Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17390 del 26/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 26/08/2016, (ud. 28/06/2016, dep. 26/08/2016), n.17390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T 19348/2014

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19340/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.M.E.;

– intimato –

sul ricorso 19341/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

PI.TI.;

– intimata –

sul ricorso 19344/2014 proposto dai

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

BOSAMARE DI P.M.E. & C SNC, P.M.E.,

P.F.N., PI.TI.;

– intimata –

BOSAMARE DI P.M.E. & C SNC, P.M.E.,

P.F.N., PI.TI., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PORTUENSE 104, presso la Signora ANTONIA DE ANGELIS,

rappresentati e difesi dall’avvocato CANNAS ANDREA PASQUALE giusta

procura a margine del ricorso successivo;

– ricorrenti successivi –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– intimata –

sul ricorso 19348/2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

P.F.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 64/01/2013, n. 62/01/2013, n. 65/01/2013, n.

63/01/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di CAGLIARI del

23/06/2011, depositata il 03/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., sono state depositate in cancelleria le seguenti relazioni:

1) Nella Causa n.19340/2014 R.G.:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo;

letti gli atti depositati;

osserva:

La CTR di Cagliari ha accolto parzialmente l’appello P.M.E. contro la sentenza n.179/01/2009 della CTP di Nuoro che aveva respinto il ricorso della parte contribuente ad impugnazione di avviso di accertamento per maggiore IRPEF relativa all’anno 2004, avviso consequenziale a quello emanato nei confronti della società “Bosamare snc” ai fini della tassazione (“per trasparenza”) dei maggiori redditi imputabili ai fini IRPEF anche ai soci dei maggiori ricavi accertati in capo alla menzionata società.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che alla medesima udienza lo stesso collegio giudicante aveva discusso e deciso anche la controversia relativa alle imposte societarie sul medesimo reddito poi imputato per trasparenza al contribuente di cui qui si tratta, accogliendo parzialmente l’impugnazione dell’avviso di accertamento e perciò riducendo il reddito accertato. Conseguentemente doveva essere rideterminato (con proporzionale riduzione) anche il reddito del socio qui ricorrente, con onere dell’Ufficio di provvedere al ricalcolo.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14) la ricorrente si duole in sostanza dell’omessa pronuncia, da parte del giudice del merito e in controversia caratterizzata da litisconsorzio necessario tra le parti, sulla questione dell’integrazione del contradditorio.

Il motivo di impugnazione appare infondato e da disattendersi.

Ed invero, l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra la società dianzi menzionata e le persone fisiche che ne sono socie (che la parte ricorrente non ha in alcun modo identificato, così come non ha identificato i connessi procedimenti che riguardano questi ultimi) appare avere trovato un adeguato surrogato nella contestualità della trattazione che i distinti procedimenti hanno avuto sin dal primo grado di giudizio e fino ad ora, essendo pervenuti a questa Corte i ricorsi proposti dall’Agenzia contro la predetta società medesima e contro P.F.N. e Pi.Ti. (che risultano essere gli effettivi soci di cui si è detto) e potendosi desumere dagli atti di questi procedimenti che le pronunce sia di primo grado che di secondo grado sono state di volta in volta emanate dagli stessi giudici e nella medesima udienza.

Ricorre perciò nella specie di causa il presupposto esonerativo della necessità di integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie valorizzato da questa Corte nella sentenza n. 14815/2008 sicchè, in ossequio al principio da quest’ultima enunciato, non resta che disattendere il ricorso introduttivo di questo grado, fondato esclusivamente sulla censura di cui si è detto. Salva la facoltà della Corte, alla medesima udienza di discussione a cui i ricorsi perverrano, di disporre la riunione degli stessi ove ciò sia ritenuto utile ai fini di completare la procedura di surrogazione del litisconsorzio necessario (se e ove possa ritenersi che la questione processuale debba avere un seguito).

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 295 c.p.c.) la parte ricorrente assume che il giudice di appello avrebbe dovuto “sospendere” il presente giudizio in attesa della decisione di quello societario.

