Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17388 del 23/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/07/2010, (ud. 16/06/2010, dep. 23/07/2010), n.17388

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21121-2006 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato SULLAM ISACCO, giusta delega in

calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 72/2005 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 04/05/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il primo motivo inammissibile e

comunque infondato così come i restanti motivi del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Sulla scorta di indagini effettuate dalla Guardia di Finanza, la Agenzia delle Entrate di Milano notificava in data 19-10-2001 a P.G. due avvisi di accertamento, con i quali era rettificato in aumento il reddito del contribuente per gli anni 1995 e 1996 a fini IRPEF e S.S.N..

Il contribuente impugnava gli avvisi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, deducendo carenza di motivazione degli avvisi ed infondatezza degli stessi nel merito.

La Commissione accoglieva il ricorso.

Appellava l’Ufficio e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia con sentenza n 72/1/2005 in data 19-4-2005, depositata il 4- 5-2005 accoglieva parzialmente il gravame, dichiarando fondato l’accertamento dell’Ufficio limitatamente all’anno 2005, per l’importo complessivo di L. 58.690.000.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il contribuente, con tre motivi.

La Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Sostiene che l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza di primo grado concerneva l’accertamento relativo all’anno 1996 laddove la Commissione Regionale aveva accolto parzialmente il gravame relativamente al solo avviso pertinente il 1995.

Conseguentemente l’appello dell’Ufficio per tale anno doveva essere dichiarato inammissibile.

Con il secondo motivo deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed inoltre contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.

Sostiene che la Commissione ha errato nel ritenere esauriente ed adeguata la motivazione dell’avviso di accertamento sulla base delle risultanze del PVC della Guardia di Finanza, in quanto la attività di cui all’art. 32 cit. era propria degli Uffici delle Imposte e non della G. di F. ed inoltre le risultanze del P.V.C., non avevano valore probatorio circa i redditi accertati. Per cui, ad avviso del contribuente, non era sufficiente la allegazione del P.V.C., come ritenuto dalla Commissione, me era necessaria la fondatezza del medesimo sotto il profilo probatorio, che nella fattispecie mancava.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. L) e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.

Osserva che i redditi considerati dall’art. 81 cit. menzionato nell’avviso di accertamento hanno natura diversa, tra cui anche “le attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente”.

Ritiene che ciò sia in contrasto con l’assunto dell’Ufficio secondo cui la attività di consulenza da cui sarebbero derivati i redditi contestati era continuativa. Inoltre, la Commissione aveva espresso motivazione contraddittoria, in quanto avendo ritenuto giustificati ed attendibili documenti concernenti un asserito prestito da un terzo soggetto, doveva considerare tali anche gli ulteriori documenti concernenti vendite di immobili ed arredi.

L’Ufficio in controricorso contesta la fondatezza della argomentazioni dell’Ufficio.

Il primo motivo è inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Infatti non risulta prodotto o citato per intero l’atto di appello dell’Ufficio, ma solo una frase riferita al secondo motivo di gravame, con ulteriori affermazioni in ordine ad importi ivi enunciati da cui dovrebbe indursi che tali somme si riferiscono esclusivamente al 1996, con argomentazioni di mero fatto inammissibili nella presente sede.

Fermo restando quanto sopra, può prendersi atto che l’ufficio in controricorso ha esposto passi del gravame (ritualmente prodotto) in cui risultano espressamente citati i redditi del 1995.

Il secondo motivo è infondato in relazione alla violazione dell’art. 32 cit. in quanto è pacifico che l’Ufficio nella esplicazione delle attività di cui alla norma citata può farsi coadiuvare dalla G. di F. ed utilizzare gli esiti delle indagini da questa svolte, come testualmente risulta dall’art. 33, stesso D.P.R. (v. Cass. n. 19373 del 2003; Cass. 8253 del 2006).

E’ del pari infondato ove afferma che non è sufficiente la allegazione dei fatti accertati dalla G. di F. per la motivazione dell’atto di accertamento, in quanto da tali allegazioni scaturiscono presunzioni, idonee a motivare la pretesa fiscale, la cui valutazione di merito è riservata alla fase contenziosa. E’ inammissibile ove espone circostanze a confutazione della fondatezza degli assunti esposti nel PVC. generici e concernenti questioni di mero fatto, carenti di autosufficienza ed inidonei a ritenere la contraddittorietà della motivazione in proposito data dalla Commissione.

Del pari, è inammissibile il terzo motivo, in punto di diritto.

Premesso che a quanto si intende la violazione consisterebbe nell’aver la Commissione approvato l’uso di una norma applicabile alla voce “redditi diversi” tra cui la attività di lavoro autonomo non esercitata abitualmente, e non ad una attività continuativa di detto genere, il motivo, irrilevante in sè in quanto non tocca la sostanza dell’accertamento, è privo di autosufficienza in quanto l’assunto di una attività continuativa è meramente affermato dal ricorrente ed in alcun modo documentato.

Del pari, la asserzione che la Commissione avendo ritenuto fondato un mezzo di prova offerto dal contribuente avrebbe dovuto per ciò solo accogliere anche gli altri è di per sè infondata sul piano logico, a prescindere che si richiamano al proposito considerazioni di fatto generiche e non valutabili in questa sede.

Il ricorso deve essere quindi rigettato.

Le spese di questa fase seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese a favore della Amministrazione, che liquida in Euro 2.200, di cui 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2010

 

 

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