Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 17387 del 17/06/2021

Cassazione civile sez. II, 17/06/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 17/06/2021), n.17387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14885/2016 proposto da:

O.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA SEMPIONE,19/B INT 14, presso lo studio dell’avvocato IRMA

BOMBARDINI, rappresentati e difesi dagli avvocati FABRIZIO CASTALDO,

LUCIANA ROSSI;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE PRO TEMPORE,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IGNAZIO PERSICO 77, presso lo

studio dell’avvocato GIOVANNA GAMBARDELLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato FERDINANDO CAIAZZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4739/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/02/2021 dal Consigliere Dott. ALDO CARRATO.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La sig.ra Mi.Gi. e altre 19 persone convenivano dinanzi al Tribunale di Napoli – sez. dist. di Marano il Condominio di (OMISSIS) – Parti comuni e, deducendo di essere tutti abitanti in tale civico all’interno del c.d. “(OMISSIS)”, composto da sette edifici disposti a ferro di cavallo, divisi l’uno dall’altro da viali, aiuole e alberi, chiedevano che venisse accertata e dichiarata l’inesistenza del Condominio delle parti comuni per la mancanza di un titolo costitutivo dello stesso e, in ogni caso, invocavano l’annullamento della Delib. Assembleare adottata 21 gennaio 2003 (avente ad oggetto l’istituzione di un fondo spese di Euro 5.000,00, a favore del procuratore del Condominio) per difetto del “quorum” previsto dalla legge, nonchè per la omessa convocazione di tutti i condomini.

Intervenivano volontariamente in giudizio altre 10 persone, che aderivano alla domanda degli attori.

Si costituiva in giudizio il Condominio, che instava per il rigetto della proposta domanda.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 346/2007, accoglieva la formulata domanda e, per l’effetto, dichiarava l’inesistenza del condominio sulle indicate parti comuni ed annullava l’impugnata Delib. assembleare. A sostegno di tale di decisione, lo stesso Tribunale rilevava come, dagli atti di acquisto prodotti in causa, gli spazi adiacenti ai fabbricati in cui erano ubicati gli appartamenti degli attori e dei terzi interventori rientravano nella esclusiva proprietà M., in virtù di apposita clausola di riserva in tal senso. Da ciò ne derivava che non poteva esistere sugli stessi beni una proprietà condominiale, poichè essa presupponeva la contitolarità per quote delle parti comuni, del resto non provata.

2. Il Condominio soccombente proponeva appello avverso la suddetta sentenza con il quale chiedeva anche la riunione ad altri giudizi (aventi lo stesso oggetto) e il suo accoglimento sul presupposto che la invocata clausola di riserva (della proprietà degli spazi intorno ai fabbricati) avrebbe dovuto essere dichiarata nulla, con l’affermazione della natura di pertinenza comune di tutte le aree circondanti i fabbricati del parco, per essere le stesse proporzionali alla cubatura dei fabbricati stessi.

Nella costituzione degli originari attori (quali appellati) e degli interventori in primo grado, la Corte di appello di Napoli, ravvisata la riunibilità del giudizio solo a quello già pendente recante il n. RG 1217/2012, con sentenza n. 4739/2015 (depositata il 9 dicembre 2015), annullava le sentenze del Tribunale di Napoli – sez. dist. di Marano n. 346/2007 e n. 1237/2011 (con la quale era stato definito il giudizio riunito) e rimetteva le parti dinanzi al giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., compensando le spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione, la Corte partenopea osservava, innanzitutto, che la domanda proposta dai condomini appellati tendeva ad accertare l’inesistenza di un unitario ed inscindibile rapporto plurisoggettivo, in quanto il c.d. supercondominio tra una pluralità di edifici fa nascere in capo a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità “pro quota” sulle parti comuni con obbligo consequenziale di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione.