Il motivo appare manifestamente infondato. Trattandosi infatti di lite a necessario contraddittorio, l’applicazione della disciplina dell’art. 295 (riferita alla distinta ipotesi della pregiudizialità logica e giuridica tra controversie autonome e distinte) non potrebbe in nessun caso valere a surrogare il difetto di contraddittorio con la conseguente nullità della pronuncia che non ne avesse disposto l’integrazione.

La disposizione anzidetta è stata perciò qui vanamente invocata.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57) la parte ricorrente si duole che non sia stato dichiarato inammissibile l’appello di parte contribuente siccome fondato su motivi “nuovi” rispetto a quelli di primo grado.

Il motivo appare manifestamente infondato e da disattendersi.

In entrambi gli atti introduttivi, di primo e di secondo grado, si questiona – invero, per quanto si desume dagli stralci riportati nel ricorso per cassazione – in ordine alla fondatezza dell’avviso di accertamento, con riguardo alla validità dei recuperi dei costi ritenuti derivanti da operazioni inesistenti o erroneamente imputati, nel primo di detti atti, in specie, attraverso il richiamo dell’impugnazione che il singolo socio aveva adesivamente effettuato a riguardo dell’avviso di accertamento destinato alla società, perciò con richiamo della posizione debitoria “inscindibilmente comune” coinvolta nell’atto autoritativo. Detto ultimo richiamo avrebbe dovuto costituire ragione sufficiente perchè il giudicante disponesse la riunione dei distinti processi, ciò che non ha prodotto l’esito di nullità appunto perchè la trattazione è stata comunque unitaria e – perciò stesso – riferita a tutte le ragioni impugnatorie proposte dalle parti contribuenti nei separati incarti processuali.

E pertanto, il rilievo della novità delle questioni oggetto dell’appello, rispetto a, quelle oggetto del processo di primo grado appare manifestamente infondato.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per complessiva manifesta infondatezza.

Roma, 8 febbraio 2016;

2) Nella causa n. 19341/2014 R.G.:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo;

letti gli atti depositati;

osserva:

La CTR di Cagliari ha accolto parzialmente l’appello Pi.Ti. contro la sentenza n.177/01/2009 della CTP di Nuoro che aveva respinto il ricorso della parte contribuente ad impugnazione di avviso di accertamento per maggiore IRPEF relativa all’anno 2004, avviso consequenziale a quello emanato nei confronti della società “Bosamare snc” ai fini della tassazione (“per trasparenza”) dei maggiori redditi imputabili ai fini IRPEF anche ai soci dei maggiori ricavi accertati in capo alla menzionata società.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che alla medesima udienza lo stesso collegio giudicante aveva discusso e deciso anche la controversia relativa alle imposte societarie sul medesimo reddito poi imputato per trasparenza al contribuente di cui qui si tratta, accogliendo parzialmente l’impugnazione dell’avviso di accertamento e perciò riducendo il reddito accertato. Conseguentemente doveva essere rideterminato (con proporzionale riduzione) anche il reddito del socio qui ricorrente, con onere dell’Ufficio di provvedere al ricalcolo.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14) la ricorrente si duole in sostanza dell’omessa pronuncia, da parte del giudice del merito e in controversia caratterizzata da litisconsorzio necessario tra le parti, sulla questione dell’integrazione del contradditorio.

Il motivo di impugnazione appare infondato e da disattendersi.

Ed invero, l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra la società dianzi menzionata e le persone fisiche che ne sono socie (che la parte ricorrente non ha in alcun modo identificato, così come non ha identificato i connessi procedimenti che riguardano questi ultimi) appare avere trovato un adeguato surrogato nella contestualità della trattazione che i distinti procedimenti hanno avuto sin dal primo grado di giudizio e fino ad ora, essendo pervenuti a questa Corte i ricorsi proposti dall’Agenzia contro la predetta società medesima e contro P.F.N. e P.M.E. (che risultano essere gli effettivi soci di cui si è detto) e potendosi desumere dagli atti di questi procedimenti che le pronunce sia di primo grado che di secondo grado sono state di volta in volta emanate dagli stessi giudici e nella medesima udienza.

