Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17392 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 932/06 R.G. proposto da:

Cooperativa Agricola Ortofrutticola Ronchesana a r.l., dichiarata

fallita, in persona del curatore Dott. P.A.R.,

elettivamente domiciliato in Roma, via F. Confalonieri, n. 5, presso

l’Avvocato Manzi Luigi, che la rappresenta e difende con l’Avvocato

Maccagnani Giovanni per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro p.

t., e Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t.,

domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che ti rappresenta e difende secondo la legge;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 50/21/04 della Commissione tributaria

regionale del Veneto, Sezione staccata di Verona, depositata il

29.11.2004.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 23 giugno 2010 dal relatore Cons. Dott. Giuseppe Vito Antonio

Magno;

Udito, per la ricorrente, l’Avvocato Carlo Albini, per delega;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Ceniccola Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Dati del processo.

1.1.- La fallita Cooperativa Agricola Ortofrutticola Ronchesana a r.l. ricorre, con tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe che, confermando quella di primo grado (n. 44/2/2001 della commissione tributaria provinciale di Verona), rigetta i ricorsi riuniti proposti dalla contribuente contro gli avvisi di accertamento dell’IRPEG e dell’ILOR relativi ai periodi d’imposta 1.7.1993-30.6.1994 e 1.7.1994-30.6.1995, emessi, in base ad indagini e processo verbale di constatazione della guardia di finanza, dall’ufficio Verona 2 dell’agenzia delle entrate, recanti le rispettive somme di L. 710.686.000 e di L. 514.354.000.

1.2.-. Il ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate intimati resistono mediante controricorso.

2.- Motivi del ricorso.

2.1.- La ricorrente censura la citata sentenza della commissione regionale: 2.1.1.- col primo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa o insufficiente motivazione, in quanto i giudicanti di merito si sarebbero “allineati alla posizione sostenuta dall’Ufficio ignorando i gravi vizi della procedura di accertamento originati dall’utilizzazione di mezzi di prova illegittimamente acquisiti per totale violazione del principio del contraddittorio, oltre che per violazione delle procedure da seguire nel corso delle verifiche da parte della G.d.F.”;

2.1.2.- col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 2 e art. 42, e dell’art. 2697 c.c., con riferimento ad asserite arbitrarie duplicazioni delle fonti di reddito, reperite attraverso la contabilità e le indagini bancarie, sul presupposto di una mancanza di documentazione contabile non imputabile alla parte, “ma assai più probabilmente alla negligenza dei verificatori”; cosi operando un accertamento induttivo illegittimo, in mancanza di prova dei presupposti legali, non fondato su presunzioni valide, bensì su inammissibili presunzioni di doppio grado, e conducente a risultati irrazionali; nonchè con riferimento al non rilevato “difetto di motivazione dell’atto impugnato… fondato esclusivamente su risultanze bancarie”, che l’ufficio neppure avrebbe vagliato, sottraendosi poi all’onere di provare la pretesa;

2.1.3.- col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 53.

3.- Decisione.

3.1.- Il ricorso deve essere rigettato, essendo infondati o inammissibili, per le ragioni di seguito espresse, i motivi in cui si articola.

Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, fanno carico alla ricorrente, per la soccombenza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1.- Il primo motivo (par. 2.1.1) è infondato.

4.1.1.- Con ampia, esauriente e logica motivazione, diversamente da quanto sostiene la ricorrente, la commissione regionale, a proposito della denunziata “illegittimità della verifica fiscale operata dalla Guardia di Finanza, per illegittima acquisizione dei documenti e per il fatto che la verifica era iniziata senza la presenza del rappresentante legale”, chiarisce, a conferma di quanto già rilevato dai giudicanti di primo grado, che “esaminati i processi verbali della Guardia di Finanza”, le operazioni di polizia tributaria si erano svolte in modo perfettamente rituale. Pertanto, a prescindere dal merito della vicenda, non sussistono i lamentati vizi di omessa o insufficiente motivazione.

4.1.2.- La ricorrente contesta poi il verbale della guardia di finanza, laddove si riferisce alla presenza del rappresentante legale della cooperativa alle operazioni di polizia tributaria ed alla (mancata) consegna di documentazione contabile. Tali contestazioni, in quanto incidono sulla veridicità delle operazioni che i verbalizzanti affermano di avere svolto o sulla conformità al vero di quanto attestano essere avvenuto in loro presenza, esulano dai limiti della censura in esame -che contempla un inesistente vizio di motivazione della sentenza – e, comunque, non assumono alcun valore in questo giudizio, in cui non si afferma che il processo verbale di constatazione, assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 c.c., sia stato impugnato con querela di falso (Cass. nn. 15311/2008, 2949/2006).

4.1.3.- La ricorrente sostiene, inoltre, che, secondo il giudicante a qua, “il rappresentante legale della società è stato presente alle operazioni sin dall’inizio e cioè dal 14.4.05”, e che ciò non sarebbe corrispondente al vero, perchè contraddetto dalla “serena e piana lettura dei verbali”; analogamente, la commissione regionale avrebbe affermato “apoditticamente che l’acquisizione documentale è avvenuta legittimamente, con una motivazione fondata sul presupposto della verità di circostanze di fatto che risultano smentite da quanto aliunde accertato dagli stessi verificatori”.