Aggiungeva, poi, la Corte di appello che la citata domanda implicava la richiesta dell’accertamento dell’inesistenza del rapporto degli originari attori con tutti e ciascuno degli altri singoli condomini, con la derivante necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini pretermessi, potendo la sentenza conseguire un risultato utile solo ove pronunciata nel contraddittorio di tutti i soggetti coinvolti nel rapporto stesso” sicchè la mancata partecipazione anche di uno solo di essi rendeva a sentenza “inutiliter data”. Inoltre, non poteva trascurarsi come, nella specie, non si trattava di agire a tutela della proprietà e del godimento della cosa comune accertando la natura condominiale di un bene, per cui le relative azioni possono essere promosse anche soltanto da uno dei comproprietari, ma – al contrario – di effettuare un accertamento negativo circa la sussistenza della comproprietà . che veniva, quindi, messa in discussione, per cui si sarebbe dovuta ritenere sussistente un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

Pertanto, poichè nella fattispecie in esame la sentenza di primo grado era state emessa in assenza di tutti gli altri condomini interessati (la cui esistenza di evinceva dalla sentenza recante il n. 2017/2012), senza che la loro presenza potesse dirsi surrogata da quella dell’amministratore, il quale difettava di legittimazione passiva in ordine alle domande tendenti alla dell’esistenza stessa del diritto sulla cosa comune, si era venuta a concretare l’ipotesi processuale prevista dall’art. 354 c.p.c., tale da giustificare, quindi la rimessione delle cause riunite al giudice di primo grado.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, tutti gli appellati, resistito con controricorso dall’intimato Condominio (OMISSIS) Parti comuni di (OMISSIS).

La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – a sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c. e art. 115 c.p.c., nonchè il vizio di omessa pronuncia sull’efficacia delle prove in atti.

In particolare, i ricorrenti hanno inteso contestare l’impugnata sentenza nella parte in cui, al fine di poter ravvisare la necessità di integrazione del contraddittorio, avrebbe dovuto accertare la presenza di beni o servizi comuni a tutti i proprietari di immobili siti in (OMISSIS) e quindi, compiere uno specifico accertamento riguardante l’individuazione dei “condomini” come stabilita dall’art. 1117 c.c., escludendo, altresì, ogni rilevanza ed efficacia della sentenza n. 2017/2012, passata in giudicato; concernente l’impugnazione della Delib. Assembleare 26 gennaio 2007, e senza inoltre, aver preventivamente statuito in ordine all’efficacia e validità della clausola di riserva della proprietà delle aree esterne apposta nei contratti di compravendita a favore di M.C..

2. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno eccepito la formazione del giudicato esterno con riferimento a 10 precedenti sentenze tutte emesse dalla Corte di appello di Napoli (intervenute tra il 2012 e il 2015), sul presupposto che il giudicato ottenuto da un condominio si sarebbe esteso autonomamente sugli altri condominii facenti parte del complesso ubicato in (OMISSIS). Da tale sentenza – secondo la prospettazione dei ricorrenti – emergerebbe l’accertamento dell’inesistenza “in loco” di alcun ente avente la natura di supercondominio, da ricondurre all’efficacia ed inopponibilità della clausola di riservato dominio delle aree esterne ai sette fabbricati, da ritenersi, perciò, di proprietà esclusiva ed assoluta degli eredi di M.C..

Con lo stesso motivo i ricorrenti hanno dedotto che ai giudicati riconducibili sentenze della Corte di appello di Napoli già citate si sarebbe dovuto aggiungere quello conseguente alla sentenza n. 1738/2016 di questa Corte, che aveva, per l’appunto, determinato il passaggio in giudicato dell’impugnata sentenza della Corte di appello di Napoli n. 4016/2010 emessa tra plurimi condomini coincidenti in parte con quelli attuali ricorrenti, e il Condominio controricorrente.

3. Con la terza ed ultima censura i ricorrenti hanno dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 325,326 e 327 c.p.c., nonchè il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla rilevanza della Delib. Assembleare 18 aprile 2013. Ad avviso degli stessi ricorrenti o detta Delib. si sarebbe dovuta ritenere illegittima perchè adottata da soggetti che in base al giudicato formatosi sulla sentenza n. 2017/2012 del Tribunale di Napoli, non avrebbero potuto essere qualificati come condomini (secondo quanto accertato da sei precedenti sentenze passate in giudicato) oppure tale Delib. avrebbe dovuto considerarsi valida perchè non impugnata specificamente (con preferenza della prima opzione esternata).

In sostanza, con tale motivo, i ricorrenti addebitano alla Corte di appello di Napoli, che ha emanato l’impugnata sentenza, di aver mancato di stabilire se l’ente riconducibile al complesso immobiliare in questione, ancorchè non avente natura di supercondominio, esiste ed ha operato quale ente che, di fatto, ha gestito beni altrui e che, come accertato nella richiamata sentenza n. 2017/2012, si era riunito in assemblea, aveva contratto obbligazioni con terzi e che di tali obbligazioni avrebbe dovuto rendere conto, anche se riguardanti eventuali condanne alle spese.