Ricorre perciò nella specie di causa il presupposto esonerativo della necessità di integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie valorizzato da questa Corte nella sentenza n. 14815/2008 sicchè, in ossequio al principio da quest’ultima enunciato, non resta che disattendere il ricorso introduttivo di questo grado, fondato esclusivamente sulla censura di cui si è detto. Salva la facoltà della Corte, alla medesima udienza di discussione a cui i ricorsi perverrano, di disporre la riunione degli stessi ove ciò sia ritenuto utile ai fini di completare la procedura di surrogazione del litisconsorzio necessario (se e ove possa ritenersi che la questione processuale debba avere un seguito).

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 295 c.p.c.) la parte ricorrente assume che il giudice di appello avrebbe dovuto “sospendere” il presente giudizio in attesa della decisione di quello societario.

Il motivo appare manifestamente infondato. Trattandosi infatti di lite a necessario contraddittorio, l’applicazione della disciplina dell’art.295 (riferita alla distinta ipotesi della pregiudizialità logica e giuridica tra controversie autonome e distinte) non potrebbe in nessun caso valere a surrogare il difetto di contraddittorio con la conseguente nullità della pronuncia che non ne avesse disposto l’integrazione.

La disposizione anzidetta è stata perciò qui vanamente invocata.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57) la parte ricorrente si duole che non sia stato dichiarato inammissibile l’appello di parte contribuente siccome fondato su motivi “nuovi” rispetto a quelli di primo grado.

Il motivo appare manifestamente infondato e da disattendersi.

In entrambi gli atti introduttivi, di primo e di secondo grado, si questiona – invero, per quanto si desume dagli stralci riportati nel ricorso per cassazione – in ordine alla fondatezza dell’avviso di accertamento, con riguardo alla validità dei recuperi dei costi ritenuti derivanti da operazioni inesistenti o erroneamente imputati, nel primo di detti atti, in specie, attraverso il richiamo dell’impugnazione che il singolo socio aveva adesivamente effettuato a riguardo dell’avviso di accertamento destinato alla società, perciò con richiamo della posizione debitoria “inscindibilmente comune” coinvolta nell’atto autoritativo. Detto ultimo richiamo avrebbe dovuto costituire ragione sufficiente perchè il giudicante disponesse la riunione dei distinti processi, ciò che non ha prodotto l’esito di nullità appunto perchè la trattazione è stata comunque unitaria e – perciò stesso – riferita a tutte le ragioni impugnatorie proposte dalle parti contribuenti nei separati incarti processuali.

E pertanto, il rilievo della novità delle questioni oggetto dell’appello, rispetto a quelle oggetto del processo di primo grado appare manifestamente infondato. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per complessiva manifesta infondatezza.

Roma, 8 febbraio 2016;

3) Nella causa n.19344/2014 R.G.:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo;

letti gli atti depositati;

osserva:

La CTR di Cagliari ha accolto parzialmente l’appello della “Bosamare snc” ed altri – appello proposto contro la sentenza n. 176/01/2009 della CTP di Nuoro che aveva già disatteso il ricorso della società contribuente – ed ha così confermato solo in parte l’avviso di accertamento per IRAP – IVA relativo al periodo 2004, imposte derivanti dal disconoscimento di costi relativi ad operazioni inesistenti e dalla ritenuta erronea imputazione all’anno 2004 di costi di competenza dell’anno 2003.

La predetta CTR – dato atto che la ripresa a tassazione aveva dato luogo a separato recupero di IRPEF anche a carico dei soci a cui i redditi erano stati imputati “per trasparenza”, soci che peraltro risultavano parti anche del presente processo per avere impugnato l’avviso di accertamento relativo alle imposte societarie – ha motivato la decisione evidenziando, quanto ai costi disconosciuti perchè derivanti da fatture emesse da tale società portoghese “Prilepa” a riguardo di operazioni inesistenti, che risultavano corrette le considerazioni del primo giudice a riguardo dell’assenza di qualsiasi prova sull’effettiva erogazione delle prestazioni e sull’effettuazione dei relativi pagamenti (di che vi era conferma sia nel tenore di una lettera inviata dalla Bosamare alla controparte portoghese, sia dalla lettera con cui quest’ultima sollecitava il pagamento dell’intero importo oltre gli interessi). D’altronde, l’invocazione della sentenza assolutoria del Tribunale penale di Oristano appariva addirittura controproducente per la parte contribuente, giacchè se ne traeva la conferma sia dell’incertezza circa l’effettuazione delle prestazioni sia della certezza del mancato pagamento. A riguardo dell’erronea imputazione dei ricavi, la CTR evidenziava – poi – che l’accordo commerciale tra la Bosamare e tale “Alton II srl” era risultato inficiato da reciproche inadempienze e contestazioni che non avevano consentito di individuare il momento in cui la prestazione doveva ritenersi conclusa, con conseguente incertezza sul momento di maturazione del corrispettivo, incertezza che aveva trovato fine solo con l’accordo transattivo del 22.1.2004 con cui era stata posta fine alle divergenze inerenti il puntuale rispetto delle pattuizioni contrattuali. Da qui la giustificazione dell’imputazione all’anno 2004 del corrispettivo riferito all’anno 2003, nel rispetto della previsione dell’art. 75 TUIR (imputazione all’esercizio in cui si sono verificate le condizioni di certezza o determinabilità dell’ammontare dei ricavi o delle spese). L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

