Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17395 del 19/08/2011

Cassazione civile sez. lav., 19/08/2011, (ud. 05/05/2011, dep. 19/08/2011), n.17395

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ANSA – AGENZIA NAZIONALE STAMPA ASSOCIATA COOPERATIVA A R.L., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio

dell’avvocato MORRICO ENZO, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35,

presso lo studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che lo rappresenta e

difende, giusta procura notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8600/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/12/2005, r.g.n. 4305/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato VALERIA COSENTINO per delega MORRICO ENZO;

udito l’Avvocato D’AMATI DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 19 dicembre 2005) respinge l’appello dell’ANSA – Associazione Nazionale Stampa Associata soc. coop. a r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Roma del 30 aprile 2002, la quale ha dichiarato l’inefficacia del trasferimento comunicato a M.B. in data 8 novembre 1999, con decorrenza successivamente differita con altra lettera della datrice di lavoro (del 30 novembre 1999), dalla sede di (OMISSIS) a quella di (OMISSIS).

La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:

a) dalla lettura delle lettere dell’ANSA di destinazione del M. a sedi estere si desume chiaramente che la durata dell’incarico non è mai stata determinata e che l’azienda ha sempre definito come “trasferimenti” i provvedimenti in questione;

b) d’altra parte, non è condivisibile l’assunto della società secondo cui il trasferimento e il rientro dall’estero non sarebbero assoggettati alla disciplina dell’art. 2103 cod. civ., perchè sarebbero vicende eccezionali;

c) infatti, da un lato, la asserita eccezionalità nel settore giornalistico è smentita dalla stessa contrattazione collettiva che considera il lavoro svolto all’estero come una vicenda normale del rapporto, dall’altro lato, nulla consente di ritenere che il legislatore abbia inteso escludere dalla tutela prevista dall’art. 2103 cod. civ. i trasferimenti internazionali, visto che sono quelli che comportano conseguenze più incisive sul piano esistenziale per il lavoratore;

d) conseguentemente l’ANSA avrebbe dovuto dimostrare le ragioni organizzative atte a giustificare il trasferimento in oggetto, mentre ciò non è avvenuto nè prima nè durante il giudizio;

e) il M. ha diritto alla tutela prevista dall’art. 22 del c.n.l.g. che prevede per l’ipotesi di incarico a tempo indeterminato – non contemplata dal patto integrativo aziendale – che le parti abbiano un diritto di opzione, esercitabile in qualsiasi momento e avente ad oggetto la durata minima dell’incarico, con effetto dalla data del relativo esercizio;

f) nella specie, non essendo stata concordata al momento della nomina la durata dell’incarico estero, il M. avvalendosi della suddetta norma contrattuale, ha esercitato l’opzione ivi prevista comunicandola all’ANSA (con lettera del 21 ottobre 1999) unitamente con l’opzione per la permanenza in servizio sino al compimento del sessantacinquesimo anno di età;

g) non può valere in contrario la tesi della società secondo cui il suddetto art. 22 sarebbe inapplicabile perchè la disciplina aziendale prevede invece che qualunque sia la durata pattuita degli incarichi all’estero essa non può, in ogni caso, superare i sei anni consecutivi;

h) infatti, tale assunto è smentito dalla stessa normativa aziendale visto che il PIA firmato il 9 marzo 1998, all’art. 31, ha sostituito l’art. 17 del PIA dell’1 giugno 1990, contemplando esclusivamente gli incarichi all’estero di durata stabilita al momento dell’assegnazione;

i) è, quindi, ulteriormente confermata l’inapplicabilità della normativa aziendale all’incarico a tempo indeterminato di cui si tratta.

2- Il ricorso dell’ANSA domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso M.B..

La ricorrente deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi del primo motivo del ricorso.

1.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. (omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia), nonchè dell’art. 2103 cod. civ.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia.

La ricorrente sostiene che la Corte d’appello non si sia pronunciata sull’esatta qualificazione giuridica da attribuire al mutamento di sede del M. verso W. (disposto con lettera del 18 ottobre 1993) e da (OMISSIS), al di là di quella che la ricorrente definisce “atecnica” definizione di trasferimento risultante dalla corrispondenza intercorsa fra le parti.

Ciò era stata chiesto espressamente nel ricorso in appello anche sulla base dell’art. 22 del c.n.l.g. dal quale si desume che i trasferimenti dei giornalisti vanno distinti dalle ipotesi di mero invio, spostamento, assegnazione, missione all’estero, sicchè in questi ultimi casi l’art. 2103 cod. civ. non è applicabile.

Il mancato esame di questa questione, ad avviso della ricorrente, avrebbe indotto la Corte romana a sussumere erroneamente la fattispecie concreta oggetto del giudizio nell’ipotesi normativa astratta prevista dall’art. 2103 cod. civ. 2 – Esame dei primo motivo del ricorso.