4. Rileva il collegio che sul piano della preliminarità logico-giuridica, debbano essere esaminati per primi il secondo e terzo motivo, tra loro connessi, che investono la questione dell’assunta operatività di plurimi giudicati esterni riconducibili a precedenti sentenze intervenute fra le parti, in virtù dei quali – secondo la prospettazione degli stessi ricorrenti – l’accertamento dell’inesistenza “in loco” di alcun ente avente la natura di supercondominio, da ricondurre all’efficacia ed inopponibilità della clausola di riservato dominio delle aree esterne ai sette fabbricati, da ritenersi, perciò, di proprietà esclusiva ed assoluta degli eredi di M.C..

La Corte di appello ha compiutamente e specificamente escluso la formazione di qualsiasi giudicato opponibile avuto riguardo alle precedenti sentenze, e, soprattutto, di quello riconducibile alla sentenza n. 2017/2012 del Tribunale di Napoli, costituente oggetto del terzo motivo di ricorso.

La Corte territoriale, pur non discutendo il passaggio in giudicato formale di quest’ultima, ha spiegato come, sul piano degli effetti sostanziali, la stessa non fosse idonea a produrre l’efficacia prevista dall’art. 2909 c.c.. Invero, con essa non era stata accertata specificamente l’inesistenza di una situazione giuridica di comproprietà delle parti comuni del (OMISSIS) riferibile agli spazi esterni ai sette fabbricati che lo compongono, poichè la domanda formulata atteneva soltanto all’ottenimento della declaratoria di nullità della clausola contrattuale con la quale il M. si era riservata la proprietà esclusiva dei beni “comuni” in questione, ovvero all’accertamento dell’intervenuta usucapione degli stessi da parte del condomini, nonchè alla condanna delle controparti al pagamento di somme ed al risarcimento del danno.

Pertanto, l’autorità del giudicato non avrebbe potuto estendersi alle affermazioni circa l’assunta inesistenza della comproprietà degli spazi esterni non costituendo un accertamento sul piano della necessità logico-giuridica per pervenire alla decisione sui predetti accertamenti costituenti specificamente oggetto della domanda giudiziale definita con la discussa sentenza n. 2017/2012, potendo, tutt’al più, le suddette affermazioni ricondursi ad un “obiter dictum”.

Senonchè, osserva questo collegio, al di là delle altre ulteriori sentenze di merito indicate nei due motivi in esame, i ricorrenti hanno eccepito il giudicato esterno anche con riferimento alla sopravvenuta sentenza di questa Corte n. 1738/2016 (pubblicata il 29 gennaio 2016, quindi successivamente a quella qui impugnata n. 4739/2015 della Corte di appello di Napoli), con la quale in una causa intercorsa tra più soggetti coincidenti con molti degli odierni ricorrenti (e specificamente C.A., + ALTRI OMESSI) ed il Condominio di (OMISSIS) ((OMISSIS)), avente lo stesso oggetto, fu respinto il ricorso da quest’ultimo proposto avverso la sentenza n. 4016/2010 della Corte di appello di Napoli.

Con questa sentenza venne confermata la sentenza dei Tribunale di Napoli – sez. dist. di Marano (n. 77/2008), con la quale fu accolta la domanda dei soggetti appena innanzi indicati tesa alla dichiarazione dell’inesistenza di un Condominio per mancanza di titolo costitutivo con riferimento a quelle parti che – come da singoli atti di acquisto – erano rimaste in proprietà esclusiva del costruttore M.C. (quali suoli e lastrici di ciascun edificio), ivi comprese quelle adibite a viali comunicanti tra i distinti condominii.

Con la citata sentenza di questa Corte n. 1738/2016, nel respingere il ricorso si era ritenuto che nella fattispecie difettava qualunque elemento atto a giustificare la pretesa esistenza di un supercondominio, mancano invero non solo e non tanto l’atto formale costitutivo di detto ente, ma soprattutto – e decisivamente – risultava carente il presupposto della comproprietà delle parti comuni che è imprescindibile per la costituzione – anche di fatto – di un preteso condominio.

Pertanto, per effetto di questa sentenza di legittimità di rigetto del ricorso del Condominio oggi controricorrente si era venuto a formare il giudizio sullo stesso oggetto del giudizio costituente il riferimento del ricorso oggi al esame di questo collegio.