La parte contribuente si è difesa con controricorso, ed ha proposto ricorso incidentale riferito al capo della decisione che le era stato sfavorevole.

I ricorsi – assegnati allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 c.p.c. – possono essere previamente riuniti per la loro connessione e quindi possono essere definiti ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Preliminarmente va evidenziato (per escludere la necessità del rilievo d’ufficio della causa di nullità della decisione impugnata) che il processo può ritenersi ritualmente espletato (nonostante la separata trattazione, davanti ai medesimi organi giudiziari delle questioni concernenti parti da considerarsi necessari contraddittori nel medesimo processo) per il fatto che le pronunce riguardanti soci e società sono state adottate dai medesimi collegi (nella identica composizione) nella medesima circostanza e nel contesto di una trattazione sostanzialmente unitaria (come dimostra il numero immediatamente consecutivo delle pronunce emesse in primo ed in secondo grado), così realizzandosi quella vicenda esonerativa del formale litisconsorzio di cui è fatta analitica definizione da parte di Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3830 del 18/02/2010. D’altronde, anche il fatto della partecipazione volontaria da parte dei soci alla controversia concernente le imposte societarie costituisce idoneo surrogato della trattazione unitaria dei diversi processi relativi alle distinte imposte, atteso che l’accertamento relativo alla società non può che fare stato anche riguardo ai soci ed alle imposte dei soci (pregiudicandone ovviamente la autonoma e difforme conclusioni), atteso che l’imputazione dei redditi secondo la formula “per trasparenza” comporta appunto la necessità dell’unitaria trattazione dell’impugnazione dell’accertamento unico e relativo a tutte le parti coinvolte, anche se distintamente denominato.

Ciò posto, venendo al primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.I12 per extrapetizione), con esso la parte ricorrente si duole che il giudicante abbia incluso tra le ragioni di accoglimento dell’appello l’impossibilità di individuare con certezza “il momento in cui la prestazione doveva ritenersi conclusa”, per quanto l’elemento temporale non fosse mai stato messo in discussione, essendosi invece discusso della certezza e determinabilità. Il motivo appare manifestamente infondato per insussistenza della violazione invocata. Il momento della conclusione della prestazione è infatti (nella svolgimento argomentativo della decisione) esclusivamente una premessa dell’iter logico per pervenire all’accertamento del presupposto di applicazione del disposto normativo invocato. Non vi è perciò mutamento del petitum o della causa petendi che giustifichi l’assunto di extrapetizione su cui il mezzo di impugnazione si fonda.

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2) la parte ricorrente si duole del fatto che la CTR non abbia assolto al dovere di motivare le sentenze, risolvendosi la motivazione in affermazioni apodittiche, senza esplicazione dei presupposti da cui le stesse derivano.

Il motivo di impugnazione appare infondato e da disattendersi.

Come è già chiaro, il motivo di impugnazione è nella sostanza incentrato sul vizio di nullità della sentenza impugnata, per difetto assoluto dell’elemento della motivazione. Siffatto difetto non pare sussistere, avendo il giudice dell’appello chiarito adeguatamente – nella parte motiva della decisione, indipendentemente dal fatto che quest’ultima possa considerarsi contraddittoria o non convincente – le ragioni per le quali è giunto a dichiarare la fondatezza dell’appello, sulla premessa (correttamente individuata) di quelle che erano le ragioni di doglianza della parte contribuente.

