritiene l’ A. che, a tutto concedere, la tutela possessoria non poteva essere accordata ai figli minori di Ma.Ma., non solo a motivo della loro incapacità legale, ma anche perchè “la convivenza, di per sè, non pone in essere, nelle persone che convivono con chi possiede, un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso sulla medesima”; in ragione di quest’ultimo argomento il ricorrente contesta anche la tutela possessoria a vantaggio di M.M., la quale aveva dichiarato di non coabitare con il fratello.

La censura è destituita di giuridico fondamento e si avvale di un precedente di legittimità non in termini. Invero, con la sentenza n. 1745 del 7/2/2002, Rv. 552138, questa Sezione condivisibilmente ebbe ad affermare che il solo fatto della convivenza non pone di per sè in essere, nelle persone che convivono con chi possiede il bene, un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso sullo medesima. E’ di tutta evidenza che una tale conclusione non impedisce, tuttavia, al possessore, di esercitare una tale situazione di vantaggio anche attraverso le persone che con il medesimo abbiano rapporti di convivenza, parentato o semplice amicizia, costituendo ciò una forma d’esercizio del dominio fattuale, la quale non modifica l’attribuzione soggettiva della posizione di vantaggio giuridicamente tutelabile in capo al possessore.

Meno che mai rileva che il fruitore del vantaggio derivato dal possessore sia capace d’agire, in quanto che quest’ultimo si limita a compiere atti materiali su invito del possessore.

Con il secondo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 1168 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo il ricorso la norma evocata era rimasta violata in quanto non era stato provato che all’atto del contestato spoglio vi fosse una situazione possessoria attuale. Sul punto la Corte territoriale aveva mal governato le prove, assegnando valore decisivo alla deposizione del B., la quale invece non avrebbe potuto essere presa in considerazione in quanto il medesimo, sulla scorta di quanto dallo stesso dichiarato, dal 15 dicembre 2004 non era più passato con lo scuolabus davanti a quegli eccessi sulla via pubblica e, pertanto, risalendo la domanda possessoria al maggio del 2005, non era stata dimostrata l’attualità del possesso. Le altre prove testimoniali non erano utili al fine.

Il motivo non è fondato.

Non solo attraverso la doglianza ai vaglio il ricorrente manifesta, piuttosto esplicitamente, lo scopo di porre in contestazione lo scrutinio probatorio di merito, in questa sede non censurabile, come meglio si dirà avanti, ma afferma un principio di diritto errato. Nega, in particolare, il carattere dell’attualità del possesso caratterizzato da saltuarietà, ignorando che in tema di servitù discontinue il possesso tutelabile va considerato in relazione alle peculiari caratteristiche ed esigenze del fondo dominante, senza venir meno in ragione del carattere solo saltuario dell’esercizio, essendo sufficiente una volta instaurata la relazione di fatto sostenuta dall'”animus possidendi” che il bene stesso possa continuare a considerarsi nella virtuale disponibilità del possessore, salvo che non risulti esteriorizzato da chiari univoci segni un “animus derelinquendi” (Sez. 2, n. 5843, 14/6/1999, Rv. 527403)

Con il terzo motivo il ricorso allega la violazione degli artt. 1027, 1066, 1168, e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Assume il ricorrente che la sentenza non aveva tenuto conto del fatto che la servitù di passaggio deve esercitarsi su un percorso determinato e, quindi, adeguatamente individuato, non essendo pensabile che il titolare del fondo servente debba essere costretto ad accettare il libero scozzare all’interno della sua proprietà del titolare del fondo dominante. Nel caso di specie, nessun percorso specifico era stato individuato con il ricorso e la stessa Corte d’appello, nell’accogliere la domanda, si era limitata ad ordinare la reintegra, senza chiarire nulla sul punto.

Il motivo non è fondato.

Al contrario del gratuito asserto impugnatorio deve osservarsi che la sentenza d’appello individua con sufficiente specificazione il percorso e il mappale gravato, fornendone, addirittura, rappresentazione grafica, facente parte del provvedimento giudiziale.

Peraltro, è appena il caso di soggiungere che la presenza di opere visibili e permanenti, indicative di un transito, configura un requisito necessario ai fini dell’acquisto della servitù di passaggio per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, ma non anche per la tutela possessoria del passaggio medesimo, essendo a tal fine sufficiente la prova dell’effettuazione di detto transito sul bene altrui (Sez. 2, n. 879, 23/1/2012, Rv. 620870).

Con il quarto motivo il ricorrente si duole per essere stati violati gli artt. 1168, 1144, 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; deducendo, altresì omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il ricorso la Corte aveva completamente ignorato le rilevanti ammissioni provenienti dalle dichiarazioni rese dagli odierni resistenti in sede di interrogatorio formale: M.M. aveva affermato di utilizzare il passaggio per andare a trovare i propri parenti e Ma.Ma. ne aveva affermato l’uso saltuario. “La sentenza impugnata, invece (aveva) ingiustamente ritenuto che “l’esercizio del transito attestato essenzialmente in funzione dell’uscita delle figlie del M. per salire sullo scuolabus”, dimostrando ” di per sè “un’apprezzabile continuità di esercizio di esso e per un periodo rilevante”, fosse idoneo da solo, a fondare l’accoglimento della domanda possessoria dei resistenti”. L’opinione espressa in sentenza viene contestata dal ricorrente, il quale evidenzia l’inconcludenza di ritenere che “il fatto del transito da parte di due bambine piccole, cuginette del parente confinante, attraverso il giardino di questi per raggiungere la strada dove Le aspetta lo scuolabus, utile a evitare loro il dover camminare, a volte non accompagnate (…) su una stradina percorse da mezzi a motore (…), sarebbe di per sè sufficiente a fondare la presunzione di sussistenza dell’animus possidendi sul transito medesime sia in capo al loro genitore, che alla loro zia, proprietari della casa in cui esse abitano”. Non v’è dubbio, per il ricorrente, che trattavasi di atti di mera tolleranza, sussistendone tutti i presupposti, che non potevano essere posti a base della azionata pretesa. Inoltre un tale uso, anche a volerlo ammettere, “ha integrato con ogni evidenza un godimento di scarsa portata, incidente molto debolmente sull’esercizio del diritto di A.S. e soprattutto ha tratto la sua origine dai rapporti di parentela, pacificamente “stabili e cordiali”, tra le parti”. La Corte locale peraltro, soggiunge il ricorrente, non “ha fornito alcuna motivazione del perchè, nella fattispecie, detti rapporti di parentela “stabili e cordiali” non comporterebbero la normale conseguenza di escludere nella valutazione a posteriori la presenza di una pretesa possessoria sottostante al descritto godimento ritenuto fruito dalle due figlie di Ma.Ma.”.