Ed è pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. SU n. 13916/2006, Cass. n. 26041/2010 e, da ultimo, Cass. n. 1534/2018) che nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, a pari di quale del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta, invero, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce, patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo a consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche attraverso la stabilità della decisione.

Occorre, altresì, rilevare che, con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., la difesa dei ricorrenti, oltre a richiamare la citata sentenza di questa Corte n. 1738/2016, ha anche indicato e prodotto ulteriori pronunce di questa Corte, alcune delle quali pure implicanti la formazione del giudicato esterno sostanziale sul medesimo oggetto.

Al riguardo è opportuno ricordare che la stessa precedente giurisprudenza di questa Corte ha ulteriormente posto in risalto che la garanzia di stabilità (da ricollegarsi alla preclusione da giudicato), correlata ad attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferirle rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi, d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, entro il termine stabilito per il deposito delle memorie previste dall’art. 378 c.p.c. o dall’art. 380-bis.1 c.p.c..

Orbene, con la memoria depositata ai sensi del citato art. 380-bis.1 c.p.c., a difesa dei ricorrenti ha indicato e prodotto:

a) l’ordinanza di questa Corte n. 21654/2017 (tra i cui ricorrenti si ricomprendevano anche i sigg. O.C., O.M., O.V., P.G. e C.G., inclusi tra gli ulteriori ricorrenti nel giudizio qui in discussione), con la quale è stato accolto il motivo relativo all’inammissibilità dell’atto di appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli depositata il 17 ottobre 2008, dichiarativa dell’inesistenza del condominio in questione, da cui il passaggio in giudicato di questa stessa sentenza;

b) l’ordinanza di questa Corte n. 15392/2019, che, tuttavia, non ha idoneità a formare giudicato, siccome riferita ad un giudizio di opposizione a predetto e non investe propriamente la questione sull’inesistenza o meno del contestato condominio;

c) la sentenza di questa Corte n. 15668/2019, che, anch’essa, non risulta idonea al giudicato prospettato dai ricorrenti, siccome con la stessa fu confermata una sentenza di appello di carattere processuale con la quale era stata ordinata la rimessione della causa al giudice di primo grado ai sensi dell’art. 354 c.p.c.;

d) la sentenza di questa Corte n. 16781/2019, con la quale è stato accolto il motivo del ricorso (proposto da O.M., O.C. e O.V.) relativo all’inammissibilità dell’atto di appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 73/2009, dichiarativa dell’inesistenza del condominio in questione, da cui il passaggio in giudicato di questa stessa sentenza;

e) la sentenza del Tribunale di Napoli n. 2110/2018 (pubblicata il 21 febbraio 2018 e munita di attestazione di passaggio in giudicato da parte del competente cancelliere del 4 aprile 2018), pure contenente l’accertamento dell’inesistenza del condominio sulle parti oggetto di contestazione.

Si deve, quindi, univocamente ritenere raggiunto il risultato che, per effetto delle richiamate pronunce definitive, si è venuto a formare il giudicato sull’accertamento del fatto che gli spazi adiacenti ai fabbricati in cui erano ubicati gli appartamenti delle parti che avevano agito contro il condominio di (OMISSIS) rientravano nella esclusiva proprietà M., in virtù di apposita clausola di riserva in tal senso contenuta nei relativi atti di acquisto, con la conseguenza che non poteva ritenersi esistente sugli stessi beni una proprietà condominiale, presupponendo essa la contitolarità per quota delle parti comuni.

E’, peraltro, indiscutibile che il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, loro eredi e aventi causa, è dotato anche di un’efficacia riflessa, nel senso che la sentenza, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata emessa, allorquando questi siano titolari (come nella fattispecie) di un diritto omologo o dipendente dalla situazione definita in quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a tale situazione (cfr. Cass. n. 6788/2013 e Cass. n. 8766/2019).

5. In definitiva, per effetto dell’operatività della preclusione derivante dai predetti giudicati (in virtù dei quali è risultata accertata l’inesistenza di una comproprietà condominiale sulle asserite parti comuni colleganti i singoli condominii), non può che provvedersi, pronunciando sul ricorso, alla cassazione senza rinvio dell’impugnata sentenza (cfr. Cass. n. 11219/2014).

In dipendenza delle alterne e complesse vicende dei rapporti dedotti in giudizio e della difficile valutazione delle stesse sul piano giuridico, anche in funzione della possibile rilevazione degli eccepiti giudicati esterni, ritiene la Corte che sussistano giuste ragioni per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti con riferimento all’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2021

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