Il motivo di impugnazione appare quindi non condivisibile appunto perchè una motivazione (di senso compiuto e perfettamente intelligibile) nella sentenza impugnata esiste e ne integra gli elementi costitutivi, proprio a mente delle disposizioni che la parte ricorrente invoca a sostegno dell’impugnazione.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sull’omesso esame di un fatto decisivo) la parte ricorrente si duole che il giudicante abbia omesso l’esame della circostanza che “l’accordo stesso si limitava a rinviare espressamente, con impegno del mandatario a fatturarlo, all’importo del corrispettivo previsto nel contratto riportato in oggetto”, sicchè non esisteva la minima traccia di una “autonoma determinazione di tale corrispettivo in esito a una qualsiasi attività compositiva e di opposte posizioni”.

L’assunto appare manifestamente infondato e da disattendersi.

Il giudicante non ha affatto pretermesso l’esame dell’accordo transattivo intervenuto tra le parti ma anzi lo ha esplicitamente indicato come fonte del proprio convincimento (anche se di un convincimento non coincidente con quello di parte ricorrente) e ne ha tratto degli argomenti che – nell’ottica del governo della selezioni delle fonti del convincimento giudiziale – non può essere sottoposto a critica alla luce dell’ambito di applicazione del vizio postulabile a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Non guasta evidenziare – ad abundantiam – che il giudicante non ha fondato il proprio convincimento sull’esistenza di una controversia in ordine all’ammontare del compenso originariamente previsto ma sull’esistenza di una controversia in ordine all’adempimento delle prestazioni a cui il compenso risultava contrattualmente correlato (da cui poi l’incertezza in ordine al corrispettivo effettivamente dovuto e non a quello originariamente previsto), sicchè il “fatto” di cui la parte ricorrente assume l’omesso esame non potrebbe assurgere ad alcuna decisività nella logica dianzi evidenziata.

Con il quarto motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 75, vecchia formula TUIR e dell’art. 2700 c.c.) la parte ricorrente si duole per avere il giudicante ritenuto (erroneamente) che ricorresse nella specie di causa il presupposto di applicazione della previsione del comma secondo della prima norma citata in relazione alla “incertezza” della debenza e/o dell’importo del corrispettivo. Benvero, nell’anno 2003 il corrispettivo era senz’altro certo e determinato o almeno determinabile (essendo indicato in contratto le componenti e le modalità di calcolo ed essendo incontestato che le prestazioni della Alton si fossero svolte in quel periodo), sicchè l’esistenza di una controversia in ordine a parte del corrispettivo non avrebbe dovuto bastare “a rendere incerto e/o indeterminato il conseguente costo gravante su controparte ai fini della competenza”.

Il motivo appare inammissibilmente formulato.

La parte ricorrente non si limita infatti a richiedere il controllo in ordine alla corretta applicazione o interpretazione della disciplina di legge da parte del giudice del merito ma domanda – invece – la rinnovazione del giudizio in ordine alla sussistenza dei presupposti di fatto – già adeguatamente espletato dal giudice di appello – ai fini dell’applicazione della disposizione invocata, con conseguente inammissibile sovrapposizione del giudizio di questa Corte ai poteri propri ed esclusivi del giudice del merito.

Invero, è indirizzo costante della Suprema Corte quello secondo il quale “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (per tutte Cass. Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010).

Detto principio impedisce che si possa passare all’esame del merito del mezzo di impugnazione.

Con il quinto motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 2697 c.c.) la parte assume che la CTR ha violato il principio secondo cui la prova della deducibilità del costo incombe per intero alla parte che la invoca, che quindi deve dimostrare tutti i requisiti di deducibilità, ivi incluso quello del corretto esercizio di competenza.

Il motivo appare manifestamente infondato e da disattendersi.

Da parte il fatto che la questione della competenza implica non già la prova di un fatto ma l’espressione di un giudizio di correlazione tra fatto e disciplina che ne fa derivare le conseguenze nell’ottica dell’imputazione cronologica, ciò che – in concreto – alla parte contribuente spettava comprovare è l’esistenza delle circostanze utili a derogare rispetto alla regola di ordinaria imputazione cronologica, prova che la CTR ha ritenuto debitamente assolta, avendo condiviso l’argomento di parte contribuente a riguardo della situazione di incertezza venutasi a creare per effetto della divergente valutazione data dalle parti a riguardo dell’intervenuto adempimento al contratto.