Simili rilievi esorbitano dai limiti della censura per vizio di motivazione e risultano inammissibili, dal momento che una decisione asseritamente fondata sulla supposizione di un fatto escluso dai documenti della causa (nella specie, dal processo verbale) non è impugnabile con ricorso per cassazione, ma soltanto per revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, (Cass. nn. 15672/2005, 11276/2005, 4864/2005, 21870/2004 e numerose altre).

4.1.4.- Infine, il tentativo di attribuire l’omessa esibizione di documentazione contabile alla “negligenza dei verificatori” – circostanza che, non rilevata dalla commissione regionale, inficerebbe un presupposto dell’accertamento induttivo – è privo di significato giuridico pratico, atteso che la regolare tenuta delle scritture contabili e la loro esibizione a richiesta dei verbalizzanti è onere dell’imprenditore; il quale, nel caso concreto, non afferma di avere poi reperito ed esibito le scritture che, a suo dire, i militari non avrebbero acquisito per loro negligenza.

Ovviamente, l’eventuale sottinteso, per cui gli agenti non avrebbero elencato a verbale tutta la documentazione acquisita, è improponibile in questa sede per la ragione esposta al par. 4.1.2.

4.2.- Il secondo motivo (par. 2.1.2) è infondato.

4.2.1.- La dedotta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, norma che autorizza in determinate ipotesi l’accertamento induttivo, non sussiste.

Il ricorso all’accertamento induttivo, infatti, era giustificato nel caso in esame, ai sensi della lett. c) della norma citata, dal “fatto che sia il presidente del consiglio di amministrazione che la curatrice fallimentare sono stati più volte inutilmente invitati a produrre la documentazione contabile mancante” (ed a fornire chiarimenti sui movimenti bancari).

Risulta superflua ed inammissibile, quindi, la disquisizione relativa alla omessa (o tardiva) dichiarazione dei redditi, posto che il giudicante a quo, pur avendo premesso che l’ufficio fondava la legittimità dell’accertamento induttivo anche su tale elemento, lo ritiene poi sufficientemente giustificato dal fatto che i responsabili erano stati “inutilmente invitati” ad esibire la documentazione contabile; cioè non l’avevano mai prodotta, così dimostrando di non possederla.

4.2.2.- Le presunzioni legali (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, n. 2) ricavabili dalle operazioni compiute in conto corrente bancario, sia versamenti sia prelevamenti, non sono di doppio grado (praesumptio de praesumpto), ma sono di carattere relativo; quindi possono essere vinte dal contribuente che dimostri di aver tenuto conto di tali movimenti per la determinazione del reddito imponibile (o che sono irrilevanti allo stesso fine), ovvero che indichi il soggetto beneficiario, nel caso dei prelevamenti (Cass. nn. 7766/2008, 1168/2008, 27032/2007, 14675/2006). Spetta dunque al contribuente provare quanto prescritto dalla norma per vincere la presunzione legale che le movimentazioni bancarie non costituiscano reddito imponibile ulteriore, rispetto a quello eventualmente attestato dalla documentazione contabile aziendale (salvo, appunto, che i movimenti su conto corrente corrispondano, o nella misura in cui corrispondono, a tale documentazione). Nel caso di specie, la ricorrente non afferma di avere fornito tale prova, sicchè giustamente la commissione regionale conferma l’operato dell’ufficio. Si deve aggiungere che, nel caso in esame, si tratta di accertamento induttivo condotto ai sensi dell’art. 39 cit., comma 2 (v. par. 4.2.1), allorchè l’ufficio ha facoltà di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze delle scritture contabili reperite, e di avvalersi anche di presunzioni supersemplici, eventualmente prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

4.2.3.- La pretesa non ragionevolezza dei risultati dell’indagine, in termini d’imponibile presunto, non costituisce ammissibile motivo di censura della sentenza che, con apprezzamento tipico del giudice di merito, non criticabile in cassazione per violazione di legge, ritiene fondato l’accertamento e congrua la percentuale di ricarico applicata dall’ufficio.

4.2.4.- L’accenno al “difetto di motivazione dell’atto impugnato” è sviluppato solo con riferimento al fatto di essere gli avvisi fondati sulle risultanze bancarie; fondamento, per quanto si è detto, legittimo e perciò non passibile di censura, neppure sotto il profilo dell’asserita acquiescenza passiva dell’ufficio alle conclusioni della guardia di finanza, giacchè la trasposizione di tali conclusioni negli atti impositivi sta a significare non la mancanza di un vaglio critico dei risultati dell’indagine, bensì la totale condivisione di essi, senza bisogno di altre parole (Cass. nn. 10205/2003, 8690/2002, 2780/2001).

4.3.- Il terzo motivo di ricorso (par. 2.1.3) è inammissibile, perchè la dedotta violazione dell’art. 53 (ora art. 85) TUIR, che delimita e chiarisce il concetto di “ricavi” nella determinazione del reddito d’impresa, non è in alcun modo argomentata.

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 6.100,00 (seimilacento), di cui Euro 6.000,00 (seimila) per onorario, Euro 100,00 (cento) per esborsi, oltre il contributo unificato e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – tributaria, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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