2.- Il primo motivo è da respingere per plurime, concorrenti ragioni.

Dal punto di vista della formulazione va ricordato che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, nel giudizio di cassazione è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Il secondo presuppone, invece, l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione e va denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (vedi, per tutte: Cass. 17 luglio 2007, n. 15882).

La suddetta contraddittorietà tuttavia viene meno (e con essa l’inammissibilità del motivo di ricorso) solo ove non possa ragionevolmente stabilirsi se la sentenza impugnata abbia o meno esaminato la censura mossa dalla parte, e di conseguenza non possa stabilirsi se l’abbia rigettata con una motivazione carente, ovvero l’abbia del tutto trascurata (Cass. 12 novembre 2008, n. 27009).

Nella specie, il profilo riguardante il vizio di motivazione è prospettato come “contraddittorietà” della motivazione stessa quindi, dal punto di vista formale, non si ha la suddetta macroscopica contraddizione tra i due profili di censura inseriti nel medesimo motivo, però il vizio di omessa pronuncia, che da luogo ad una violazione dell’art. 112 cod. proc. Civ., viene fatto valere a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (che si riferisce alle violazioni di norme di diritto sostanziale), anzichè a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, e inoltre la censura di contraddittorietà della motivazione nella sostanza – desunta dalla relativa argomentazione – si pone comunque in antitesi con la censura di omessa pronuncia.

Va, infatti, osservato che l’insussistenza di tale ultimo vizio – agevolmente desumibile dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata ove la questione riguardante l’esatta qualificazione giuridica da attribuire al mutamento di sede del M. verso (OMISSIS) risulta espressamente trattata – è comunque dimostrata dal fatto che la ricorrente si lamenti del tipo di motivazione data al riguardo dalla Corte d’appello.

Peraltro, pure tale ultima censura, è comunque infondata perchè in realtà si risolve nella sostanziale prospettazione, come vizio di motivazione, di una asseritamente sbagliata valutazione, da parte del Giudice del merito, del materiale probatorio, ai fini della ricostruzione del fatto controverso in argomento.

Invece, per costante e condiviso indirizzo di questa Corte, le censure concernenti vizi di motivazione devono indicare quali siano i vizi logici del ragionamento decisorio e non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (vedi, fra le tante: Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214).

La ricorrente si duole, in realtà, della qualificazione giuridica – in termini di trasferimenti -attribuita dalla Corte romana alle destinazioni del M. a sedi estere.

Ma tale qualificazione – effettuata attraverso l’espresso riferimento alle lettere dell’ANSA nelle quali i suddetti spostamenti del giornalista sono sempre stati definiti “trasferimenti” -rappresenta una valutazione di spettanza del giudice del merito, sottratta in quanto tale al sindacato del giudice di legittimità se, come nella specie, è sorretta da congrua motivazione.

E’ noto, infatti, che è raro che il livello di specificazione interpretativa possa consentire univocamente e, per così dire meccanicamente, la qualificazione giuridica della vicenda oggetto di giudizio che sia stata accertata in termini puramente fattuali, sicchè il giudizio di fatto, ai fini della sussunzione della fattispecie concreta nell’ipotesi normativa, si deve (in genere) colorare di più o meno consistenti aspetti valutativi, funzionali alla sua qualificazione in termini legali. Tali valutazioni spettano al giudice di merito, ma, ai fini del loro controllo in sede di legittimità, devono essere sorrette da un’adeguata motivazione, così che ne sia desumibile la congruità logica e la correttezza giuridica, sulla base di un accertamento sufficientemente specifico degli elementi strettamente fattuali della fattispecie, e della individuabilità dei criteri di carattere generale ispiratori del giudizio di tipo valutativo (Cass. 12 dicembre 2001, n. 15661; Cass. 17 gennaio 2004, n. 669).

3 – Sintesi del secondo motivo del ricorso.

3 – Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. Si contesta la mancata ammissione, effettuata senza motivazione, dei mezzi istruttori articolati dalla società, che si pone in contraddizione con l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, della mancata dimostrazione delle ragioni tecnico- produttive atte a giustificare il trasferimento del M..

3 – Esame del secondo motivo del ricorso.

4 – Anche il secondo motivo è da respingere.

Pure in questo caso, in un unico motivo, sono accorpate denunce di vizio di motivazione e di omessa pronuncia e pure in questo caso il vizio di omessa pronuncia, che da luogo ad una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., viene fatto valere a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

Va, inoltre precisato che, nello specifico, la denuncia di omessa pronuncia è inammissibile in quanto, in base ad un consolidato e condiviso, orientamento di questa Corte il vizio di omessa pronuncia – che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, – si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. SU 18 dicembre 2001, n. 15982; Cass 11 febbraio 2009, n. 3357).