Da escludersi perciò la violazione invocata dalla parte ricorrente.

Venendo poi all’impugnazione incidentale, con il primo motivo di questa (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39) la “BosaMare snc” si duole che il giudicante abbia omesso di considerare tra gli atti di causa (siccome allegato al PVC) il contratto intercorso con la “Prilepa”, dal quale si desume sia la veridicità delle fatture sia l’effettiva sussistenza della relativa operazione, ciò che esclude che l’ufficio potesse effettuare la ripresa. Con il secondo motivo dell’impugnazione incidentale (centrato sulla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1) la parte ricorrente si duole del fatto che la CTR abbia considerato prova dell’inesistenza delle operazioni l’assenza di qualsiasi prova sulla effettuazione dei pagamenti, mentre invece la norma or ora menzionata “ammette il contribuente ad esercitare il diritto di detrazione anche su fatture non ancora pagate” e perciò prima ancora di avere concretamente ricevuto la prestazione. Il giudicante aveva d’altronde ignorato altri documenti decisivi, come il contratto con cui la Prilepa si impegnava alla promozione dell’hotel (OMISSIS) e come le risultanze del processo penale a carico dell’amministratore della Bosamare, il quale ultimo era risultato assolto.

Entrambi i motivi di impugnazione (esaminati congiuntamente per la loro stretta coerenza) appaiono inammissibilmente formulati.

E ciò per le stesse ragioni che sono state esplicate a riguardo del quarto motivo di impugnazione principale, siccome con entrambi i motivi in esame la parte ricorrente incidentale domanda -sostanzialmente – la rinnovazione del giudizio in ordine alla sussistenza dei presupposti di fatto – già adeguatamente espletato dal giudice di appello – ai fini dell’applicazione delle disposizioni invocate (la seconda delle quali interpretata, peraltro, in termini del tutto incoerenti con il senso della disposizione), con conseguente inammissibile sovrapposizione del giudizio di questa Corte ai poteri propri ed esclusivi del giudice del merito.

Pertanto, si ritiene che il ricorso principale possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza ed inammissibilità ed il ricorso incidentale per inammissibilità.

Roma, 8 febbraio 2016;

4) Nella causa n.19348/2014 R.G.:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo;

letti gli atti depositati;

osserva:

La CTR di Cagliari ha accolto parzialmente l’appello P.F.N. contro la sentenza n.178/01/2009 della CTP di Nuoro che aveva respinto il ricorso della parte contribuente ad impugnazione di avviso di accertamento per maggiore IRPEF relativa all’anno 2004, avviso consequenziale a quello emanato nei confronti della società “Bosamare snc” ai fini della tassazione (“per trasparenza”) dei maggiori redditi imputabili ai fini IRPEF anche ai soci dei maggiori ricavi accertati in capo alla menzionata società.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che alla medesima udienza lo stesso collegio giudicante aveva discusso e deciso anche la controversia relativa alle imposte societarie sul medesimo reddito poi imputato per trasparenza al contribuente di cui qui si tratta, accogliendo parzialmente l’impugnazione dell’avviso di accertamento e perciò riducendo il reddito accertato. Conseguentemente doveva essere rideterminato (con proporzionale riduzione) anche il reddito del socio qui ricorrente, con onere dell’Ufficio di provvedere al ricalcolo.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

La parte contribuente non si è difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14) la ricorrente si duole in sostanza dell’omessa pronuncia, da parte del giudice del merito e in controversia caratterizzata da litisconsorzio necessario tra le parti, sulla questione dell’integrazione del contradditorio.

Il motivo di impugnazione appare infondato e da disattendersi.

