Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17390 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17390

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26944/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

Z.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 394/2005 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

LATINA, depositata il 28/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIACOBBE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con avviso di accertamento emesso il 12-9-2000 l’Ufficio Distrettuale delle Imposte dirette di Formia, sulla base di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, accertava nei confronti di Z.L. un maggior reddito imponibile ai fini IRPEF per l’anno 1995 di L. 507.854.000, con applicazione della relativa imposta e delle sanzioni.

L’avviso era impugnato dal contribuente innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Latina, sostenendo il ricorrente la illegittimità dell’atto impositivo per carenza di motivazione, insussistenza della condizioni legittimanti l’accertamento, infondatezza nel merito della pretesa fiscale.

La Commissione accoglieva il ricorso.

Proponeva appello la Agenzia delle Entrate, e la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez staccata di Latina, con sentenza n. 35/10/05 in data 15-4-2005 depositata in data 28-6-2005 rigettava il gravame, confermando la decisione impugnata.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate, con tre motivi.

Il contribuente non svolge attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la agenzia deduce vizio per motivazione insufficiente, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto la ripresa a tassazione di costi attinenti ad un automezzo che il contribuente sosteneva di avere in disponibilità, e che l’Ufficio aveva ritenuto indeducibili in quanto l’automezzo in questione non era iscritto nel registro dei beni mobili ammortizzabili, era stata esclusa dalla Commissione sul rilievo che il contribuente aveva prodotto documentazione attestante che il mezzo era un bene strumentale della ditta, affermazione ad avviso dell’Ufficio non vera, in quanto il contribuente nessun documento di tal genere aveva prodotto in primo grado.

Con il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e art. 37, comma 3, nonchè dell’art. 2697 c.c., ed inoltre vizio di motivazione.

Espone che la Commissione aveva ritenuto che il conto corrente dalla cui movimentazione l’Ufficio aveva determinato la massima parte del maggior reddito ripreso a tassazione in quanto indicato come concernente la gestione aziendale non fosse riferibile alla impresa dello Z. in quanto non a lui intestato ma alla di lui consorte P.G., per cui era onere dell’Ufficio provare che ogni operazione bancaria sul conto fosse pertinente alla attività aziendale; onere non assolto dall’Ufficio, con conseguente rigetto della pretesa impositiva.

Rileva che dal P.V.C., della Guardia di Finanza, richiamato come motivazione dell’accertamento ed enunciato in atto di appello si evinceva testualmente che lo Z. aveva espressamente ammesso con dichiarazione resa ai verbalizzanti che egli usava per la sua attività commerciale il conto intestato a sua moglie; ed altresì che la consorte intestataria non risultava avere alcun reddito proprio. Rimanendo quindi provata la riferibilità del conto alla attività dello Z., la Commissione aveva di conseguenza violato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, in quanto l’onere di provare la estraneità delle operazioni bancarie alla attività di impresa spettava al contribuente, per la inversione del carico probatorio derivate dalla norma in questione. Con il terzo motivo, deduce insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto la Commissione aveva concluso che le movimentazioni bancarie emergenti dal conto non potevano essere considerate attinenti alla attività dello Z. atteso che la moglie intestataria “nulla aveva a che fare con la attività del marito”; che i rilievi dell’Ufficio erano basati solo su presunzioni; che era condivisibile l’assunto del giudice di primo grado (sulla carenza di indagini della G. di F. in ordine ai presumibili clienti dello Z.) asserzione che non rispondeva secondo l’Ufficio, ai rilievi svolti in proposito in atto di appello.

Sostiene che la Commissione non ha in alcun modo tenuto conto degli elementi di fatto esposti dall’Ufficio nei termini sopra indicati in relazione al mezzo che precede, con grave insufficienza motivazionale. Il primo motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza. A fronte di una asserzione della commissione sulla presenza in atti di documenti specificamente indicati (libretto di circolazione, con le relative annotazioni) l’Ufficio si è limitato a menzionare una attestazione della segreteria della Commissione di primo grado sulla assenza di produzione di documenti da parte del ricorrente senza riprodurla nè allegarla al ricorso, ed inoltre nulla ha detto sulla eventuale produzione della documentazione in grado di appello, ammissibile D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 58, comma 2.

Per ragioni di priorità logica deve essere preso in considerazione il terzo motivo.

Infatti, in presenza di un conto bancario non intestato al contribuente, ma ad un suo familiare, i verbalizzanti prima, e l’Ufficio in seguito, possono sottoporre ad indagine i conti bancari intestati esclusivamente a terzi o familiari (nella specie, al coniuge) in presenza di presunzioni idonee a ritenere che tali conti siano stati utilizzati nella attività commerciale della impresa del contribuente indagato (v. Cass. n. 8683 del 2002; 18868 del 2007; 27032 del 2007).

Una volta acclarate tali presunzioni (anche semplici, purchè dotate di gravità, precisione e concordanza) prende vigore la inversione dell’onere della prova di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e pertanto è il contribuente che deve provare la estraneità delle operazioni alla attività commerciale, e non l’Ufficio il contrario.

Ciò posto, la Commissione ha escluso la riferibilità del conto intestato alla moglie del contribuente alla attività di impresa in forza del rilievo che la stessa non collaborava con il marito nella attività, che l’Ufficio si fondava su presunzioni, che non erano state fatte indagini specifiche sulle controparti di dette operazioni bancarie.

L’Ufficio ha rilevato, e comprovato con citazioni testuali supportate dalla produzione dei rispettivi documenti, che dette presunzioni erano fondate sulla confessione dello Z. resa ai verbalizzanti che il conto intestato alla moglie era da lui usato per la sua attività commerciale ed altresì sul fatto che la consorte non esercitava attività alcuna che potesse giustificare tali movimentazioni in quanto non disponeva di alcun reddito. Osservazioni ribadite con l’atto di appello, pure prodotto. Ora, se indubbiamente spetta al giudice di merito vagliare le risultanze processuali e scegliere quelle che ritiene idonee a sostenere la decisione, rimane suo onere prendere in considerazione i rilievi delle parti e, ove li ritenga irrilevanti ed infondati, esprimere valutazioni in proposito, mantenendo un criterio di coerenza e logicità che evidenzi la “ratio decidendi” adottata.

Nella specie, premessa la osservazione sulla estraneità della consorte alla attività del marito, logicamente non pertinente per escludere che questi ne utilizzasse il conto, e sulla mancanza di indagini ulteriori sulle movimentazioni, in relazione all’assunto dell’Ufficio non necessarie, la Commissione ha del tutto omesso di prendere in considerazione, anche per confutarli, i rilievi esposti dall’Ufficio, la cui gravità e pertinenza, ove ritenuti fondati, non appare revocabile in dubbio.

Ne consegue che la sentenza è affetta da grave carenza motivazionale, e pertanto deve essere cassata.

Il secondo motivo rimane assorbito, e sarà compito del giudice di rinvio (diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio) decidere sulla base della valutazione delle presunzioni di cui sopra in ordine alla riferibilità del conto bancario di cui si tratta alla attività del contribuente, ed applicare in caso affermativo, la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32.

Detto giudice deciderà anche in ordine alle spese di questa fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il secondo. Cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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