Il profilo di censura relativo al preteso vizio di motivazione, poi, è da respingere, al pari del precedente, perchè si risolve in una critica della statuizione contenuta nella sentenza a proposito della inadeguatezza della prova fornita dall’ANSA in merito alle ragioni organizzative idonee a giustificare il trasferimento del giornalista fatta allo scopo di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal Giudice di merito, senza indicare quali siano i vizi logici del relativo ragionamento decisorio, che peraltro ne appare immune.

4 – Sintesi del terzo motivo del ricorso.

5 – Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesiti di diritto, si denuncia – in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione agli artt. 22 del c.n.l.g. e 17 del PIA; b) dell’art. 41 Cost. e dell’art. 2103 cod. civ. Si assume che il discrimen tra l’applicazione del c.n.l.g. e quella del PIA sia determinato dal fatto che il primo detta la disciplina collettiva nazionale e il secondo quella aziendale integrativa, come tale regolatrice dello specifico rapporto dei giornalisti dipendenti dell’ANSA, non dalla circostanza che il primo prenda in considerazione gli incarichi all’estero a tempo indeterminato e il secondo solo quelli a tempo determinato, come erroneamente affermato dalla Corte d’appello, sulla base di una illegittima interpretazione dell’indicata normativa.

5 – Esame del terzo motivo del ricorso.

6 – Pure il terzo motivo non è fondato.

In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) qualora in sede di legittimità venga denunciato un vizio della sentenza consistente nella erronea interpretazione, per violazione dei canoni legali di ermeneutica o per vizio di motivazione, di una norma della contrattazione collettiva, il ricorrente – ove sia inapplicabile, ratione temporis, l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, nella nuova formulazione di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 – ha, a pena di inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, l’onere di riprodurre le clausole del contratto collettivo od individuale di cui sostiene l’errata interpretazione, senza che detta riproduzione possa essere sostituita dal rinvio agli atti processuali (Cass. 25 luglio 2008, n. 20484); b) i contratti collettivi di lavoro vanno interpretati dal giudice di merito sulla base dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui al c.c., tra i quali il criterio, dettato dall’art. 1363 cod. civ., dell’interpretazione complessiva delle clausole (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22507);

c) in particolare, il ruolo da assegnare alla regola di cui all’art. 1363 cod. civ. nell’interpretazione del contratto collettivo di diritto comune è preminente e del tutto particolare, data la natura complessa e peculiare dell’iter formativo della contrattazione sindacale, la non agevole ricostruzione della comune volontà delle parti contrattuali attraverso il mero riferimento al senso letterale delle parole, l’articolazione della contrattazione su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale, ecc), la vastità e complessità della materia trattata in ragione dei molteplici profili della posizione lavorativa (con ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private, quali preamboli, premesse, note a verbale, ecc), il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali, non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi (Cass. 21 maggio 2009, n. 11834);

d) è riservata al giudice del merito l’interpretazione dell’accordo aziendale, in ragione della sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006), ed essa non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (Cass. 4 febbraio 2010, n. 2625);

e) comunque, in tema di interpretazione di contratti collettivi di diverso livello, quali quelli nazionali ed aziendali, in rapporto di reciproca correlazione, la diversità dei soggetti stipulanti non è di ostacolo all’esegesi ermeneutica complessiva, purchè il contratto nazionale sia vincolante anche nell’ambito soggettivo di applicazione del contratto aziendale (Cass. 7 marzo 1986, n. 1539; Cass. 17 maggio 1993, n. 5586; Cass. 13 febbraio 1990, n. 1048; Cass. 28 maggio 2004, n. 10353).

Dal punto di vista formale va rilevato che la ricorrente si è limitata a riprodurre solo parzialmente nel ricorso alcune delle norme contrattuali cui ha fatto riferimento nel suddetto motivo, cosi non attenendosi al riportato principio in materia.

Quanto al merito delle censure, dai richiamati principi si desume che la Corte d’appello ha effettuato, in modo corretto, l’interpretazione della normativa contrattuale di riferimento, attraverso una adeguata correlazione tra le clausole del contratto nazionale e quelle della contrattazione aziendale, di cui ha dato conto con logica e coerente motivazione.

Al riguardo appare particolarmente significativo che il Giudice del merito abbia sottolineato come la tesi della società secondo cui il suddetto art. 22 del c.nl.g. sarebbe inapplicabile in quanto la disciplina aziendale prevede invece che qualunque sia la durata pattuita degli incarichi all’estero ” essa non può, in ogni caso, superare i sei anni consecutivi, è smentita dalla stessa normativa aziendale visto che il PIA firmato il 9 marzo 1998, all’art. 31, ha sostituito l’art. 17 del PIA dell’1 giugno 1990, contemplando esclusivamente gli incarichi all’estero di durata stabilita al momento dell’assegnazione (il che conferma l’inapplicabilità della normativa aziendale all’incarico a tempo indeterminato di cui si tratta).

6 – Conclusioni.

7- In sintesi il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 30,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 agosto 2011

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