Ed invero, l’esistenza di un litisconsorzio necessario tra la società dianzi menzionata e le persone fisiche che ne sono socie (che la parte ricorrente non ha in alcun modo identificato, così come non ha identificato i connessi procedimenti che riguardano questi ultimi) appare avere trovato un adeguato surrogato nella contestualità della trattazione che i distinti procedimenti hanno avuto sin dal primo grado di giudizio e fino ad ora, essendo pervenuti a questa Corte i ricorsi proposti dall’Agenzia contro la predetta società medesima e contro P.M.E. e Pi.Ti. (che risultano essere gli effettivi soci di cui si è detto) e potendosi desumere dagli atti di questi procedimenti che le pronunce sia di primo grado che di secondo grado sono state di volta in volta emanate dagli stessi giudici e nella medesima udienza.

Ricorre perciò nella specie di causa il presupposto esonerativo della necessità di integrazione del contraddittorio tra le parti necessarie valorizzato da questa Corte nella sentenza n. 14815/2008 sicchè, in ossequio al principio da quest’ultima enunciato, non resta che disattendere il ricorso introduttivo di questo grado, fondato esclusivamente sulla censura di cui si è detto. Salva la facoltà della Corte, alla medesima udienza di discussione a cui i ricorsi perverranno, di disporre la riunione degli stessi ove ciò sia ritenuto utile ai fini di completare la procedura di surrogazione del litisconsorzio necessario (se e ove possa ritenersi che la questione processuale debba avere un seguito).

Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art. 295 c.p.c.) la parte ricorrente assume che il giudice di appello avrebbe dovuto “sospendere” il presente giudizio in attesa della decisione di quello societario.

Il motivo appare manifestamente infondato. Trattandosi infatti di lite a necessario contraddittorio, l’applicazione della disciplina dell’art.295 (riferita alla distinta ipotesi della pregiudizialità logica e giuridica tra controversie autonome e distinte) non potrebbe in nessun caso valere a surrogare il difetto di contraddittorio con la conseguente nullità della pronuncia che non ne avesse disposto l’integrazione.

La disposizione anzidetta è stata perciò qui vanamente invocata.

Con il terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57) la parte ricorrente si duole che non sia stato dichiarato inammissibile l’appello di parte contribuente siccome fondato su motivi “nuovi” rispetto a quelli di primo grado.

Il motivo appare manifestamente infondato e da disattendersi.

In entrambi gli atti introduttivi, di primo e di secondo grado, si questiona -invero, per quanto si desume dagli stralci riportati nel ricorso per cassazione- in ordine alla fondatezza dell’avviso di accertamento, con riguardo alla validità dei recuperi dei costi ritenuti derivanti da operazioni inesistenti o erroneamente imputati, nel primo di detti atti, in specie, attraverso il richiamo dell’impugnazione che il singolo socio aveva adesivamente effettuato a riguardo dell’avviso di accertamento destinato alla società, perciò con richiamo della posizione debitoria “inscindibilmente comune” coinvolta nell’atto autoritativo. Detto ultimo richiamo avrebbe dovuto costituire ragione sufficiente perchè il giudicante disponesse la riunione dei distinti processi, ciò che non ha prodotto l’esito di nullità appunto perchè la trattazione è stata comunque unitaria e – perciò stesso – riferita a tutte le ragioni impugnatorie proposte dalle parti contribuenti nei separati incarti processuali.

E pertanto, il rilievo della novità delle questioni oggetto dell’appello, rispetto a quelle oggetto del processo di primo grado appare manifestamente infondato. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per complessiva manifesta infondatezza.

Roma, 8 febbraio 2016

ritenuto inoltre:

che le relazioni sono state notificate agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nelle anzidette relazione e, pertanto, i ricorsi (previa riunione delle cause che sono connesse tra loro per la rilevata ragione di esistenza di un contraddittorio necessario), ivi compreso quello incidentale proposto dalla Bosamare snc nella procedura n. 19344/2014, vanno rigettati;

che le spese di lite non necessitano di regolazione nei procedimenti n. 19340/2014; 19341/2014; 19348/2014, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita; mentre possono essere compensate nella procedura n. 19344/2014 attesa la soccombenza reciproca.

PQM

La Corte, previa riunione delle procedure menzionate in motivazione, rigetta tutti i ricorsi principali e quello incidentale proposto dalla Bosamare snc. Compensa le spese di giudizio a riguardo del ricorso n. 19344/2014; nulla per le spese a riguardo degli altri giudizi sui restanti ricorsi riuniti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale Bosamare snc, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidetale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2016

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