Il motivo merita di essere accolto.

Gli atti di tolleranza, che secondo l’art. 1144 c.c., non possono servire di fondamento all’acquisto del possesso, sono quelli che, implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà, comportano un godimento di modesta portata incidente molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità o da consueti rapporti di buon vicinato i quali, mentre “a priori” ingenerano e giustificano la “permissio”, conducono per converso ad escludere nella valutazione “a posteriori” la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone (Sez. 2, n. 18360, 13/9/2004, Rv. 577027; si veda anche Sez. 2, n. 13443, 08/06/2007, Rv. 597437).

Se il vincolo di stretta parentela intercorrente tra i soggetti consente di configurare la sussistenza della tolleranza anche in mancanza delle suindicate caratteristiche della breve durata e della limitata incidenza del godimento assentito; per contro, breve durata e modesta incidenza del peso costituiscono parametri di riferimento utili ad individuare l’animo tollerante anche in assenza di significativi rapporti di parentela.

La Sentenza impugnata, come si è anticipato, analizzati nel dettaglio gli apporti probatori offerti da entrambe le parti, li ha ritenuti largamente inattendibili, fondando la propria decisione, nella sostanza, sulle dichiarazioni del conducente dello scuolabus. Dal che ne deriva che l’unico transito ritenuto provato è quello delle figlie minori del M., le quali si recavano all’appuntamento mattutino con lo scuolabus bypassando la strada pubblica, passando dalla proprietà del padre a quella dei cugini e attraverso questa giungendo al cancello d’uscita sul marciapiedi.

Le emergenze processuali conoscibili in questa sede mediante lo studio degli atti consentiti evidenziano un corredo indiziario che sarebbe stato necessario approfonditamente vagliare, al fine di escludere la sussistenza di una condotta concessiva di mera tolleranza. Emblematico il rapporto di parentela, la comunanza del capostipite e l’origine del riparto delle porzioni di proprietà individuale, nonchè la marginalità dell’onere rimasto provato, sia in relazione alla reiterazione nel tempo dei transiti, che dei soggetti fruitori.

Sul punto, tuttavia, non si rinviene concludente analisi di sorta. S’impone, pertanto, annullata la sentenza, rinvio, per far luogo all’esame del caso.

E’ il caso di precisare che colui che assume di essere stato spogliato del possesso di una servitù di passaggio non è tenuto a dare la prova dell’inesistenza della tolleranza, trattandosi di fatto impeditivo che deve provare l’altra parte (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 19830, 19/9/2014, Rv. 632673). Quindi, si tratterà, rispettato il predetto riparto, di scrutinare il materiale probatorio acquisito, onde verificare se una tale prova impeditiva risulti essere stata fornita.

Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè vizio motivazionale su un punto controverso e decisivo – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Con il motivo che qui si prende in rassegna l’ A. contesta il vaglio probatorio della sentenza, la quale aveva assegnato attendibilità ai soli testi Mo., B. e As.. Il ricorrente, a lungo e dettagliatamente, contesta la interpretazione delle dichiarazioni rese dai testi, le inferenze tratte dei reperti fotografici, larga parte delle deduzioni logiche operate dalla Corte territoriale, così, giungendo alla conclusione che, ove la lettura delle emergenze istruttorie fosse stata improntata a logica e coerenza argomentativa, la sentenza avrebbe dovuto concludere per il non soddisfatto onere probatorio da parte degli attori.

Con il sesto ed ultimo motivo il ricorso lamenta la violazione degli artt. 116, 2067, 2697 c.c., nonchè degli artt. 167, 183 c.p.c., nonchè infine, vizio motivazionale su un punto controverso e decisivo.

Trattasi di doglianza costituente, per larga parte, sviluppo di quella precedente. Il ricorrente si impegna, con larghezza di approfondimenti, a contestare la interpretazione delle emergenze istruttorie operata dalla Corte d’appello, la quale, secondo l’assunto, non era stata in grado di puntualmente “leggere” le riproduzioni fotografiche e ben coordinare le deposizioni testimoniali, con la conseguenza di aver percepito una situazione fattuale diversa, e comunque distorta, rispetto a quella reale.

Entrambi i motivi, osmotici fra loro, contestualmente vagliati, non meritano di essere accolti.

Come reiteratamente affermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, prima dell’ulteriore modifica di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorietà, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilità (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessità che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Da qui appare evidente che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorietà della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non può essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformità tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico-giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L., n. 8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si è condivisamente ulteriormente precisato, così da scolpire nitidamente l’àmbito di legittimità, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007, Rv. 594690). Proprio per ciò non è ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalità sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorietà della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non già quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L., n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non può che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

Il Giudice del rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio.

PQM

 

accoglie il quarto motivo, rigetta nel resto; cassa e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Torino, altra sezione.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2017

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